CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2018, n. 4156
Tributi – Ires – Avviso di accertamento – Società di comodo – Rettifica reddito dichiarato dalla società
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate ricorre, nei confronti della M. s.r.l., avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria (in seguito: CTR) n. 17/01/2011, depositata il 22/02/2011, che – in una controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento (n. R4M030200309, notificato il 13/05/2009) per IRES, relativo al periodo di imposta 2006, che rettificava il reddito dichiarato dalla società (euro 68.856,00), adeguandolo al minimo previsto dall’art. 30 della legge n. 724 del 23 dicembre 1994 (euro 234.294,00), riguardante le società di comodo, perché la contribuente non aveva superato il «test di operatività» previsto dal medesimo articolo – in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto la domanda della contribuente ed aveva annullato l’avviso di accertamento.
I giudici della CTR hanno ritenuto che l’affitto dell’unico immobile aziendale «Grand Hotel M.», al canone annuo di euro 175.200,00, concordato con il contratto del 19/12/2000, in esecuzione fino al 30/11/2006, ossia per gran parte del periodo di imposta oggetto di accertamento (anno 2006), integri una delle: «situazioni obiettive che consentono l’esclusione dalla normativa».
2. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, cui resiste la M. s.r.l. con proprio controricorso.
La sesta sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria datata 9/10/2014 (depositata il 30/10/2014), ha rimesso gli atti a questa sezione per la decisione del ricorso in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 sulle «società di comodo» in quanto la CTR ha ritenuto contra legem che la causa di disapplicazione della norma antielusiva, prevista dal comma A-bis dello stesso articolo (ossia le «oggettive situazioni» che hanno reso impossibile il conseguimento dei maggiori ricavi calcolati secondo i parametri normativi), possa essere integrata dall’esistenza dell’affitto d’azienda dell’unico immobile della società, il «Grand Hotel M.», verso il canone annuo di euro 175.200,00, concordato nel predetto contratto datato 19/12/2000, in essere fino al 30/11/2006, ossia per gran parte dell’annualità oggetto di accertamento (anno 2006).
1.1. In base alla prospettazione dell’Ufficio, invece, il contratto d’affitto d’azienda non rientra tra le ipotesi d’impossibilità oggettiva di percepire ricavi maggiori perché esso è espressione della manifestazione di volontà del contribuente che, per potere essere esonerato dall’applicazione della norma antielusiva, è tenuto a dimostrare che, quando stipulò il contratto, determinate ragioni oggettive non consentivano la pattuizione di un canone più alto.
Nel caso di specie, in cui la società si è limitata ad allegare il contratto d’affitto d’azienda, la CTR, incorrendo nella suaccennata violazione di legge, ha attribuito rilevanza al medesimo negozio; ha, pertanto, ravvisato l’impossibilità giuridica, da parte della concedente, di aumentare unilateralmente il canone d’affitto dell’unico cespite aziendale e, infine, ha negato la necessità della prova (definita nell’impugnata sentenza «diabolica») dell’esistenza di ragioni oggettive che impedissero la pattuizione di un corrispettivo maggiore.
In realtà, secondo l’Ufficio ricorrente, una simile prova poteva essere
agevolmente fornita, da parte della contribuente, con la produzione in giudizio della documentazione attestante le condizioni di mercato dell’epoca e le eventuali altre offerte ricevute (dalla società) prima di determinarsi a concedere in affitto la propria azienda verso un canone non conforme, per difetto, ai parametri normativi.
1.2. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato (ex multis, Cass. 13/05/2015, n. 21358; Cass. ord. n. 26728/2017) che l’art. 30, comma 4-bis cit. – vigente, nella parte che qui interessa, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 35, comma 15, d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, per il periodo di imposta in contestazione (anno 2006), come stabilito dal successivo comma 16 – mira a disincentivare la costituzione di «società di comodo», per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali, con la fissazione di ricavi minimi, correlati al valore di determinati beni aziendali, che, se non raggiunti, costituiscono un indice sintomatico del carattere non operativo della società contribuente e fanno scattare la presunzione di un certo reddito minimo (calcolato secondo determinati parametri).
Nell’operatività di tale presunzione, è onere del contribuente provare quelle situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito, nell’annualità in verifica, la realizzazione di maggiori ricavi.
1.3. La CTR, condividendo la prospettazione della società, ha erroneamente ricondotto tale situazione oggettiva, menzionata dalla ridetta disposizione normativa, alla vigenza di un contratto d’affitto d’azienda, stipulato dalla M. s.r.l. nel 2000, in epoca anteriore al periodo di imposta in contestazione (anno 2006), che prevedeva un canone annuo esiguo.
1.4. I giudici d’appello, invece, avrebbero dovuto accertare, sulla scorta di elementi oggettivi e di dati concreti, se la società avesse compiutamente documentato le «oggettive situazioni» che resero impossibile, nel periodo d’imposta 2006, il conseguimento di ricavi maggiori (dati fattuali che, come suaccennato, sono stati anche esemplificati dall’Ufficio).
1.5. Per quanto appena esposto, in accoglimento dell’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza;
rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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