CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 febbraio 2018, n. 4180
Tributi – Accertamento – Plusvalenza generata da cessione di azioni – Verifica eseguita nei confronti della società – Accertamento della plusvalenza in capo ai soci cedenti – Configurazione di “accertamento a tavolino”
Rilevato che
G.M. e G.S. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 48/01/10, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Trentino Alto-Adige e depositata il 25.10.2010;
Riferiscono che il contenzioso trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti della società C.G. s.p.a., di cui erano stati unici azionisti e la cui intera partecipazione, dopo un complesso contratto preliminare stipulato nel 2005 con la C.L. e V.C. scarl, era stata definitivamente ceduta nel 2006. Il 10 settembre 2008 era notificato a ciascuno dei ricorrenti un avviso di accertamento in cui si contestava l’omessa dichiarazione della plusvalenza sulla cessione delle azioni, con contestazione di un maggior reddito imponibile. Negli avvisi, non preceduti dalla notifica di un verbale di contestazione, si riferiva che a seguito della verifica condotta presso la società era stata segnalata la plusvalenza generata dalla cessione delle azioni. La differenza tra il valore delle azioni, di € 23.128.000,00 come rivalutate ex art. 2 del d.l. 282/2002, e il prezzo di cessione, di € 24.312.864,00, pari ad € 1.184.864,00, era la plusvalenza taciuta nelle dichiarazioni dei redditi e pertanto sottoposta a tassazione con gli atti di accertamento notificati;
nel contenzioso che seguiva – in cui i contribuenti contestavano gli esiti dell’accertamento rappresentando che il contenuto complesso della cessione della partecipazione azionaria prevedeva come condizione preliminare la copertura dei debiti della società estera FWI, di cui i contribuenti erano soci, nei confronti della G. s.p.a. – la CTP di Trento, che aveva inteso trattare unitariamente i ricorsi dei G. e quello della società, alla cui compagine erano ormai estranei, aveva respinto le ragioni dei contribuenti. La CTR, con la pronuncia ora impugnata, per quello che qui interessa confermava l’esito del primo grado;
i G. censurano la sentenza del giudice d’appello denunciando: con il primo motivo la violazione dell’art. 42, co. 2, del d.P.R. n. 600/1973, e degli artt. 7 e 12 della I. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., per non aver riconosciuto la nullità degli avvisi d’accertamento fondati su un verbale di constatazione redatto nei confronti di un soggetto diverso, la società ceduta, né mai loro notificato o consegnato;
con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 33 del d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 23 del d.P.R. n. 107/2001 e 7 della I. n. 358/1991, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per non aver riconosciuto la nullità dell’avviso di accertamento in conseguenza del processo verbale di constatazione redatto nella carenza dei poteri ispettivi e di verifica della Direzione Provinciale delle Entrate di Trento;
con il terzo motivo per motivazione insufficiente e contraddittoria su un fatto controverso prospettato dai ricorrenti, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., in ordine alla effettività e necessità del sostenimento di un onere (il pagamento dei debiti della FWI), quale presupposto per la cessione della partecipazione azionaria, il cui costo escludeva la generazione della plusvalenza.
Si costituiva l’Agenzia, che contestava gli avversi motivi di ricorso, di cui chiedeva il rigetto.
I ricorrenti davano atto che nelle more del giudizio d’appello l’Amministrazione, riconosciuto il fondamento di un quarto motivo di ricorso e intervenendo in autotutela, avevano ridotto l’imposizione.
Considerato che
è infondato il primo motivo di ricorso;
con esso i contribuenti lamentano di aver ricevuto notifica degli avvisi di accertamento senza che mai fosse stato loro comunicato o notificato il verbale di costatazione, sul quale gli atti impositivi pur si fondano; lamentano che la decisione del giudice regionale, affermando che gli avvisi contengono una motivazione sufficiente delle contestazioni, atta a garantire la comprensione dell’an e del quantum della pretesa impositiva, viola quanto prescritto dagli artt. 12 e 7 dello Statuto del contribuente; il primo che prevede un termine dilatorio di 60 gg. dal rilascio di copia del processo verbale di constatazione prima della notifica dell’avviso di accertamento, pena la sua nullità, il secondo che prevede l’obbligo di allegare gli atti richiamati nella motivazione dell’accertamento, quando non conosciuti né ricevuti dal contribuente;
queste le norme di cui si invoca la violazione, quanto al termine dilatorio previsto dall’art. 12, co. 7, cit., esso riguarda l’ipotesi in cui il processo verbale chiude le operazioni di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente, fattispecie che esula pacificamente dal caso in questione; ed infatti, sebbene con motivazione non proprio perspicua, la sentenza evidenzia che la verifica fu compiuta nei confronti della società, non dei contribuenti (pag. 8), nei cui confronti l’accertamento ha avuto carattere di “accertamento a tavolino”;
quanto al rispetto dell’art. 7, co. 1, della I. n. 212/2000, che prescrive l’allegazione del documento richiamato nella motivazione dell’atto indirizzato al contribuente, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente chiarito che il principio va inteso nel senso che l’obbligo di motivazione per relationem può considerarsi assolto anche mediante il riferimento ad elementi di fatto tratti da altri atti o documenti, collegati a quello notificato e da questo riprodotti nel contenuto essenziale -oggetto, contenuto e destinatari – necessario per sostenere il contenuto del provvedimento adottato e sufficiente per permettere al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i passaggi specifici dell’atto richiamato, nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (di recente cfr. Cass., Sez. 6-5, ord. 9323/2017; ord. n. 9032/2013; Sez. 5, sent. 13110/2012). D’altronde l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 42, d.P.R. n. 600 del 1973, che prevede l’allegazione dell’atto richiamato nell’avviso di accertamento o la sua riproduzione nel contenuto essenziale quando non conosciuto né ricevuto dal contribuente, è il risultato della attuazione del principio affermato dall’art. 7 dello Statuto del Contribuente;
ebbene, sulla questione la sentenza della commissione tributaria regionale, afferma che <<…sebbene i Contribuenti non siano stati destinatari del processo verbale indirizzato alla società….è innegabile che gli avvisi di accertamento impugnati contengano una motivazione del rilievo contestato sufficiente a rendere immediatamente comprensibile sia l’an sia il quantum della pretesa impositiva, senza che nel caso specifico sia stato leso alcun loro diritto di difesa….>>; nel successivo capoverso il giudice d’appello rimarca ancora che <<nelle pagine 3 e 4 degli avvisi in parola viene esaurientemente illustrata la sequenza dei fatti, nonché vengono puntualmente richiamate le norme di diritto sulla base delle quali si è ritenuto che i Contribuenti avrebbero dovuto dichiarare la plusvalenza relativa alla cessione delle partecipazioni nella società>>;
il giudice dell’appello si è allora attenuto alle regole di garanzia imposte dalla disciplina vigente, come interpretate dalla giurisprudenza, avendo ben presenti i limiti e le modalità della motivazione per relationem, ritenendo sussistenti i presupposti prescritti dagli artt. 7 dello Statuto e 42 del d.P.R. n. 600 cit.;
è infondato anche il secondo motivo di ricorso. Con esso i contribuenti lamentano la nullità dell’avviso di accertamento fondato su un processo verbale di constatazione redatto nella carenza dei poteri ispettivi e di verifica della Direzione Provinciale delle Entrate di Trento. In sintesi la difesa dei contribuenti sostiene che in forza della disciplina, e comunque argomentando a contrario dall’art. 27 del d.l. n. 185 del 2008, convertito nella I. n. 2 del 2009, il potere di accertamento e verifica delle Direzioni Regionali delle Entrate (e di quelle provinciali per conseguenza), non esisteva in epoca anteriore al gennaio 2009. È sull’argomento sufficiente rammentare che la ricostruzione del sistema normativo che regolamenta le funzioni ed i poteri delle Agenzie fiscali, a partire dalla riforma della struttura organizzativa della amministrazione finanziaria (d.lgs. n. 300 del 1999 e il regolamento d’amministrazione n. 4 del 30.11.2000), permette di affermare che con il d.l. n. 185 cit. non è stata attribuita alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, mirandosi invece a fondare su norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all’attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi (cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 20915/2014). D’altronde, e a riprova della preesistenza dei poteri di verifica e accertamento delle strutture periferiche, regionali e provinciali, delle Agenzie, di essi già si trovava riscontro nel provvedimento n. 36122/2001 del Direttore generale della Agenzia delle Entrate. Ne discende che l’attività di verifica e accertamento esercitata nel caso che ci occupa dalla Direzione Provinciale di Trento nel 2006 rientrava pienamente e legittimamente nei poteri degli uffici periferici.
Infondato infine è il terzo motivo di ricorso; con esso i contribuenti hanno lamentato l’insufficiente e contraddittoria motivazione di un fatto controverso, relativo alle implicazioni, sul complesso contratto di cessione dell’intera partecipazione azionaria della Casa G. s.p.a., dell’onere di pagamento di tutte le esposizioni debitorie della società estera FWI – anche questa in proprietà dei G.- nei confronti della società ceduta; si trattava di una esposizione pari ad € 4.020.000,00, il cui ripianamento costituiva il preliminare onere assunto dalla odierna contribuente G.M.; nel contratto era previsto che tale onere sarebbe stato assolto concretamente dalla società acquirente, in luogo della G.M., mediante l’impegno al versamento del predetto importo in favore della G. spa. I ricorrenti vorrebbero in sostanza dimostrare che quell’importo andava defalcato dal corrispettivo di € 24.312.864,00 quale minusvalenza, attribuendogli natura di onere che impediva di generare plusvalenze;
tuttavia la questione risulta esaurientemente esaminata dal giudice dell’appello, che ha qualificato l’operazione di ripianamento dei debiti della FWI nei confronti della C.G. s.p.a. (e dunque di riscossione dei crediti che quest’ultima aveva nei confronti della prima) come “un mero atto di natura finanziaria che ha riguardato le modalità di corresponsione del prezzo di cessione delle partecipazione quote, che non ha influito nella determinazione dello stesso”. In altre parole il giudice regionale ha ritenuto che la specifica destinazione di una parte dei 24 milioni di euro al recupero di un credito vantato dalla società ceduta verso una terza società (estera e anche essa partecipata dai G.) non ne modificava la natura di (parte del) corrispettivo concordato per l’acquisto delle azioni della C.G. s.p.a.; il prezzo restava dunque pari ad € 24.312.000,00, con conseguente generazione di plusvalenza; si tratta di una censura della sentenza, che, in assenza di denuncia sulla violazione di regole d’interpretazione contrattuale, sussumibili nella violazione di legge, poteva essere denunciato per inadeguatezza della motivazione secondo la formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.ratione temporis vigente (Cass., Sez. 3, sent. n. 14355/2016). Sennonché la motivazione non risulta né illogica né inadeguata, mentre la pretesa rivalutazione della vicenda si tradurrebbe in una operazione di accertamento della volontà delle parti negoziali, riservato al giudice di merito e inibito al giudice di legittimità.
In conclusione il ricorso è infondato.
Considerato che
Il ricorso va rigettato e alla soccombenza dei contribuenti segue la loro condanna alle spese processuali nei confronti della costituita Agenzia, nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna G.M. e G.S. alla rifusione in solido ed in favore della Agenzia delle Entrate delle spese sostenute nel presente processo, che liquida nella misura di € 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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