CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 6934 depositata il 13 febbraio 2018
Omesso versamento ritenute previdenziali ed assistenziali relative ai dipendenti – Condanna del legale rappresentante – Prova del materiale esborso della retribuzione – Prove documentali, testimoniali ovvero attraverso prova indiziaria – Deduzione dalla presentazione dei modelli DM10
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 13/12/2016, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Brescia del 17.02.2016, con la quale L.U.C. era stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv cod.pen.e 2, comma 1 bis, legge n. 638/83 – perché, nella qualità di legale rappresentante della V.P. srl, ometteva di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali relative ai lavoratori occupati nei periodi novembre 2011, dicembre 2011, gennaio 2012, febbraio 2012, marzo 2012, aprile 2012, maggio 2012, giugno 2012, luglio 2012 per un importo complessivo di contributi non regolarizzati pari ad euro 125.862,09 – e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 400,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.U.C., a mezzo del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione in relazione al rigetto della eccezione preliminare di validità della dichiarazione di elezione di domicilio da parte dell’imputato.
Argomenta che, essendo presente agli atti solo in copia l’elezione di domicilio di cui al verbale di identificazione dei Carabinieri di Introbio del 16.2.2014 (presso lo studio del difensore), doveva considerarsi valida la precedente elezione di domicilio del 9.1.2014 (alla via bergamini n. 6), con conseguente nullità di notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e del decreto di citazione a giudizio, nullità eccepita all’udienza di comparizione delle parti del 16.12.2015.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 438 comma 5 cod.proc.pen.
Lamenta che con motivo di appello aveva impugnato il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato e che la Corte territoriale aveva ritenuto non decisiva la prova testimoniale rispetto al tema del mancato pagamento delle retribuzioni mensili ai dipendenti per mancata indicazione delle circostanze su cui avrebbe dovuto deporre il teste indicato; le argomentazioni offerte dalla Corte territoriale erano illogiche perché davano rilievo al solo verbale di udienza, redatto dal cancellerie, e non consideravano la lista testi in atti né il fatto che, comunque, nell’atto di appello si evidenziavano le circostanze su cui doveva vertere l’esame del teste.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva.
Argomenta che la Corte territoriale rigettava la richiesta di rinnovazione istruttoria ritenendola superflua in quanto riferita alla sola deduzione della situazione di crisi aziendale, mentre invece, la richiesta istruttoria era diretta a provare il mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti dovuto all’impossibilità oggettiva di un preventivo accontamento nell’ultimo periodi di vita della società.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità.
Argomenta che la Corte territoriale, nonostante specifica deduzione nell’atto di appello circa la mancata presenza agli atti dei modelli DM10, invertendo l’onus probandi riteneva la prova acquisita in relazione al verbale di accertamento INPS ed alla mancata espressa contestazione dell’imputato in ordine alla mancata presentazione dei modelli DM 10.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Argomenta che la Corte territoriale riteneva che la situazione di illiquidità dell’azienda non escludeva la sussistenza del dolo, senza valutare la documentazione prodotta dalla difesa che comprovava tutti i tentativi posti in essere dall’imputato nel corso dell’anno 2011 per evitare il tracollo della società e senza considerare che nel caso in cui l’omesso versamento si accompagni al mancato pagamento degli stipendi la giurisprudenza di legittimità ammetteva lo stato di forza maggiore e, comunque, escludeva la sussistenza del dolo.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, lamentando sul punto una motivazione apparente e la mancata considerazione della produzione difensiva che comprovavano gli sforzi dell’imputato tra il 2010 e il 2012 per evitare la decozione della società.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’ art. 162, comma 1, cod. proc. pen. richiede che la dichiarazione di elezione di domicilio sia raccolta a verbale o sia spedita per telegramma o per lettera raccomandata con firma dell’imputato autenticata dal notaio o dal difensore.
Nella specie, la dichiarazione di elezione di domicilio presso lo studio del difensore è stata raccolta dalla polizia giudiziaria nel verbale di identificazione del 16.2.2014, trasmesso all’autorità giudiziaria via fax e non in originale.
Va osservato che il verbale redatto da pubblici ufficiali è atto pubblico, il cui contenuto fa piena prova dei fatti avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale oltre che della provenienza delle dichiarazioni fino a quando non ne sia stata dimostrata la falsità; ove trasmesso via fax all’autorità giudiziaria procedente, ne risulta la provenienza da parte della polizia giudiziaria che ha formato l’atto senza che sia necessaria l’attestazione di conformità all’originale dell’atto trasmesso.
Del resto, è stato anche chiarito che nessuna norma processuale richiede la certificazione ufficiale di conformità per l’efficacia probatoria delle copie (nella specie fotostatiche); al contrario, si è affermato che “vige nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 cod. proc. pen. e dalla stessa direttrice n. 1 della legge delega per il nuovo codice, che stabilisce la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni atto non essenziale” (Sez.3, n.1324 del 27/04/1994, Rv.200375).
L’elezione di domicilio effettuata dall’imputato presso il difensore, di cui al verbale di identificazione dei Carabinieri di Introbio del 16.2.2014, risulta, pertanto valida e prevale sulla precedente elezione di domicilio del 9.1.2014.
Va ricordato che, in tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata, stante l’identità della natura giuridica della nuova manifestazione di volontà, che assume efficacia al momento in cui viene comunicata agli organi competenti (Sez.U, n. 41280 del 17/10/2006, Rv. 234905; Sez.6, n. 20384 del 21/04/2009,Rv. 243856; Sez.6, n. 30767del 03/07/2013, Rv. 257740).
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza dell’eccezione di nullità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e della notifica del decreto di citazione a giudizio, in quanto regolarmente effettuate presso il difensore scelto come domiciliatario.
2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha correttamente disatteso la censura difensiva afferente la mancata ammissione del rito abbreviato condizionato all’escussione del teste Z., sottolineando come né nella relativa richiesta né nel verbale di udienza in cui la stessa veniva reiterata erano state precisate le circostanze sulle quali doveva vertere l’esame del teste indicato.
L’art. 438, comma 5, cod.proc.pen. prevede che l’imputato possa “subordinare” la richiesta di giudizio abbreviato ad una “integrazione probatoria necessaria ai fini del decidere” e che l’ammissibilità della richiesta è a sua volta subordinata alla verifica della effettiva necessità dell’integrazione probatoria e della sua compatibilità con le finalità di economia processuale.
La richiesta probatoria deve avere, quindi, un contenuto analitico e specifico, indicando in maniera esaustiva tanto il mezzo che l’oggetto dell’integrazione probatoria in modo da consentire la verifica della sussistenza dei parametri legali di ammissibilità del rito condizionato. Ne consegue che è onere della parte indicare gli atti istruttori richiesti e le circostanze di fatto sulle quali dovrà vertere la prova integrativa, al fine di consentire al giudice di compiere un’effettiva valutazione sulla necessità dell’integrazione e sulla compatibilità di quest’ultima con le finalità del rito speciale e di consentire al p.m. di esercitare concretamente il suo diritto di invocare l’ammissione di prova contraria.
Nella specie, pertanto, il contenuto generico della richiesta probatoria, in ordine alle circostanze di fatto su cui doveva vertere l’esame del teste, è stato legittimamente posto a fondamento del provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato.
Con la censura in esame, che neppure si confronta criticamente con il sottolineato contenuto generico della richiesta, il ricorrente si limita a dedurre che il verbale di udienza, in quanto redatto in maniera sintetica, non avrebbe riportato esattamente la richiesta avanzata.
Tale deduzione risulta infondata in quanto non tiene conto che il verbale di udienza del processo penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, perché è atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale dell’art. 2700 cod. civ.(Sez.3, n.13117 del 27/01/2011, Rv.249918).
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all’esito di rito abbreviato è ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen. e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti (cfr Sez. l, n. 8316 del 14/01/2016, Rv. 266145, che ha affermato che il diritto alla prova, nel giudizio abbreviato, anche in secondo grado degrada ad interesse , nel senso che la parte può stimolare l’ampliamento del quadro cognitivo ma il parametro normativo alla stregua del quale la prova può essere ammessa non è quello della semplice rilevanza e pertinenza ma quello, obiettivamente diverso e più pregnante, della necessità – in primo grado – o della assoluta necessità- in secondo grado); è stato, inoltre, precisato che nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato non condizionato, l’assunzione di nuove prove è possibile solo qualora queste non si riferiscano a circostanze di fatto anteriori al processo e conosciute dall’imputato, trattandosi altrimenti, di prove che avrebbero dovuto formare oggetto di una richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria da sottoporre al relativo vaglio di ammissibilità (Sez. 2, n. 49324 del 25/10/2016, Rv. 268363; Sez. 5, n. 33870 del 07/04/2017, Rv. 270474).
Nella specie, la rinnovazione istruttoria sollecitata dall’appellante aveva ad oggetto circostanze di fatto anteriori al processo e conosciute dall’imputato, e, comunque, ritenute dalla Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, non necessarie ai fini della valutazione di responsabilità.
4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, comma primo bis, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. con modd. in L. 11 novembre 1983, n. 638), ai fini della configurabilità del reato è necessaria la prova del materiale esborso, anche in nero, della retribuzione ed il relativo onere probatorio grava sulla pubblica accusa, che può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali che testimoniali ovvero attraverso il ricorso alla prova indiziaria (Sez. u, n. 27641 del 28/05/2003, Rv. 224609; Sez. 3, n. 38271 del 25/09/2007, Rv. 237829; Sez.3, n. 32848 del 08/07/2005, Rv.232393).
Nella fattispecie tale prova è stata fornita.
La Corte territoriale, nel valutare compiutamente il materiale probatorio, ha rilevato che dalla documentazione in atti (carteggio INPS e verbale di accertamento e notificazione redatto dall’INPS) emergeva che i funzionari INPS avevano accertato sia l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziale di cui all’imputazione che la presentazione dei modelli DM10 da parte del datore di lavoro.
Dalla avvenuta presentazione dei modelli DM10 è stata, quindi, evinta la prova della corresponsione della retribuzione ai lavoratori, in conformità all’orientamento secondo il quale, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10 – attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e l’ammontare degli obblighi contributivi – è valutabile, in assenza di elementi di segno contrario, come prova della effettiva corresponsione degli emolumenti ai lavoratori (Sez.3, n. 21619 del 14/04/2015,Rv.263665; Sez. 3, n. 37330 del 15/07/2014, Rv. 259909), in quanto gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013, Rv. 256957; Sez. 3, n. 32848 del 08/07/2005, Rv. 232393, cit.).
5. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 D.L. n. 463 del 1983, conv. in I. n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicché non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, dep. 28/01/2014, Rv. 258056; conf. n. 5755/2014, non massimata).
Inoltre, costituisce del pari orientamento consolidato l’affermazione che, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Rv. 259190; sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Rv. 263128; sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Rv. 265262). Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’ente previdenziale a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014; sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Rv. 258055; sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014).
La Corte di appello, con motivazione adeguata e logica (pagg 8, 9, 10), ha ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato contestato, facendo buon uso dei principi espressi da questa in subiecta materia da questa Suprema Corte.
La censura mossa dal ricorrente è puramente contestativa e mira a criticare la sentenza della Corte d’appello per il c.d. travisamento per omissione valutativa della documentazione difensiva, della quale peraltro si limita riportare meri “stralci”, tecnica vietata in questa sede per violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso. Ed invero, è stato ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (da ultimo, v.: Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 – dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601). E’ evidente come, nel caso in esame, la tecnica espositiva impiegata dal ricorrente, basata sullo stralcio di alcune parti della documentazione prodotta, neppure seguito dal loro raffronto con le argomentazioni della sentenza impugnata al fine di tentare di dimostrarne l’illogicità, non coglie nel segno e non sfugge alle censure di genericità e di mancato rispetto del principio di autosufficienza.
6. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. l, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed in linea con i suesposti principi di diritto, ha correttamente negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo elemento di prevalente rilievo ostativo, e decisivo ai fini della valutazione negativa della personalità dell’imputato, le modalità del fatto (condotta inadempiente protrattasi per plurime mensilità e di elevato importo) rilevando anche non si rinvenivano elementi valorizzabili in senso positivo per l’imputato.
La motivazione è congrua e priva di vizi logici e si sottrae al sindacato di legittimità.
7. Alla infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell’art. 616 cod.proc.pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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