CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 gennaio 2018, n. 2215
Contenzioso tributario – Procedimento – Contenuto della sentenza – Vizio motivazionale – Omessa descrizione del processo cognitivo – Annullamento della sentenza
Fatti di causa
1. La Guardia di Finanza di Pordenone, nell’ambito di un procedimento penale, effettuava la perquisizione delle abitazioni di C.C. e Ci.C., rinvenendo e sequestrando, tra l’altro, documentazione contabile comprovante l’acquisto di materiale orafo che, successivamente all’acquisto, veniva commercializzato. I militari accertavano che i predetti non erano mai stati in possesso di alcuna licenza o autorizzazione necessaria per il commercio di preziosi, né avevano mai provveduto all’iscrizione dell’attività presso la Camera di Commercio.
Sulla scorta di tali risultanze, veniva effettuata una verifica fiscale a carattere generale nei confronti della società di fatto esistente tra C. e Ci.C., i cui risultati erano esposti nel processo verbale di constatazione redatto il 27 dicembre 1999. Nell’ambito dell’attività di polizia giudiziaria venivano, inoltre, eseguiti accertamenti bancari, i cui risultati erano esposti nel processo verbale di constatazione redatto il 9 agosto 2000.
Veniva così rilevata l’esistenza tra i C. di un’attività commerciale organizzata in forma di impresa collettiva, nella tipologia della società di fatto, in assenza delle prescritte autorizzazioni e senza, quindi, aver mai provveduto a regolarizzare l’attività esercitata, con conseguente posizione di evasore totale. Nel corso delle indagini, era anche emerso che G.F., madre dei C., faceva parte della società di fatto.
2. Sulla base di tali risultanze, l’Ufficio di Pordenone provvedeva a rideterminare il volume di affari non dichiarato e ad emettere avvisi di accertamento, in relazione ai periodi d’imposta dal 1994 al 1999, per Iva, Ilor, Irpeg, Irap nei confronti della società di fatto e per Irpef nei confronti dei soci C.C., Ci.C. e G.F., quale reddito di partecipazione, con irrogazione delle relative sanzioni.
3. Avverso i suddetti atti impositivi la società e i soci proponevano ricorso dinanzi alla C.T.P. di Pordenone, che li accoglieva, sul rilievo che l’Ufficio, nella ricostruzione del reddito, non aveva avuto in considerazione l’effettiva situazione dei contribuenti, i quali si erano trovati in precarie condizioni economiche, tanto da dover reiteratamente dare in pegno preziosi ed essere anche costretti a contrarre prestiti usurari, come accertato in sede penale.
4. La decisione veniva confermata dalla C.T.R. del Friuli-Venezia Giulia, con sentenza del 25 gennaio 2010.
5. Avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi.
6. Resistono con controricorso i contribuenti.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce error in procedendo ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 36, comma 2, n. 4 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, censurando la motivazione della sentenza impugnata in quanto astratta, generica e vaga in relazione ai motivi di appello formulati dall’Ufficio, contenente soltanto i giudizi statici finali adottati dal giudicante, senza alcuna esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione assunta.
2. La censura è fondata.
2.1. Appare opportuno premettere che il giudice, nel pronunciare la sentenza, non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della motivazione, essendo necessaria la descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione iniziale di ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto «dinamico» della motivazione stessa (Cass. n. 15964 del 2016). Non adempie il dovere di motivazione il giudice che si limiti a richiamare principi giurisprudenziali asseritamente acquisiti, senza tuttavia formulare alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa e, dunque, senza ricostruire la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta; in una situazione di tal tipo, infatti, il sillogismo che distingue il giudizio finisce per essere monco della premessa minore e, di conseguenza, privo della conclusione razionale (Cass. n. 22242 del 2015). Va, inoltre, rammentato che nel processo tributario, è nulla, per violazione degli art. 36 e 61 d.lgs. n. 546/1992, la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle, così rendendosi impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, in tal modo non consentendo di ritenere che una siffatta affermazione di condivisione sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione della infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 242 del 2015).
2.2. La C.T.R., nella sentenza impugnata, ha affermato: «gli elementi che la Commissione provinciale ha inteso evidenziare e porre a base del giudizio, sostanzialmente fondato sulla inadeguatezza dei motivi dell’accertamento, non si possono che condividere. I motivi d’appello nulla poi aggiungono, esaurendosi pure loro in una pretesa completezza e legittimità dell’azione dell’Ufficio senza peraltro fornire quegli elementi che lascino capire quale sia il cammino logico e la ricostruzione contabile del reddito che viene imputato. Ma anche se è corretto quanto sostiene l’Ufficio quando indica che con l’accertamento induttivo gli uffici applicano criteri variabili in funzione delle caratteristiche del soggetto interessato e dell’attività svolta, è ben vero che tali criteri non sono stati chiaramente indicati né tantomeno sono stati altrettanto chiaramente applicati. Nulla da dire sulla giurisprudenza citata dall’Ufficio, peccato che i principi ivi indicati non siano poi stati utilizzati nell’accertamento in questione, eseguito con troppa superficialità e con l’utilizzazione di criteri e parametri che non trovano giustificazione nella motivazione dell’atto impositivo. Anche il richiamo all’inversione dell’onere della prova sembra stridere con gli argomenti e le prove addotte dai contribuenti, che – a giudizio di questa Commissione – sembrano più che idonei e sufficienti allo scopo. Ha ben ragione la difesa degli appellati quando sostiene – numeri alla mano viene da dire – che le risultanze cui l’Ufficio giunge sono decisamente incompatibili fra loro ed anche con quanto verbalizzato dalla Guardia di Finanza. Il semplice raffronto delle cifre tratte dai pvc mostra come si tratti di importi decisamente in contrasto fra loro».
Orbene, dal passaggio motivazionale testualmente riportato si evince, con tutta evidenza, come la decisione gravata non si ponga in linea con i principi, sopra richiamati, espressi da questa Corte. La C.T.R., invero, ha sviluppato argomentazioni del tutto astratte, prive di specifici riferimenti ai fatti rilevanti di causa e, quindi, alla fattispecie concreta, omettendo di esaminare e valutare le censure formulate dall’Ufficio nell’atto di appello (riportate nelle pagg. 19 e 20 del ricorso per cassazione) ed esprimendo, nella sostanza, un giudizio di mera condivisione della sentenza impugnata.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento agli altri passaggi della decisione, ove si afferma: «è stato forse l’Ufficio a promuovere un accertamento “a peso”, senza attenersi scrupolosamente ai dati di fatto ed agli argomenti – pur se valutabili dall’Ufficio – portati dai contribuenti. La presenza di numerosissime operazioni di natura finanziaria ha in effetti “confuso” gli accertatori che non sono stati in grado di analizzarle in modo chiaro e sopra tutto riscontrabile»; «ogni sforzo va indirizzato ad individuare la reale capacità contributiva del soggetto, utilizzando strumenti presuntivi che non possono avere effetti automatici ma richiedono un confronto con la situazione concreta. E’ quanto invece è stato omesso dall’Ufficio e brillantemente messo in luce con la sentenza che qui viene impugnata e di cui si chiede la riforma, laddove limiti, incongruità e deficienze andavano ricercate nell’operato dell’Ufficio. Merita pertanto conferma completa la decisione dei primi giudici, che hanno evidenziato in modo perfetto i termini della questione fornendo una soluzione legittima ed inoppugnabile».
3. Dall’accoglimento del primo motivo in relazione al vizio denunciato discende l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.
4. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.T.R. del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.T.R. del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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