CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 dicembre 2017, n. 31190
Tributi – Riscossione – Concessionario del servizio di riscossione – Crediti tributari – Ammissione al passivo del fallimento
Fatti di causa
1. Con decreto del 23 febbraio 2011, il Tribunale di Taranto ha rigettato l’opposizione proposta dall’Equitalia Pragma S.p.a. avverso lo stato passivo del fallimento della S.A.R.M. S.r.l., avente ad oggetto l’ammissione al passivo dell’importo complessivo di Euro 1.009.609,81 per crediti tributari.
Premesso che, in tema di crediti tributari, la competenza del tribunale fallimentare è limitata alla verifica dell’esistenza e dell’efficacia del titolo addotto dall’Amministrazione finanziaria, e non si estende all’accertamento della sussistenza e dell’ammontare del credito, il Tribunale ha ritenuto che l’opponente non avesse fornito la prova di aver tempestivamente e regolarmente notificato alla contribuente il titolo legittimante l’imposizione fiscale. Precisato infatti che all’istanza d’insinuazione al passivo dev’essere allegata la cartella di pagamento regolarmente notificata al debitore, la quale contiene l’intimazione ad adempiere e costituisce anche un estratto del ruolo, e ritenuto che la notifica ha la funzione di consentire al debitore in bonis o al curatore di sollevare eventuali contestazioni e di promuovere il giudizio dinanzi al giudice tributario, ha rilevato che la ricorrente si era limitata a produrre semplici estratti di ruolo, muniti della dichiarazione di conformità resa dal concessionario, nonché alcune relate di notifica ed avvisi di ricevimento postale, inidonei a fornire la prova dell’avvenuta notifica delle cartelle esattoriali. Ha osservato al riguardo che l’estratto del ruolo non riproduceva per intero il contenuto della cartella, non recava tutte le indicazioni prescritte dall’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e dal d.m. 28 giugno 1999, non era stato rilasciato da un pubblico ufficiale debitamente autorizzato e nelle forme previste dall’art. 18 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, e proveniva dallo stesso soggetto che aveva agito in giudizio. Ha affermato infine che le relate di notifica avrebbero dovuto essere apposte, a pena di nullità, in calce all’originale ed alla copia dell’atto notificato, in quanto la semplice produzione dell’avviso di ricevimento non costituisce prova sufficiente dell’avvenuto recapito del documento in questione.
2. Avverso il predetto decreto l’Equitalia Pragma ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il curatore ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2717 e 2718 cod. civ., dell’art. 24 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 5, comma quinto, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, osservando che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2718, il Tribunale non ha considerato che il concessionario del servizio di riscossione è depositario del ruolo, emesso dall’ufficio territorialmente competente in via telematica, ed è abilitato a rilasciare idonea certificazione del ricevimento dello stesso, nonché a rilasciarne copia autentica. Premesso inoltre che l’avviso di ricevimento costituisce prova sufficiente dell’avvenuta notificazione, recando l’indicazione del numero della cartella ed essendo sottoscritto da colui che ha ricevuto l’atto, sostiene che la relata di notifica fa fede fino a querela di falso, precisando che la mancata compilazione della stessa non costituisce causa di nullità della notifica, ma una mera irregolarità. Contesta infine la tardività della produzione dei documenti, rilevando che gli stessi, depositati in copia conforme unitamente all’atto di opposizione, erano stati prodotti in originale, con l’autorizzazione del Giudice relatore, non appena la società incaricata della loro scansione e conservazione li aveva fatti pervenire.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 e del d.m. 28 giugno 1999, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto insufficiente la documentazione prodotta, senza indicare le formalità non rispettate nella riproduzione degli estratti del ruolo. Afferma infatti che le cartelle notificate erano conformi al modello ministeriale, in quanto riportavano tutti i dati relativi al soggetto, al ruolo, alla notifica, ai tributi iscritti, ai relativi sgravi ed alle quietanze di pagamento.
3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti questioni strettamente connesse, sono fondati.
In tema di riscossione dei crediti tributari, questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente che, in caso di fallimento del debitore, la società concessionaria può chiedere l’ammissione al passivo sulla base del semplice ruolo, come previsto dall’art. 87, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo introdotto dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, senza che occorra, in difetto di espressa previsione normativa, anche la previa notifica della cartella esattoriale, ferma restando la necessità, in presenza di contestazioni del curatore, dell’ammissione con riserva, da sciogliere poi ai sensi dell’art. 88, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, allorché sia stata definita la sorte dell’impugnazione esperibile dinanzi al giudice tributario (cfr. Cass., Sez. VI, 11/11/2016, n. 23110; Cass., Sez. I, 17/03/2014, n. 6126; Cass., Sez. lav., 14/03/2013, n. 6520). E’ stato infatti chiarito che il titolo in base al quale il concessionario è legittimato all’insinuazione è costituito esclusivamente dal ruolo, al quale l’art. 49, primo comma, del d.P.R.n. 602 cit. attribuisce efficacia di titolo esecutivo, mentre nessun accenno viene fatto dalla legge alla necessità che l’insinuazione debba essere preceduta dalla notifica della cartella di pagamento, e tanto meno che quest’ulti- ma sia divenuta definitiva; né la predetta necessità può essere desunta dal termine di decadenza previsto per la notificazione della cartella dall’art. 25, primo comma, del medesimo d.P.R., in quanto il secondo comma di tale disposizione, stabilendo che «la cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata», rende evidente che l’adempimento in questione è sostitutivo della notificazione del precetto, non richiesta ai fini della proposizione della domanda di ammissione al passivo. Neppure potrebbe obiettarsi, infine, che la notificazione della cartella è necessaria per consentire al curatore di proporre ricorso contro il ruolo, in esito all’ammissione con riserva imposta dall’art. 88 cit., posto che l’organo fallimentare viene compiutamente edotto della pretesa erariale attraverso la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda, e può proporre l’impugnazione dinanzi al giudice tributario, come consentito dall’art. 19, lett. d), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prescindendo dalla cartella, in considerazione della specificità della procedura fallimentare e della conseguente inutilità di atti volti a rendere possibile l’esecuzione singolare (cfr. Cass., Sez. VI, 31/05/2011, n. 12019; Cass., Sez. lav., 26/02/2008, n. 5063).
Non può pertanto condividersi il decreto impugnato, nella parte in cui, richiamando precedenti della giurisprudenza di legittimità riguardanti la disciplina anteriore all’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 46 del 1999, ha ritenuto indispensabile, ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti fatti valere dalla ricorrente, che all’istanza d’insinuazione fossero allegate le cartelle di pagamento ritualmente notificate alla società debitrice, affermando l’insufficienza degli estratti di ruolo e l’inidoneità degli avvisi di ricevimento prodotti in giudizio a dimostrare l’avvenuta notificazione del titolo legittimante la riscossione. Tale titolo, come si è detto, non è costituito dalla cartella di pagamento, avente soltanto la funzione di portare la pretesa fiscale a conoscenza del contribuente e d’intimargli il pagamento, ma esclusiva- mente dal ruolo, definito dall’art. 10, lett. b), del d.P.R.n. 602 del 1973 come «l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario», predisposto secondo le procedure e recante i dati stabiliti con decreto del Ministro competente, sottoscritto dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato, ai sensi dell’art. 12 del medesimo d.P.R., e consegnato al concessionario per la riscossione, ai sensi dell’art. 24. E siccome non è ipotizzabile che, per la proposizione dell’azione nei confronti del singolo contribuente, il concessionario abbia l’onere di produrre l’intero elenco, lo stesso può essere sostituito da un semplice estratto, la cui sufficienza ai fini della prova del titolo trova conferma nell’art. 57 del d.P.R. in esame, che, nel disciplinare le opposizioni del contribuente all’esecuzione promossa dal concessionario, dispone espressamente, al secondo comma, che il giudice dell’esecuzione, nel fissare l’udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé, debba ordinare al concessionario di depositare in cancelleria «l’estratto del ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione». L’idoneità dell’estratto a fornire la prova dell’iscrizione a ruolo del credito tributario trova giustificazione anche nel processo d’informatizzazione dell’Amministrazione finanziaria, che, comportando la smaterializzazione del ruolo, sostituito da un elenco in formato digitale, rende indisponibile un documento cartaceo da produrre in giudizio, imponendone la sostituzione con una stampa dei dati riguardanti la partita da riscuotere, tale da mettere il contribuente ed il giudice in grado d’individuare il credito azionato. In tal senso depongono chiaramente sia l’art. 24, secondo comma, del d.P.R. n. 602, che demandava ad un decreto ministeriale l’individuazione delle ipotesi in cui l’affidamento dei ruoli ai concessionari avviene esclusivamente con modalità telematiche, sia il d.m. 3 settembre 1999, n. 321, recante norme per la determinazione del contenuto del ruolo e dei tempi, procedure e modalità della sua formazione e consegna, che, in attuazione della predetta disposizione, ha previsto, all’art. 2, che la consegna dei ruoli al concessionario abbia luogo mediante trasmissione telematica, in conformità di specifiche tecniche da approvare con decreto dirigenziale, unitamente al modello in base al quale devono essere formati i ruoli.
3.1. Nella specie, l’efficacia probatoria degli estratti prodotti dalla ricorrente è stata esclusa dal Tribunale in virtù del rilievo, ritenuto idoneo ad escludere l’applicabilità dell’art. 2718 cod. civ., che le copie depositate, provenienti dalla stessa attrice, non recavano tutte le indicazioni prescritte dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dal d.m. 28 giugno 1999 per la cartella di pagamento e non risultavano rilasciate da un pubblico ufficiale autorizzato nelle forme prescritte dall’art. 18 del d.P.R. n. 445 del 2000.
In contrario, la ricorrente invoca alcuni precedenti di legittimità con cui si è riconosciuto che, ai fini dell’insinuazione al passivo del fallimento, la copia della parte del ruolo relativa al contribuente, munita della dichiarazione di conformità all’originale resa dal collettore delle imposte, poteva costituire prova del credito tributario, ai sensi dell’art. 2718 cod. civ., osservandosi che il collettore esercitava le stesse funzioni dell’esattore, di cui era coadiutore ai sensi dell’art. 130 del d.P.R. 15 maggio 1963 n. 858, e che l’esattore, pur non rientrando tra i «pubblici depositari» (cui la legge attribuisce la funzione di tenere gli atti a disposizione del pubblico e che sono obbligati, ai sensi dell’art. 743 cod. proc. civ., a rilasciare copia degli atti anche a chi non ne è parte) era tuttavia un «depositario» del ruolo, consegnatogli dall’intendente di finanza, ed inoltre era autorizzato a rilasciarne copia, ai sensi dell’art. 14 della legge 4 gennaio 1968 n. 15 (cfr. Cass., Sez. I, 5/12/2011, n. 25962; 6/05/1994, n. 4426). Tale orientamento deve tuttavia ritenersi superato, per effetto sia dell’art. 77 del d.P.R. n. 445 del 2000, che ha abrogato la legge n. 15 del 1968, sia della modificazione del sistema della riscossione, che, comportando l’affidamento del relativo servizio a società private, esclude la possibilità di qualificarle come pubblici depositari, sia pure nell’ampia accezione prevista dalle sentenze citate, con la conseguente inapplicabilità dell’analoga disposizione dettata dall’art. 18, secondo comma, del d.P.R. n. 445 cit. Parimenti inapplicabile risulta l’art. 5, comma quinto, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, il cui tenore letterale, nel prevedere che «sono validi agli effetti della procedura di riscossione dei tributi i certificati, le visure e qualsiasi atto e documento amministrativo rilasciati, tramite sistemi informatici o telematici, al concessionario del servizio della riscossione dei tributi qualora contengano apposita asseverazione del predetto concessionario della loro provenienza», non può considerarsi riferibile agli estratti dei ruoli, formati dallo stesso concessionario sulla base del documento informatico consegnatogli.
Il riferimento normativo più appropriato è rappresentato piuttosto dallo art. 23 del d.lgs. n. 82 del 2005, nel testo sostituito da ultimo dall’art. 16, comma primo, del d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, il quale, al secondo comma, prevede che «le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale, se la loro conformità non è espressamente disconosciuta», aggiungendo che «resta fermo, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico». Nel testo originario, tale disposizione si limitava a stabilire, sic et simpliciter, la validità, a tutti gli effetti di legge, dei duplicati, delle copie, e degli estratti del documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, purché conformi alle vigenti regole tecniche, escludendo la necessità dell’autenticazione ma nulla disponendo in ordine ad un’eventuale contestazione. Con l’art. 11 del d.lgs. 4 aprile 2006, n. 159, fu poi aggiunto all’art. 23 il comma 2-bis, il quale introdusse un regime assai più rigoroso per «le copie su supporto cartaceo di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale», prevedendo che le stesse potessero sostituire ad ogni effetto di legge l’originale da cui erano tratte, ma solo a condizione che la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti fosse attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Tale limitazione, in vigore all’epoca della proposizione dell’istanza d’insinuazione al passivo, è peraltro venuta meno a seguito della sostituzione disposta dal d.lgs. n. 235 cit., entrata a sua volta in vigore in data anteriore alla pronuncia del decreto impugnato, e comunque applicabile nel giudizio in esame, anche in sede di legittimità, trattandosi di una disposizione a carattere sostanziale, in quanto attinente all’efficacia dei mezzi di prova, e quindi sottratta all’operatività del principio tempus regit actum.
Per effetto della disciplina dettata dalla predetta disposizione, e non risultando che il curatore avesse sollevato contestazioni in ordine alla conformità all’originale, deve dunque ritenersi che il decreto impugnato non potesse disconoscere l’efficacia probatoria degli estratti di ruolo prodotti dalla ricorrente, trattandosi di copie parziali su supporto analogico di un documento informatico, formate nell’osservanza delle regole tecniche che presiedono alla trasmissione dei dati dall’ente creditore al concessionario della riscossione, ed aventi quindi il medesimo valore del ruolo.
3.2. Quanto poi al contenuto degli estratti, ritenuto insufficiente dal decreto impugnato, non può condividersi l’affermazione del Tribunale, secondo cui l’estratto di ruolo sarebbe cosa ben diversa dalla copia della cartella, in quanto quest’ultima riprodurrebbe per intero il contenuto del documento, mentre l’estratto ne riprodurrebbe una o più parti, scelte eliminando elementi considerati non essenziali in relazione all’interesse che la documentazione mira a soddisfare: al pari delle cartelle, formate sulla base di modelli approvati con decreto ministeriale, gli estratti costituiscono infatti una parziale ma fedele riproduzione del ruolo, limitata alle informazioni riguardanti il credito da riscuotere, ma contenente tutti gli elementi indispensabili ai fini dell’esercizio dell’azione esecutiva affidata al concessionario, vale a dire i dati identificativi del contribuente e dell’ente creditore, nonché quelli necessari per individuare la natura e l’entità delle pretese iscritte a ruolo (cfr. Cass., Sez. VI, 23/02/2017, n. 4747; Cass., Sez. IlI, 9/06/2016, n. 11794; Cass., Sez. V, 1/02/2017, n. 4798). Se ciò è vero, peraltro, deve ritenersi che, ai fini del rigetto della domanda di ammissione al passivo, il decreto impugnato non potesse limitarsi a rilevare genericamente che gli estratti di ruolo prodotti dalla ricorrente non contenevano tutte le indicazioni obbligatoriamente prescritte dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dal d.m. 28 giugno 1999, ma dovesse specificare quali, tra le predette indicazioni, risultavano omesse o incomplete, in modo tale da consentire d’individuare le ragioni per cui ha ritenuto tali documenti inidonei a fungere da titolo per la riscossione del credito.
4. Il decreto impugnato va pertanto cassato, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Taranto, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato; rinvia al Tribunale di Taranto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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