CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2017, n. 30237
Importo della pensione di reversibilità – Differenze – Nullità della procura – Mancanza della legalizzazione della firma – Sanabilità del difetto – Efficacia retroattiva – Non operante nel campo processuale
Rilevato
Che la Corte d’appello di Roma con la sentenza impugnata ha respinto l’appello proposto nei confronti dell’INPS da V.B. n.q. di erede di B.L.J. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 17.6.2010 che aveva dichiarato inammissibile per nullità della procura il ricorso promosso dal predetto nei confronti dell’INPS per differenze sull’importo della pensione di reversibilità di cui la dante causa aveva fruito;
che la Corte territoriale ha confermato la declaratoria di nullità della procura alle liti conferita all’estero riscontrata nel caso di specie, essendo tale procura priva della legalizzazione della firma;
che avverso tale sentenza V.B. ricorre per cassazione con due motivi;
Che l’I.N.P.S. resiste con controricorso;
che il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso;
Considerato
che la Corte reputa che il ricorso debba essere rigettato;
che, in particolare, con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 182 cod. proc. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. dovendosi ritenere vigente ma non applicato dalla Corte territoriale il principio della sanabilità del difetto di procura alle liti peraltro non oggetto di eccezione da parte dell’Inps;
che la tesi della ricorrente tendente ad affermare l’erroneità della sentenza impugnata per la mancata applicazione del disposto dell’art. 182 cod. proc. civ. con l’effetto di sanare la carenza accertata dai giudici di merito non è fondata posto che le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ribadito che il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’art. 125 cod. proc. civ., (Cass., S.U., n. 13431 del 2014; Cass. n. 9464 del 2012);
che si è precisato che tale regola mantiene valore anche dopo la modifica degli artt. 83 e 182 cod. proc. civ., introdotta dalla L. n. 69 del 2009;
che con il secondo motivo di ricorso si sostiene, inoltre, che la Corte territoriale, violando gli artt. 434, 115, 116, 83 e 232 cod. proc. civ., abbia errato nel ritenere superata la presunzione di rilascio in Italia della procura ed abbia posto a carico della parte ricorrente l’onere di provare tale circostanza attraverso l’ordine di presentazione all’udienza per rendere l’interrogatorio formale;
che tale motivo è infondato poiché la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una serie di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica (stabile) residenza del ricorrente in Croazia, la mancanza di dimostrazione di un suo ingresso in Italia, il suo comportamento processuale e, in particolare, la mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitogli;
che, come emerge dalla sentenza impugnata, l’interrogatorio formale era stato deferito sulla circostanza relativa al luogo in cui la procura a margine del ricorso era stata sottoscritta: la mancata risposta rappresenta pertanto un fatto qualificato riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, secondo la sua prudente valutazione (Cass. 13 novembre 1997, n. 11233; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27320);
Che la parte non trascrive il contenuto della procura cui la sentenza si riferisce, non deposita l’atto contestualmente al ricorso per cassazione, nè fornisce indicazioni per un facile reperimento dell’atto stesso nel presente giudizio, allo stesso modo non indica e non specifica con quale atto ed in quali termini avrebbe fatto rilevare al giudice d’appello le circostanze idonee a giustificare la mancata comparizione della parte a rendere l’interrogatorio formale, per contrastare le conseguenze di ordine probatorio che il giudice ne ha tratto a norma dell’art. 232 c.p.c., (cfr. Cass., 8 febbraio 1963, n. 222), per cui il motivo difetta di specificità;
che in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in difetto di idonea dichiarazione di esonero sottoscritta dalla parte ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, che liquida in complessivi Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie.
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