CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2018, n. 3821
Tributi – Imposta di registro – Agevolazioni fiscali – Coltivatori diretti – Piccola proprietà contadina
Fatti di causa
I contribuenti A. L. e D. B., dopo aver acquistato dei terreni agricoli in data 24 ottobre 2006, impugnavano davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona un avviso di liquidazione con il quale l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Crema aveva determinato una maggiore imposta di registro per effetto del mancato riconoscimento delle agevolazioni fiscali previste per i coltivatori diretti dalla legge 6 agosto 1954, n. 604, per l’arrotondamento della piccola proprietà contadina: i presupposti della maggiore imposizione sono stati individuati nella successiva registrazione, in data 21 dicembre 2006, di un contratto di affitto con cui i terreni oggetto della precedente compravendita sono stati concessi in locazione a S. L..
I contribuenti lamentavano in particolare di essersi immediatamente adoperati per ottenere la liberazione del terreno da coltivare.
La Commissione Tributaria Provinciale di Cremona accoglieva il ricorso con sentenza n. 21 dell’11 febbraio 2011, affermando che la denuncia di affitto sarebbe stata presentata al solo scopo di regolarizzare il versamento dell’imposta e sarebbe stata altresì estranea agli intendimenti dei ricorrenti e dello stesso affittuario.
Contro tale pronuncia proponeva appello l’Agenzia delle entrate lamentando la violazione dell’art. 7 della legge n. 604 del 1954 (che dispone la decadenza delle agevolazioni tributarie qualora l’acquirente alieni il fondo o i diritti parziali su di essi acquistati ovvero cessi di coltivarlo direttamente) e affermando che i contribuenti non solo non avevano mai iniziato la coltivazione diretta dei fondi, in quanto gravati da un contratto di affitto prorogato ai sensi della legge n. 203 del 1982, ma avevano concesso in affitto i medesimi terreni per un’altra annata agricola.
Il ricorso veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con la sentenza n. 132/66/12 del 12 novembre 2012, con la quale, premesso che per usufruire dell’agevolazione tributaria in questione gli acquirenti di un fondo devono dimostrare di coltivarlo direttamente per non incorrere nella decadenza previsto dal citato art. 7, si evidenziava che i contribuenti non avevano iniziato la coltivazione del fondo e che il fondo stesso risultava concesso in affitto come comprovato dalla denuncia presentata dall’affittuario L.; inoltre la tesi dell’erronea presentazione di denuncia del contratto di affitto da parte dell’affittuario in luogo della comunicazione della rinuncia anticipata alla conduzione del fondo non viene ritenuta convincente e non sarebbe suffragata da alcun elemento probatorio da parte dei ricorrenti.
I contribuenti proponevano allora ricorso per Cassazione mediante due motivi di ricorso; resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Con memoria depositata a ridosso dell’udienza, i contribuenti contestavano le argomentazioni svolte dall’Agenzia delle entrate nel controricorso, ribadiva le ragioni già illustrate nel ricorso proposto e insisteva per il suo accoglimento.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il contribuente ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 604 del 1954, in quanto tale norma non comprenderebbe, quale condizione necessaria per ottenere l’agevolazione, la materiale disponibilità del fondo acquistato da coltivare al momento della stipula dell’atto di acquisto e che il ritardo nell’inizio della diretta coltivazione non poteva loro imputarsi in quanto avevano tempestivamente esercitato l’azione per ottenere la liberazione del terreno da coltivare.
Sostengono i ricorrenti che la denuncia unilaterale del contratto di affitto da parte dell’affittuario L. sarebbe stata fatta al fine di regolarizzare il versamento d’imposta da parte dello stesso affittuario in seguito al cambio di proprietà dei terreni, ma con la finalità effettiva di ottenere il rilascio anticipato dei fondi comprati, che all’atto di acquisto erano già condotti dal L..
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, il contribuente ricorrente denuncia l’omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo della causa, in quanto nell’impugnata sentenza si sarebbe argomentata la decadenza dei contribuenti dai benefici statali sulla base della sola circostanza fattuale della mancata disdetta del contratto di affitto e della nuova concessione in affitto a favore del L., senza considerare che vi era stato un atto di rinuncia dell’affittuario: posto che il fatto controverso sarebbe rappresentato dalla tempestività della reazione da parte dell’acquirente del fondo per liberarlo dalla presenza dell’affittuario, non sarebbe logica la motivazione che perviene a conclusioni diverse dalla acquisizioni documentali senza motivare sul punto.
Nel suo controricorso, l’Agenzia delle entrate evidenzia che la sentenza impugnata ha fatto discendere la decadenza dell’agevolazione fiscale dalla circostanza oggettiva della proroga del contratto di affitto concessa al L. da parte dei ricorrenti, a prescindere dalla finalità che detta proroga aveva nelle intenzioni delle parti.
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo la sentenza impugnata ha svolto una corretta applicazione dell’art. 7 della legge n. 604 del 1954.
In effetti, secondo l’art. 7 della legge n. 604 del 1954 «Decade dalle agevolazioni tributarie l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta il quale, prima che siano trascorsi cinque anni dagli acquisti fatti a norma della presente legge, aliena volontariamente il fondo o i diritti parziali su di esso acquistati, ovvero cessa dal coltivarlo direttamente. Decade, altresì, dalle agevolazioni tributarie relative all’acquisto di case, di cui all’ultimo comma dell’art. 1, l’acquirente il quale prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto, aliena volontariamente la casa o la concede in locazione o la adibisce ad uso diverso da quello stabilito da detta disposizione. Nelle ipotesi contemplate dai due commi precedenti, l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta è tenuto al pagamento dei tributi ordinari. L’accertamento delle circostanze per le quali si verifica la decadenza stabilita dal presente articolo è fatto su invito dell’Amministrazione finanziaria o anche direttamente dall’Ispettorato provinciale agrario, il quale deve comunicare all’Intendenza di finanza i risultati degli accertamenti a tale fine effettuati. L’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle imposte dovute nella misura ordinaria, per effetto della decadenza prevista dal presente articolo, si prescrive con il decorso di venti anni dalla data di registrazione dell’atto».
Inoltre, secondo l’art. 2 della stessa legge «Le agevolazioni tributarie previste dall’art. 1 sono applicabili quando: 1) l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta sia persona che dedica abitualmente la propria attività manuale alla lavorazione della terra; 2) il fondo venduto, permutato o concesso in enfiteusi sia idoneo alla formazione o all’arrotondamento della piccola proprietà contadina e, in ogni caso, in aggiunta a eventuali altri fondi posseduti a titolo di proprietà od enfiteusi dall’acquirente o comunque dagli appartenenti al suo nucleo familiare, non ecceda di oltre un decimo la superficie corrispondente alla capacità lavorativa dei membri contadini del nucleo familiare stesso; 3) l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta nel biennio precedente all’atto di acquisto o della concessione in enfiteusi non abbia venduto altri fondi rustici oppure abbia venduto appezzamenti di terreno la cui superficie complessiva non sia superiore ad un ettaro, con una tolleranza del 10 per cento salvo casi particolari da esaminarsi dall’ispettore provinciale dell’agricoltura in modo da favorire soprattutto la formazione di organiche aziende agricole familiari».
Ebbene, in un caso simile a quello del presente giudizio questa Corte (Cass. 26 ottobre 2016, n. 21609), rilevando che l’art. 7 prevede la decadenza del beneficio per coloro che non coltivino direttamente il fondo ha rigettato il ricorso del contribuente e ne ha confermato la decadenza dall’agevolazione, risultando il fondo concesso in affitto a terzi alla data dell’atto, con ciò dimostrando di voler dare alla norma un’interpretazione restrittiva, perché ha escluso il diritto all’agevolazione per coloro che non coltivavano il fondo al momento dell’atto. Tale interpretazione restrittiva è coerente con le natura di norme speciali, e quindi di stretta interpretazione, delle disposizioni che stabiliscono agevolazioni fiscali, in quanto trattasi di norme che derogano, in ragione della particolare meritevolezza delle ragioni dell’acquisto, al principio di uguaglianza e di capacità contributiva. Ora è evidente, come correttamente posto in luce dal ricorrente, che l’agevolazione possa in alcuni casi riconoscersi anche al contribuente che, pur non essendo coltivatore al momento dell’acquisto e pur avendo acquistato un fondo affittato sia però in grado di iniziarlo a coltivare entro un termine ragionevole da tale acquisto; è altrettanto evidente però che, proprio perché le norme agevolative sono di stretta interpretazione (cfr. da ultimo Corte cost. n. 264 del 2017, secondo cui ogni disposizione fiscale di favore, in quanto recante benefici, agevolazioni o esenzioni, è di stretta interpretazione, anche in ragione della sua natura eccezionale, la quale implica che essa non può trovare applicazione fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge), occorre che il contribuente ponga in essere dopo l’acquisto una attività univocamente diretta a coltivare il fondo. Tale attività dovrà essere improntata alla massima diligenza (come affermato nella sentenza 10 febbraio 2001, n. 1927, prodotta dallo stesso ricorrente nella memoria depositata a ridosso dell’udienza in Cassazione) e dovrà essere altresì diretta a non ingenerare equivoci nell’amministrazione e ad acquisire un idoneo materiale probatorio diretto a dimostrare tale diligenza. Nel caso di specie invece – anche a voler accedere alla tesi del contribuente che la denuncia dell’affittuario fosse dovuta ad un errore che avrebbe ingenerato nell’amministrazione l’erronea convinzione che il contribuente non volesse coltivare direttamente il fondo – è evidente che tale denuncia, pur se proveniente non dai ricorrenti ma dal l’affittuario è frutto di una condotta negligente dei primi dato che tale denuncia è avvenuta dopo l’atto di acquisto e dunque essi ben avrebbero potuto prevederne gli effetti negativi invitando l’affittuario a chiarire meglio la sua situazione agli uffici competenti e facendo immediatamente anche loro altrettanto).
Inoltre la sentenza impugnata conclude affermando che la tesi dell’erronea presentazione di denuncia del contratto di affitto da parte del l’affittuario in luogo della comunicazione della rinuncia anticipata alla conduzione del fondo non sarebbe suffragata da alcun elemento probatorio da parte dei ricorrenti mentre il ricorrente pretenderebbe, mediante la denuncia di un vizio di violazione di legge, una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 4 aprile 2017, n. 8758).
Peraltro, la sentenza di questa Corte citata dal ricorrente (Cass. 7 settembre 2007, n. 18849), secondo cui ai sensi dell’art. 7, primo comma, della legge 6 agosto 1954, n. 604, la decadenza dalla agevolazioni fiscali relative all’acquisto della piccola proprietà contadina, nell’ipotesi di cessazione della coltivazione diretta del fondo da parte dell’acquirente, prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, non opera qualora la mancata attivazione derivi da fatti obiettivi sopravvenuti non riconducibili all’acquirente sotto un profilo soggettivo, stante il principio di trasparenza e conoscibilità degli oneri fiscali, per il quale non possono essere poste a carico di un soggetto le conseguenze di fatti sopravvenuti a lui non imputabili si riferiva ad un caso ben diverso – in quanto era stata provata un’attività diligente da parte del contribuente – da quello oggetto del presente giudizio in cui il contribuente aveva dedotto, in primo ed in secondo grado, di aver inviato disdetta agli affittuari ma che in epoca successiva al suo preliminare d’acquisto, era entrata in vigore la legge n. 203 del 1982 che prevede la proroga di 15 anni dai contratti di affitto e che pertanto solo in data 11 novembre 1996 aveva potuto ottenere la conduzione del podere oggetto della compravendita.
L’esigenza di una condotta diligente in capo al contribuente che voglia ottenere una agevolazione fiscale è sottolineata anche da Cass. 19 aprile 2017 n, 9842, secondo cui, in tema di agevolazioni fiscali per la piccola proprietà contadina stabilite dalla I. n. 604 del 1954, che il contribuente il quale non adempia l’obbligo di produrre all’Ufficio il certificato definitivo attestante la sua qualifica di imprenditore agricolo professionale entro il termine decadenziale di tre anni dalla registrazione dell’atto, non perde il diritto ai benefici ove provi di aver diligentemente agito per conseguire la certificazione in tempo utile senza riuscire nello scopo per colpa degli uffici competenti, e detta diligenza, che deve essere adeguata alle circostanze concrete, richiede al contribuente non solo di formulare tempestivamente l’istanza ma anche di seguirne l'”iter”, fornendo la documentazione mancante eventualmente richiesta dall’ufficio.
Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato, in quanto la sentenza di appello, pur nella sua estrema sinteticità, in realtà motiva, come spiegato a proposito del primo motivo di ricorso, sulla tempestività o meno dei ricorrenti nell’attivarsi per coltivare direttamente il fondo acquistato, spiegando che i contribuenti non sono stati tempestivi in quanto hanno riaffittato il fondo e che la rinuncia anticipata dell’affittuario alla conduzione del fondo non è suffragata da alcun elemento probatorio.
Ne consegue il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente, soccombente, alle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore della controricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 7.000, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
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