CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2018, n. 3805
Tributi – Fondi previdenziali integrativi – Prestazioni erogate in forma di capitale – Regime tributario – Ritenuta su rendimento netto fino al 31 dicembre 2000 – Tassazione separata sulle somme maturate dal 1° gennaio 2001. – Contenzioso tributario – Ricorso per cassazione – Sottoscrizione con firma digitale – Notificazione tramite PEC – Validità – Raggiungimento dello scopo
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della C.T.R. della Campania, n. 1450/44/16 dep. 18.2.2016, emessa su riassunzione del giudizio originato dal silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso proposto da A.M.D., ex dirigente E., di cui alla sentenza della Cassazione n. 241/2014, che aveva accolto il ricorso del contribuente demandando alla C.T.R. di “quantificare la somma corrispondente al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato” su cui applicare l’aliquota del 12,50%.
La C.T.R., sulla base della certificazione rilasciata dall’E., su cui è stata applicata l’aliquota TFR del 32,46%, ha ritenuto applicabile l’aliquota del 12,50% sul rendimento certificato dall’E., disponendone il rimborso.
A.M.D. si costituisce con controricorso e deposita successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate deposita memoria ex art. 378 c.p.c..
Considerato in diritto
1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per cassazione proposta dal controricorrente per carenza della prescritta sottoscrizione digitale del ricorso e della relata di notifica.
1.1. Va premesso che la notificazione telematica degli atti è disciplinata: dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, artt. 1, 3-bis, 6, 9 e 11; dall’art. 16-septies del d.l. 179/12 conv. I. n. 221/12; dall’art. 18 del D.M. 44/2011; dagli artt. 13 e 19-bis del Provvedimento del Responsabile S.I.A. del 16 aprile 2014, oltre che dal d.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3) e dal D.P.C.M. 2 novembre 2005 (Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata). In particolare la legge n. 53/1994, nel disciplinare le modalità di notifica tramite PEC, rimanda all’articolo 19 bis cit. (Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati – art. 18 del regolamento), emanate in attuazione del codice dell’amministrazione digitale, che al comma 1 e al comma 2 prevede solo che l’atto sia in formato PDF; ciò anche nell’ipotesi di notifica tramite PEC da eseguirsi in un procedimento dinanzi alla Corte di cassazione.
1.2. Ciò premesso l’Avvocatura di stato ha regolarmente depositato l’attestazione di conformità – del ricorso, delle relazioni di notifica e di tutta la documentazione – all’originale informatico dell’atto, sottoscritto con firma digitale e notificato come allegato ai messaggi di posta elettronica certificata, ai sensi degli artt. 6 e 9 della I. n. 53/94 e dell’art. 23 del d.lgs. n. 82/2005. Non è quindi esatto quanto afferma il controricorrente, sia con riferimento alla mancanza della firma digitale nel ricorso notificato via PEC, data la presenza di attestato di conformità all’originale informatico, sia circa la successiva modificabilità del documento sottoscritto con firma digitale PAdES (PDF Advanced Electronic Signatures), poiché questa può essere verificata aprendo il file con l’idoneo programma (Acrobat Reader) opportunamente impostato, che non consente di inficiare la validità del documento firmato originariamente.
1.3. Peraltro le Sezioni Unite (con sentenza n. 7665 del 18 aprile 2016) hanno stabilito che anche alle notifiche PEC deve applicarsi il principio, sancito in via generale dall’articolo 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato; principio che vale anche per le notificazioni, per le quali la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario, statuendo altresì, riguardo alla modalità con la quale l’eccezione di nullità viene sollevata, l’inammissibilità dell’«eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, «senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte».
1.4. Quanto alla ulteriore deduzione di inammissibilità del ricorso per mancanza della firma nella relata di notifica, è anch’essa infondata, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di notificazione del ricorso per cassazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato notificante non è causa d’inesistenza dell’atto, potendo la stessa essere riscontrata attraverso altri elementi di individuazione dell’esecutore della notifica, come la riconducibilità della persona del difensore menzionato nella relata alla persona munita di procura speciale per la proposizione del ricorso, essendosi comunque raggiunti la conoscenza dell’atto e, dunque, lo scopo legale della notifica (Cass. n. 6518 del 2017).
Col primo motivo del ricorso si deduce violazione di legge (art. 383, 392 e 393 c.p.c. nonché artt. 16, 17, 41 comma 1 lett. g) quater e 42, comma 4 del TUIR, in relazione all’art. 1 comma 5 dl 669/96 conv. in I. n. 30/97; all’art. 13 comma 9 del d.lgs. 124/93; all’art. 11 comma 3, I. 335/95), per avere la C.T.R. erroneamente calcolato il rendimento come semplice differenza fra il capitale versato e il capitale liquidato, senza tener conto delle modalità contrattuali con le quali questo capitale veniva impiegato, alla luce del contratto che regola il Fondo.
3. Col secondo motivo si deduce error in procedendo ex art. 360 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 36 del d.lgs. 546/92 e 112 e 132 c.p.c., per nullità della sentenza, che si è limitata a rinviare ai conteggi provenienti dall’E. e dal contribuente, con ciò mancando di motivazione.
4. Col terzo motivo del ricorso si deduce violazione di legge, art. 13, comma 9 d.lgs. 124/93; art. 1 comma 5 dl 669/96 conv. in I. n. 30/96; artt. 16, 17, 42 TUIR.
5. Col quarto motivo si lamenta violazione di legge art. 2697 c.c. e art. 62, comma 1, d.lgs. 546/92.
6. Col quinto motivo si censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo, inerente alla natura giuridica del rendimento sulla base della disamina dei meccanismi di funzionamento del fondo FondE./Pia, e omesso esame dell’impiego sui mercati dal capitale affluito nel Fondo PIA.
7. Il ricorso va accolto nei termini di cui in prosieguo.
7.1.Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte (n. 13642 del 2011), che hanno affermato il seguente principio: «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17».
7.2. Alla stregua di tali principi, il meccanismo impositivo di cui all’art. 6 della legge n. 482 del 1985 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica agli iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale (FONDE./P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993), sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31.12.2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento del capitale.
7.3. Tali principi, non sono risultati però, di fatto, interamente risolutivi delle controversie pendenti, essendo emerse tra le parti in lite – nella presente come in altre controversie, come anche nei giudizi di rinvio dalla cassazione – contrapposte interpretazioni circa il concetto di «rendimento netto», cui applicare la detta ritenuta del 12,5%.
7.4. Di recente questa Corte ha avuto modo di precisare ulteriormente i principi espressi dalla citata sentenza delle S.U., affermando il seguente principio di diritto, che si intende qui ribadire: «in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 legge 26 settembre 1985, n. 482, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico – attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (Cass. 26/04/2017, n. 10285 e Cass n. 12267 del 17/05/2017).
8. In tali termini il ricorso merita pertanto accoglimento e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.
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