CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 febbraio 2018, n. 2962
Licenziamento collettivo per riduzione del personale – Esternalizzazione di servizi – Contratto di appalto di servizi – Riconoscimento della titolarità del rapporto di lavoro in capo al soggetto committente – Effettiva assunzione del rischio d’impresa ed esercizio del potere direttivo e organizzativo – Ricorso inammissibile – Nuovo apprezzamento delle circostanze già esaminate dalla Corte di merito
Svolgimento del processo
R.C. appellava la sentenza del Tribunale di Massa che aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento della titolarità in capo alla società “B.M.” s.p.a. del rapporto di lavoro a suo dire solo formalmente intestato alla “A.G. Servizi” s.a.s., nell’ambito del quale egli aveva lavorato dal gennaio 2002 al febbraio 2004 dopo essere stato licenziato dalla “B.M.” all’esito di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale con esternalizzazione di alcuni servizi tra cui quello della gestione del personale, servizio di cui egli si era sempre occupato e Continuato ad occuparsi anche dopo la sua formale assunzione dal parte della “A.S.” sino al licenziamento da parte di quest’ultima.
Il Tribunale respingeva anche le altre sue domande, conseguenti alla reintegrazione nel posto di lavoro presso la “B.M.”, e di risarcimento del danno da parte di quest’ultima, nessuna domanda essendo stata svolta dall’attore nei confronti della “A.S.”.
Il Tribunale, all’esito dell’espletata istruttoria, affermò che il contratto di appalto stipulato dalla “B.M.” con la “A.S.” per la elaborazione delle buste paga del personale della prima, nel cui ambito si era inserita l’attività svolta dal C., valutato alla stregua dei principi posti dagli artt. 27 e 29 del d.lgs. 276 del 2003, era legittimo siccome comportante in capo alla appaltatrice una effettiva assunzione del rischio d’impresa relativo all’obbligazione assunta e l’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti del lavoratore utilizzato nell’appalto.
Ad avviso del C. la sentenza impugnata aveva male interpretato le risultanze istruttorie, da cui sarebbe emersa l’effettiva titolarità del rapporto in questione in capo alla società ‘B.M.’. Quest’ultima si costituiva resistendo al gravame.
Con sentenza depositata il 30.12.14, la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza appellata, dichiarava che tra l’appellante e la B.M. era tuttora in essere un rapporto di lavoro subordinato, condannando l’appellata a corrispondere all’appellante le retribuzioni dalla costituzione in mora (26.4.11) all’epoca della sentenza, respingendo ogni altra domanda proposta dall’attore.
Ad avviso della corte di merito dalle risultanze istruttorie era emerso che il passaggio del C. alle dipendenze della “A.S.” consistette in un mero mutamento formale dell’intestazione del rapporto, che rimase sempre in capo alla società B..
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultima, affidato a sei motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste il C. con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 421, 115 e 116 c.p.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Sintetizzato il quadro probatorio a suo avviso emerso nella fase di merito, lamenta che la sentenza impugnata lo valutò erroneamente, basandosi unicamente sulla deposizione del teste Grassi e per il resto su meri argomenti di prova, quali emergenti ad esempio dall’interrogatorio libero delle parti.
Il motivo è inammissibile.
Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: cfr. Cass. n. 8293\12, Cass. n. 144\08, Cass. n. 21965\07), ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.
Deve allora rimarcarsi che “..Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).
Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè la genesi e natura del contratto di appalto tra BM e AG (facente capo al Sig.G.), assolutamente genuino e non diretto al mero mutamento fittizio del datore di lavoro.
Anche tale motivo è inammissibile per le stesse ragioni svolte sub 1), avendo la sentenza impugnata accertato, all’esito dell’istruttoria svolta e delle circostanze di fatto da essa emergenti, che il nuovo contratto si risolse nel mero mutamento di nome del datore di lavoro.
3. – Con il terzo ed il quarto motivo la ricorrente denuncia sempre l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè gli accertamenti ispettivi compiuti dalla DTL circa la correttezza dell’inquadramento e delle retribuzioni goduti dal C. presso lo Studio G. (AG), effettivamente operante sul mercato e circa la etero direzione e subordinazione del C. rispetto allo Studio G..
Anche tali motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono inammissibili alla luce delle considerazioni sopra svolte, risultando peraltro irrilevante l’effettiva presenza sul mercato dello studio G., rilevando piuttosto, questo il fatto decisivo, l’effettività o meno del rapporto di lavoro del C. con la ridetta società AG (G.) ovvero con la BM, adeguatamente accertato dalla sentenza impugnata. Deve inoltre considerarsi che, non essendovene traccia nella sentenza impugnata, sarebbe stato onere della attuale ricorrente dedurre e dimostrare quando ed in quali termini la questione della valutazione del verbali ispettivi sarebbe stata ritualmente sottoposta al giudice del gravame (cfr. Cass. n. 7149\2015, Cass. n. 23675\2013).
5. – Con il quinto ed il sesto motivo la società denuncia ancora l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè i rimborsi spese ed i buoni pasto, oltre agli incrementi stipendiali che, ad erroneo avviso della sentenza impugnata, sarebbero stati concordati direttamente tra il C. e la BM. Lamenta parimenti l’erronea valutazione della circostanza dell’uso del PC, di proprietà BM, da parte del C..
Anche tali motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili, essendo diretti ad un nuovo apprezzamento delle circostanze di causa già esaminate dalla sentenza impugnata in base alle emergenze istruttorie.
6. – Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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