CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2018, n. 3872
Imposte indirette – IVA – Dichiarazione annuale – Accertamento – Soggetto non residente extra UE
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate di La Spezia, con avviso di accertamento emesso nei confronti di A.C., quale rappresentante fiscale della B.M.D., società di nazionalità croata, recuperò l’IVA di cui la società risultava a credito per l’anno di imposta 2004 e di cui aveva chiesto il rimborso. Analogo avviso di accertamento venne emesso per l’IVA a credito esposta nella dichiarazione relativa all’anno 2005.
L’Agenzia delle entrate ritenne elusivo il comportamento tenuto dalla società croata, soggetto non residente extra UE, che, in relazione a contratto di subappalto per la costruzione di una piattaforma petrolifera commissionata da quattro società italiane riunite in associazione temporanea di imprese, pur avendo proceduto alla nomina di un rappresentante fiscale ex art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, aveva provveduto alla fatturazione passiva di acquisto del materiale necessario per l’esecuzione dell’appalto per il tramite del rappresentante fiscale, mentre la fornitura dei beni – una volta lavorati – alle società italiane (beni che, come emergente dalla fatturazione di vendita, si trovavano in Italia e sarebbero stati consegnati direttamente ai clienti italiani dai fornitori italiani) era stata realizzata direttamente dalla società non residente senza utilizzare il rappresentante fiscale nominato.
Le società acquirenti dei beni avevano quindi emesso autofattura e la società B.M., non avendo imposta a debito alla quale sottrarre quella assolta sugli acquisiti, era risultata creditrice dell’IVA versata alle società italiane, della quale aveva poi chiesto il rimborso.
La Commissione tributaria provinciale di La Spezia accolse i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento e gli appelli dell’Agenzia delle entrate sono stati rigettati dalla Commissione tributaria regionale della Liguria con sentenze, di identico contenuto, depositate il 13 ottobre 2011.
Il giudice d’appello, in particolare, ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 9449 del 2001, secondo la quale il rappresentante fiscale IVA poteva essere nominato dalla società estera soltanto per alcune delle operazioni da essa effettuate nello Stato italiano, e dunque solo per gli acquisti di beni e non anche per le cessioni poste in essere direttamente dal soggetto non residente sul territorio nazionale, come avvenuto nella fattispecie.
Tale principio trova conferma, ad avviso del giudice a quo, nelle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 18 del 2010, che ha reso obbligatorio il meccanismo dell’inversione contabile per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da soggetto non residente, pur se identificato ai fini IVA mediante rappresentante fiscale, in favore di soggetto passivo residente e stabilito nel territorio nazionale, il quale deve assolvere l’imposta mediante emissione di autofattura.
Ha aggiunto che non appare sussistere un vantaggio fiscale in quanto l’IVA detratta viene versata dal cessionario.
2. Avverso le dette sentenze l’Agenzia delle entrate ha proposto separati ricorsi per cassazione, ai quali il C., in proprio e in qualità di legale rappresentante della B.M., ha resistito con controricorsi e memorie.
3. La quinta sezione civile, con ordinanza n. 19482 depositata il 30 settembre 2016, riuniti i ricorsi, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione degli stessi alla Sezioni unite, al fine di risolvere la questione, di particolare importanza e oggetto di un non pacifico orientamento della giurisprudenza della Corte, «se, in forza di quanto previsto dall’art. 17 d.P.R. n. 633 del 1972, nella versione applicabile ratione temporis, e quindi anteriormente alla promulgazione del d.lgs. n. 18 del 2010, il soggetto non residente che abbia effettuato la nomina di un rappresentante fiscale abbia l’obbligo o meno di utilizzare tale rappresentante per tutte le operazioni che effettua sul territorio nazionale e se, quindi, gli sia preclusa la possibilità di compiere direttamente le operazioni di cessione nei confronti di soggetto residente nel territorio nazionale (obbligato ad emettere autofattura, in applicazione del meccanismo del reverse charge), una volta che abbia provveduto alla nomina di rappresentante fiscale (o che si fosse identificato ai fini IVA ai sensi dell’art. 35 ter d.P.R. n. 633 del 1972)».
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.1. In relazione al primo ricorso (n. 27375 del 2012), l’Agenzia delle entrate, con il primo motivo, denuncia l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dalla natura elusiva dell’operazione posta in essere dalla società contribuente, conseguente alla scissione tra soggetto che effettua le cessioni e soggetto che provvede agli acquisti e a ricevere le fatturazioni, in relazione ad operazioni commerciali poste in essere con soggetti residenti, con conseguimento di illegittimo risparmio d’imposta e indebito vantaggio rispetto a concorrenti operatori residenti.
Col secondo motivo la ricorrente ripropone la medesima questione sotto il profilo della omessa pronuncia, ex art. 112 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo, infine, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella formulazione vigente ratione temporis (derivante dalle modifiche apportate dal d.lgs. 19 giugno 2002, n. 191), che prevedeva che l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri in materia di IVA potessero essere effettuati direttamente dal soggetto non residente o per il tramite del rappresentante fiscale; osserva che non è corretta l’interpretazione secondo la quale il rappresentante fiscale della società non residente non divenga punto di riferimento di tutte le operazioni effettuate dal mandante estero nello Stato italiano, anche perché, scindendo l’operazione di acquisto, effettuata tramite il rappresentante fiscale, dall’operazione di cessione, effettuata direttamente dal soggetto estero in relazione a beni ubicati in Italia, indebitamente quest’ultimo finisce con il fruire del credito IVA senza versare l’IVA a debito allo Stato italiano.
1.2. Quanto al secondo ricorso (n. 27501 del 2012), l’Agenzia delle entrate ripropone sostanzialmente le medesime censure: denuncia, con il primo motivo, la violazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 633/72, evidenziando che la regolarità, affermata dal giudice a quo, del meccanismo dell’inversione contabile applicato nel caso concreto contrasta con la disciplina all’epoca vigente, la quale consentiva tale possibilità solo nel caso in cui il soggetto residente non si fosse identificato o non avesse nominato un rappresentante fiscale; deduce, col secondo motivo, la falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. h), del d. Igs. 11 febbraio 2010, n. 18 – il quale, nel sostituire il secondo, il terzo e il quarto comma dell’art. 17 cit., ha reso obbligatorio il meccanismo del reverse charge per i soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione-, rilevandone l’inapplicabilità al caso di specie poiché entrato in vigore in epoca successiva; denuncia infine il vizio di insufficiente motivazione in relazione al comportamento elusivo contestato.
2.1. I ricorsi, già riuniti – come detto – con l’ordinanza di rimessione sopra citata, sono fondati nei sensi appresso indicati.
2.2. È pacifico che le controversie in esame si riferiscano ad una medesima fattispecie, consistita nella esecuzione di un contratto (qualificato di appalto, o subappalto) relativo alla costruzione di una piattaforma petrolifera, alla cui realizzazione ha partecipato la società contribuente, con sede in Croazia, attraverso lo svolgimento di attività di varia natura (acquisto dei materiali, assemblaggio, montaggio, ecc.).
Si è in presenza, pertanto, a prescindere dalla esatta qualificazione giuridica del negozio, di una operazione economica complessa, ma oggettivamente unitaria: non vi è dubbio, infatti, che i singoli atti compiuti dalla società contribuente siano strettamente connessi e riconducibili ad una prestazione unica, sotto il profilo – che è quel che rileva in materia – della sua sostanza economica.
Dalla unitarietà dell’operazione deriva che la stessa non può essere oggetto, ai fini del regime dell’imposta sul valore aggiunto, di scomposizione o scissione (cfr. Cass. n. 2643 del 1999).
La giurisprudenza della Corte di giustizia è consolidata in tal senso, avendo più volte affermato che, per il diritto unionale, ciascuna operazione dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente, ma che l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA (tra altre, sentenze 27 ottobre 2005, Levob Verzekeringen e OV Bank, C-41/04, punti 20 e 22; 10 marzo 2011, Bog e a., C-497/09, C-499/09, C-501-/09 e C-502/09, punto 53; 10 novembre 2016, Bastová, C-432/15, punto 70; 18 gennaio 2018, Stadion Amsterdam, C-463/16, punto 22).
2.3. In base alle esposte considerazioni, deve ritenersi che il contribuente non residente, una volta avvalsosi del rappresentante fiscale nominato ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 18 del 2010) per l’acquisto di beni costituente il primo segmento di una complessa ma oggettivamente unitaria operazione economica, e quindi optato, in ordine a questa, per l’applicazione dell’IVA secondo il regime ordinario, non può poi agire direttamente, con applicazione del regime dell’inversione contabile (reverse charge), in relazione ad altri atti o prestazioni inerenti alla medesima unica operazione, attuandone in tal modo un artificioso frazionamento.
2.4. Resta priva di rilievo, pertanto, la questione, di più vasta portata, sollevata con l’ordinanza di rimessione.
3. In conclusione, vanno accolti, nei sensi indicati, il terzo motivo del ricorso n. 27375/12 ed il primo motivo del ricorso n. 27501/12, assorbiti i restanti; le sentenze impugnate devono essere cassate e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, i ricorsi introduttivi della contribuente devono essere rigettati.
4. La peculiarità e novità della questione inducono a disporre la compensazione delle spese degli interi processi.
P.Q.M.
Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il terzo motivo del ricorso n. 27375/12 e il primo motivo del ricorso n. 27501/12, dichiara assorbiti i restanti, cassa le sentenze impugnate e, decidendo nel merito, rigetta i ricorsi introduttivi della contribuente.
Compensa le spese degli interi processi.
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