Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 57917 depositata il 29 dicembre 2017
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – ATTREZZATURA DI LAVORO E DISPOSITIVI DI SICUREZZA
Fatto
1. Con sentenza del Tribunale di Asti in data 13/02/2017, L.P.D. era stato assolto, perché il fatto non costituisce reato, in relazione alle fattispecie di cui alle seguenti disposizioni: artt. 71, comma 4 e 87 del d.lgs. 81/2008, per avere omesso, nella sua qualità di datore di lavoro della ditta L.P.D. R.C., di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzatura di lavoro con dispositivi di sicurezza, che avrebbero dovuto impedire l’accesso alla zona pericolosa, non funzionanti o manomessi o mancanti dei relativi dispositivi di interblocco (capo a); artt. 71, comma 1, in relazione all’art. 70, comma 2, e 87 d.lgs. n. 81 del 2008 per avere, nella stessa qualità, messo a disposizione dei lavoratori, attrezzatura di lavoro non conforme ai requisiti di cui all’allegato V (capo b).
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, deducendo un unico motivo di impugnazione – di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. – l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., in relazione al d.lgs. 758/1994 e agli artt. 42 e 43 cod. pen.. Secondo il ricorrente, infatti, il giudice di prime cure avrebbe assolto l’imputato, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, sul presupposto che avrebbe dovuto escludersi, nei suoi confronti, ogni profilo di negligenza, imprudenza o imperizia per avere egli omesso di adempiere tempestivamente alle prescrizioni “per un eccesso di prudenza”, a causa del quale egli aveva voluto “approfondire tutte le soluzioni tecnicamente possibili per garantire al massimo la sicurezza dei suoi dipendenti”. In questo modo, tuttavia, il giudice di prime cure avrebbe confuso il piano della responsabilità per il reato già commesso con quello della possibilità di estinguere l’illecito mediante la procedura prevista dal decreto n. 758 del 1994.
3. In data 21/09/2017 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell’avv. omissis, difensore dell’imputato, con la quale è stata dedotta l’infondatezza del ricorso del Pubblico ministero sul rilievo che l’accertata situazione di impossibilità di adempiere alle prescrizioni avrebbe comunque rilevato, oltre che sul piano del meccanismo estintivo previsto dal d.lgs. n. 758/1994, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Fermo restando che l’impugnazione sarebbe diretta a travolgere gli accertamenti in fatto compiuti da parte del giudice di primo grado, sollecitando un giudizio, da parte di questa Corte, che in realtà le sarebbe precluso.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Preliminarmente, occorre ricordare che secondo quanto stabilito dall’art. 20 d.lgs. 758/1994 (intitolato “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro”), nel caso in cui l’organo di vigilanza abbia accertato la commissione di un reato in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, esso impartisce al contravventore, allo scopo di eliminare la contravvenzione, un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario (comma 1); prescrizione con la quale l’organo può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro (comma 3).
Secondo quanto stabilito dall’art. 21, rubricato “verifica dell’adempimento”, del d.lgs. n. 758 del 1994, entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione (comma 1). E quando risulta l’adempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione accertata. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza comunica al Pubblico ministero l’adempimento alla prescrizione, nonché l’eventuale pagamento della predetta somma (comma 2). Quando, invece, risulta l’inadempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al Pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione (comma 3).
Ai sensi del successivo art. 23, rubricato “sospensione del procedimento penale”, il procedimento penale per la contravvenzione è sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen., fino al momento in cui il Pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all’art. 21, commi 2 e 3.
A mente dell’art. 24, rubricato “estinzione del reato”, se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’art. 21, comma 2, la contravvenzione si estingue e il Pubblico ministero richiede l’archiviazione della notitia criminis.
Tali disposizioni, continuano a trovare applicazione, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 81/2008, giusta il disposto dell’art. 301 dello stesso decreto.
3. Sempre in premessa va ricordato che, come correttamente osservato dal ricorrente, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758 del 1994 configura un’ipotesi di condizione di procedibilità dell’azione penale (Sez. 3, n. 29238 del 17/02/2017, dep. 13/06/2017, P.M. in proc. C., in motivazione; Sez. 3, n. 5892 del 24/06/2014, dep. 10/02/2015, G., Rv. 264062; Sez. 3, n. 43839 del 24/10/2007, dep. 26/11/2007, P., Rv. 238271; Sez. 3, n. 43825 del 4/10/2007, dep. 26/11/2007, D.S., Rv. 238260), la quale, dunque, prescinde totalmente dal profilo relativo alla avvenuta commissione dei reati contestati e interessati dal meccanismo estintivo in questione.
In questa prospettiva, rileva innanzitutto il Collegio come non possa esservi alcun dubbio in ordine al fatto che il descritto comportamento, riconosciuto dal primo giudice come diligente, sia rilevante ai fini del giudizio sul mancato adempimento delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza. Sul punto, deve infatti ritenersi che il giudice penale possa sempre valutare, nel verificare la sussistenza dell’elemento della fattispecie estintiva, se l’inadempimento sia ascrivibile o meno all’imputato, non soltanto sotto il profilo di una forza maggiore idonea a escludere la suitas della condotta omissiva (cfr. Sez. 7, n. 10083 del 25/11/2016, dep. 1/03/2017, Ruggiero, Rv. 269209), ma finanche sotto il profilo di una rimproverabilità soggettiva della mancata osservanza, certamente da escludersi nel caso in cui l’obbligato abbia tenuto una condotta pienamente rispettosa dei criteri prevenzionistico-cautelari che costituiscono il contenuto della regola di diligenza, prudenza o perizia.
E, tuttavia, deve ritenersi che abbia certamente errato il giudice di prime cure nel ritenere che il comportamento dell’odierno imputato, pur qualificato come del tutto diligente e prudente, possa assumere una qualche rilevanza ai fini della esclusione dell’elemento soggettivo delle contravvenzioni contestate, trattandosi, come già osservato, di un aspetto che viene in rilievo dopo che il reato, nelle sue componenti oggettive e soggettive, è stato integrato ed ai soli fini della integrazione del menzionato meccanismo estintivo, a cui sarebbe dovuta conseguire non già la pronuncia assolutoria “perché il fatto non costituisce reato”, quanto piuttosto la declaratoria di non doversi procedere per avvenuta estinzione dell’illecito contravvenzionale.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al tribunale di Asti.
5. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Asti. Motivazione semplificata.
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