CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2018, n. 22
Licenziamento – Superamento periodo di comporto – Errore di fatto – Inesistenza della malattia posta a fondamento delle assenze – Irrilevanza – Ingiustificata protrazione dell’assenza
Rilevato che
1. questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 19316 del 2016 rigettava il ricorso proposto da P.P. avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna che aveva confermato la legittimità del licenziamento intimatogli dalla V.R. s.r.l. per superamento del periodo di comporto;
2. P.P. propone ricorso per revocazione ai sensi degli artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c..
Sostiene che la sentenza sarebbe frutto di un errore di fatto risultante dai documenti della causa, essendosi supposta l’esistenza della malattia posta a fondamento delle assenze, mentre le stesse erano state determinate dalla necessità di prestare assistenza alla moglie, gravemente infortunata;
3. la V.R. s.r.l. ha resistito con controricorso, nel quale ha chiesto la condanna di controparte al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. ;
4. il P. ha depositato memoria ex art. ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.:
5. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Considerato che
1. questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente, percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’ errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ..; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. tra le altre, da ultimo, Cass. 03/04/2017 n. 8615, ed i precedenti ivi richiamati);
2. nel caso in esame, questa Corte non ha ignorato l’inesistenza della malattia posta a fondamento delle assenze , ma l’ha considerata irrilevante, affermando che “quale che sia la ragione dell’assenza, quel che rileva ai fini del rapporto di lavoro subordinato è che essa sia giustificata; se nella specie l’assenza del lavoratore venne ritenuta giustificata per malattia, che il lavoratore stesso ebbe a richiedere, e se anche il periodo di ferie, successivamente richiesto ed accordato dal datore di lavoro (cui, non può dunque addebitarsi alcuna scorrettezza o uso improprio dell’istituto della malattia, rientrando peraltro le ferie tra i diritti riconosciuti al lavoratore subordinato secondo le modalità stabilite dalla legge e dal c.c.n.l.), giunse a scadenza, non risulta censurabile la ritenuta legittimità del licenziamento a causa dell’ulteriore prolungarsi dell’assenza dal lavoro, a quel punto priva di giustificazioni”.
Si ricava quindi dalla lettura della motivazione che questa Corte ha avallato la sentenza che aveva ritenuto costituire legittima causa di recesso l’ingiustificata protrazione dell’assenza, oltre i termini del comporto per malattia e delle successive ferie, a prescindere dall’effettività della prima;
3. in tal senso il ricorso, piuttosto che prospettare un errore della Corte di cassazione, chiede una rivisitazione delle conclusioni cui essa è giunta nella valutazione del percorso argomentativo compiuto dalla Corte di merito, valutazione che esorbita dai limiti entro i quali può essere operato il sindacato in sede di ricorso per revocazione;
4. il ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 375 comma 1 n. 1 c.p.c., sicché il Collegio ritiene di confermare con ordinanza in camera di consiglio la proposta formulata dal relatore ex art. 380 bis c.p.c.;
5. quanto alla domanda proposta ex art. 96, 1 comma c.p.c., si rileva che non ne sussistono i presupposti, considerato che il carattere temerario della lite, che costituisce presupposto della condanna al risarcimento dei danni, va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza, non già nella mera opinabilità del diritto fatto valere. (Cass. 09-02-2017, n. 3464, Cass. 05- 07-2017, n. 16482);
6. non rileva il fatto che il ricorrente abbia successivamente proposto autonomo ricorso di impugnativa del medesimo licenziamento davanti al Tribunale di Genova, considerato che l’azione di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può, di regola, esercitarsi in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello da cui la responsabilità stessa ha origine, salvo che la sua proposizione sia stata prechisa per l’evoluzione propria dello specifico processo da cui detta responsabilità è scaturita, ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte (v. Cass. civ. Sez. I, 20-05-2016, n. 10518);
7. la regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza del ricorrente (non potendo giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. il rigetto della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 c.p.c.., v. Cass. n. 9532 del 12/04/2017);
8. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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