CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 novembre 2017, n. 27948
Festività – Contrattazione collettiva – Fruizione della festività subordinata alle esigenze aziendali – Trattamento economico
Svolgimento del processo
La società D. p.a. proponeva appello avverso sei sentenze, di identico contenuto, pronunciate dal Tribunale di Bergamo con le quali era stata condannata al pagamento, in favore dei lavoratori odierni controricorrenti, delle somme (comprese tra 66,67 e 159,41 €.) corrispondenti alla retribuzione giornaliera per le festività dell’8 dicembre e/o del 6 gennaio, avendo il primo giudice ritenuto che l’emolumento fosse dovuto ex art. 7, comma 2, del c.c.n.I. industria metalmeccanica, a prescindere dalla legittimità del rifiuto dei lavoratori di prestare, come loro richiesto, attività lavorativa in dette giornate. Resistevano i lavoratori.
Con sentenza depositata il 15.3.12, la Corte d’appello di Brescia respingeva il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la D. s.p.a., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.
Resistono i lavoratori con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 5 L. n. 260/49; 2 e 3 L. n.90/54; 1362, 1363, 1368 e 1371 c.c., con riferimento agli artt. 5, parte speciale, sez. III, 8, comma 14, parte speciale, del c.c.n.l. 7.5.03 per l’industria metalmeccanica privata.
Lamenta che al lavoratore è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, e tuttavia, allorquando la contrattazione collettiva applicabile preveda, come eccezione alla regola legale, che l’attività lavorativa possa essere svolta anche nei giorni festivi, subordinando la fruizione della festività alle esigenze aziendali, la sussistenza di tali esigenze costituisce l’unico presupposto per l’applicazione del regime di eccezione (contrattuale) in luogo della regola (legale), sicché il datore di lavoro, che invochi l’applicazione della norma contrattuale, deve solo provare la sussistenza del presupposto di fatto, e cioè delle esigenze aziendali.
Si doleva pertanto che la sentenza impugnata aveva configurato il trattamento economico della festività come un diritto soggettivo incondizionato, inderogabile anche ad opera della contrattazione collettiva.
Il motivo è infondato, come già ritenuto da questa Corte in identica fattispecie (Cass. n. 22482/16), alle cui argomentazioni si rinvia.
Qui basti evidenziare che gli artt. 5 e 8 citati prevedono la possibilità di lavorare anche durante le festività, ma non un obbligo. Soprattutto l’art. 8, co. 14, secondo cui “nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo” non può incidere, stante la genericità della dizione “festivo” sulla disciplina, sovraordinata, di cui all’art. 5, co.3, L. n. 260/49. Né la norma può ritenersi comunque derogabile se non dall’accordo individuale col datore di lavoro o da accordi sindacali stipulati da oo.ss. cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato (Cass. n.22482/16, Cass. n.l6634/05).
2. – Con il secondo motivo la società denuncia la violazione, omessa e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della L. n. 260/49; degli artt. 2 e 3 della L. n.90/54, oltre che dell’art. 12 preleggi.
Lamenta che dal combinato disposto delle lett. a) e c) del’art. 2 L. n.90/54 deriverebbe la non estensibilità del trattamento di festività per il lavoratore assente ingiustificato o che sospenda il lavoro per sua volontà.
Il motivo è infondato: la questione è che l’art. 2 prevede la spettanza del trattamento di festività anche se la prestazione lavorativa non è affatto resa in taluni casi di assenza in generale dal lavoro, ritenuti degni di maggior tutela (malattia, gravidanza, etc.), mentre ritenere assente ingiustificato il lavoratore che non presti attività lavorativa durante le festività di legge non è consentito dalla norma.
Questa Corte ha anzi ritenuto che (Cass. n. 16592/15) il provvedimento con cui il datore di lavoro impone al dipendente di prestare l’attività lavorativa nelle festività infrasettimanali in violazione della legge n. 260 del 1949 (nella specie, nelle giornate dell’8 dicembre, 25 aprile, 1° maggio e 6 gennaio, con la maggiorazione dei compensi prevista per il lavoro straordinario), è nullo ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, sicché l’inottemperanza del lavoratore è giustificata in base al principio “inadimplenti non est adimplendum” ex art. 1460 c.c. e sul rilievo che gli atti nulli non producono effetti, dovendosi escludere che i provvedimenti aziendali siano assistiti da una presunzione di legittimità che ne imponga l’ottemperanza fino a contrario accertamento in giudizio.
La società, pur prendendo atto del contrario orientamento di questa Corte (Cass. n. 4039/80, n. 9176/97, n. 5712/86) deduce che la rinunciabilità alla festività infrasettimanale comporterebbe la perdita del diritto del lavoratore al relativo trattamento qualora sia rimasto assente senza giustificato motivo o per causa dipendente dalla sua volontà.
Anche tale critica non è fondata per le ragioni sopra evidenziate: l’art. 2 L. n. 90/54 estende il diritto al trattamento di festività anche ad alcuni casi, di totale assenza dal lavoro, ritenuti meritevoli di particolare tutela (malattia, gravidanza, etc.). Rovesciare tale norma nel senso di ritenere che il trattamento non spetti in ipotesi in cui il lavoratore semplicemente rifiuti di prestare, come suo diritto, la sua opera durante le festività previste dalla legge non è operazione consentita, né desumibile dalla norma.
D’altro canto questa Corte ha già osservato che, atteso che la legge n. 260 del 1949, come modificata dalla legge n. 90 del 1954, relativa alle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, riconosce al lavoratore il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione di tali festività, regolando compiutamente la materia, non è consentita – ai sensi dell’art. 12 delle preleggi – l’applicazione analogica delle eccezioni al divieto di lavoro domenicale e deve escludersi che il suddetto diritto possa essere posto nel nulla dal datore di lavoro, essendo rimessa la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali solo all’accordo tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 16634/05).
Deve infine considerarsi che le questioni inerenti le trattative con le r.s.u. (di cui a pag. 29 ricorso) non risultano devolute al giudice del gravame, che nulla dice al riguardo, sicché sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare dove, come e quando la questione sarebbe stata devoluta al giudice di appello, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non consentendo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione (cfr. Cass. n.7149/2015, Cass.n. 23675/2013).
3. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 200,00 per esborsi, €.8.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.
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