CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2018, n. 1032
Amministrazione straordinaria – Ammissione allo stato passivo – Credito insinuato in via privilegiata – Riconoscimento della superiore qualifica – Importi a titolo risarcitorio del danno alla professionalità, biologico, danni non patrimoniali, differenze retributive e di Tfr – Ricorso inammissibile – Mera sollecitazione alla rivisitazione
Fatti di causa
Con sentenza 9 maggio 2012, il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione proposta, ai sensi degli artt. 53 d.Ig. 270/1999 e 98 l. fall., da D.D.G. avverso lo stato passivo dell’amministrazione straordinaria C.F. s.p.a. in liquidazione, dal quale era stato escluso, in difetto di prova, il credito insinuato in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis n. 1 c.c., previo il riconoscimento della superiore qualifica di II livello di addetta ad attività amministrative e finanziarie, per gli importi di € 20.250,00 a titolo risarcitorio del danno alla professionalità, di € 86.561,81 a titolo risarcitorio del danno biologico, di € 30.000,00 di ulteriori danni non patrimoniali, di € 5.928,07 per differenze retributive e di T.f.r.
In esito a critico e argomentato esame delle risultanze istruttorie, il Tribunale escludeva la prova dello svolgimento dalla lavoratrice di mansioni superiori a quelle di contabile e cassiera, coerenti con il suo inquadramento professionale al IV livello contrattuale di categoria e di conseguenza anche delle domande per differenze retributive e T.f.r., nonché risarcitorie per danni da dequalificazione e biologico: siccome quest’ultimo asseritamente dipendente da una condizione lavorativa di illegittimi trasferimenti e vessazioni, non risultati in giudizio.
Con atto notificato il 8 giugno 2012, la lavoratrice ricorreva per cassazione con tre motivi, cui resisteva la procedura con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., per mancato riconoscimento di una qualificazione corrispondente alle superiori mansioni svolte (in particolare, di assistente del responsabile di un punto vendita) rispetto a quelle di inquadramento al IV livello (come cassiera e di contabilità per il carico e lo scarico di merci) e per la dequalificazione subita, anche attraverso i numerosi trasferimenti di unità produttiva subiti, in contrasto con le risultanze istruttorie (circolari di servizio degli anni 2004 e 2005 trascritte e deposizioni testimoniali riportate), non correttamente valutate dal Tribunale e con evidenti vizi logici e argomentativi.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’erroneo rigetto della domanda risarcitoria per dequalificazione professionale e conseguente danno biologico, nonostante gli illegittimi trasferimenti subiti, erroneamente ricondotti ad una prassi aziendale di rotazione generale del personale e la sua soggezione a ordini di dipendenti stagionali inquadrati a livelli inferiori, secondo le risultanze istruttorie dedotte, in base a valutazione viziata nei criteri logici e argomentativi.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., per omessa tutela dell’integrità psichica e fisica della lavoratrice, afflitta da sindrome ansioso-depressiva reattiva, conseguente alla condizione di stress lavorativo, certificata dalla documentazione medica trascritta e dalla testimonianza della psichiatra presso il Centro di Salute Mentale di Albano Laziale, cui si era rivolta, erroneamente valutata dal Tribunale.
4. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., per mancato riconoscimento alla lavoratrice di una qualificazione corrispondente alle superiori mansioni svolte e per la dequalificazione subita, è inammissibile.
4.1. La violazione della norma di legge denunciata è, infatti, inconfigurabile per difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
4.2. La ricorrente ha poi omesso di allegare specificamente le circostanze in fatto che sostanzierebbero la violazione, così da non consentire di determinare, attraverso la debita scansione del noto procedimento trifasico (di accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, di individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e di raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda) l’inquadramento genericamente rivendicato: comunque oggetto di un giudizio di fatto riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da logica ed adeguata motivazione (Cass. s.u. 30 ottobre 2008, n. 26233; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589).
4.3. Appare allora chiaro come la doglianza non integri l’error in iudicando in questione, anche per gli evidenti riferimenti a vizi di illogicità e incongruenza motiva (in particolare: al terz’ultimo capoverso di pg. 12, al terzo di pg. 41, al primo di pg. 44 del ricorso), sicchè essa in realtà consiste in una critica del ragionamento decisorio, sotto l’essenziale profilo valutativo degli elementi probatori acquisiti; ma ciò ridonda in una sollecitazione alla rivisitazione, in contrapposizione con la ricostruzione giudiziale, del merito decisorio, non consentita in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato complessivamente adeguata (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 della sentenza).
5. Anche il secondo motivo, relativo ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’erroneo rigetto della domanda risarcitoria per dequalificazione professionale e conseguente danno biologico, è infondato.
5.1. Il vizio motivo denunciato non sussiste, posto che l’omessa o insufficiente motivazione, censurabile con ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., ricorre solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risultante dalla sentenza, sia riscontrabile un’obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento; mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, ossia l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Né questi vizi possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove espresso dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al predetto l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta tra le risultanze istruttorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, l’attribuzione di prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. s.u. 21 dicembre 2009, n. 26825).
5.2. Nel caso di specie, il ragionamento argomentativo del Tribunale appare giuridicamente corretto e logicamente congruente, pienamente adeguato a spiegare l’esito decisionale (per le ragioni esposte dal terzo capoverso di pg. 6 al penultimo di pg. 7 della sentenza), piuttosto censurato sotto il profilo inammissibile della prospettata rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte, nel senso di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti. Ma tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionale valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata: diversamente, il motivo risolvendosi in un’istanza inammissibile di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e pertanto in una richiesta diretta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).
6. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., è assorbito.
6.1. Ed infatti, l’esame della questione, dipendente dall’accertamento dei fatti denunciati con i primi due mezzi, è precluso dal loro rigetto, come correttamente osservato dal Tribunale (“L’assenza di dequalificazione professionale non può pertanto che comportare il rigetto della correlata pretesa risarcitoria, ovvero il lamentato danno biologico, che, secondo la prospettazione attrice, trova fonte nei trasferimenti e nelle vessazioni subite”: così al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna Domenica Di Giacinto alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
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