CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 maggio 2018, n. 13711
Accertamento – Locali adibiti promiscuamente – Assenza di autorizzazione – Procedimento
Fatti e ragioni della decisione
La CTR Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ha confermato la pronunzia di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso a carico di R.P. per l’anno 2009, ritenendo inutilizzabile la documentazione acquisita nei locali adibiti promiscuamente ad abitazione ed a sede dell’attività imprenditoriale in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 52 dPR n. 600/73.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
La parte intimata si è costituita con controricorso, pure depositando memoria.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
La ricorrente prospetta la violazione dell’art. 52 Dpr n. 633/1972 e dell’art. 33 dPR n. 600/73. Secondo l’Agenzia la spontanea consegna della documentazione da parte del contribuente avrebbe eliso ogni vizio dell’attività di acquisizione della documentazione, in ogni caso potendosi utilizzare il materiale indiziario comunque raccolto dall’autorità fiscale.
La parte controricorrente, oltre a dedurre l’inammissibilità del ricorso, sotto vari profili, ha insistito per il rigetto dello stesso.
Il ricorso, ammissibile in rito, avendo la ricorrente prospettato il fondamento della censura su una pronunzia di questa Corte concernente l’irrilevanza dell’autorizzazione di cui all’art. 52 cit. in caso di consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente ai verbalizzanti, è infondato.
Ed invero, questa Corte ha in effetti ritenuto che non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, lo stesso valendo all’interno del ‘nuovo’ codice di procedura penale (v. art. 191 c.p.p.)”, sicché “l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso” (cfr. Cass. n. 8344 del 2001; conf. Cass. n. 13005 del 2001, n. 1343 e n. 1383 del 2002, n. 1543 e n. 10442 del 2003), anche con riferimento all’attività della guardia di finanza che, cooperando con gli uffici finanziari, proceda ad ispezioni, verifiche, ricerche ed acquisizione di notizie, non osservando la disciplina processualpenalistica, avendo carattere amministrativo – con conseguente inapplicabilità dell’art. 24 Cost., in materia di inviolabilità del diritto di difesa. Tale affermazione viene tuttavia completata dalla precisazione che ‘… non siano violate le dette disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63 – sul potere degli uffici finanziari e del giudice tributario di avvalersene a fini meramente fiscali (cfr. Cass. n. 8990/2007; Cass. n. 18077/2010).
In definitiva, l’utilizzazione a fini fiscali di dati e documenti acquisiti dalla G.d.F. operante quale polizia giudiziaria è subordinata al rispetto delle disposizioni dettate dalle norme tributarie (nella specie, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63), fatti salvi, in ogni caso, i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico, come ad esempio la necessità di preventiva autorizzazione del procuratore della Repubblica, prevista dalle citate disposizioni tributarie, per procedere a determinate attività quali l’accesso presso locali diversi da quelli di esercizio dell’attività del contribuente – Cass. n. 958/2018.
Tale principio è stato più volte ribadito – Cass. n. 21974/2009 – ed ulteriormente confermato dall’affermazione secondo la quale la mancanza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e D.P.R. 10 ottobre 1972, n. 633, art. 63 per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un’indagine o di un processo penali, a parte le conseguenze di ordine penale o disciplinare a carico del trasgressore, non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent, n. 3852e 8344 del 2001), salvo l’ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente cod. proc. pen., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 Cost. (cfr. sentt. nn. 15230 del 2001, 1344 del 2002 e 19689 del 2004) – Cass. n. 20028/2010).
D’altra parte, i superiori principi non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente, ove si consideri che secondo questa Corte essa non può .. rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perché l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente alle accesso, legittimo od illegittimo che sia, è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge – cfr. Cass. n. 19689/2004; Cass. n. 19690/2004.
Sulla base di tali considerazioni, la censura è sfornita di giuridico fondamento, essendosi il giudice di appello conformato ai superiori principi.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio che liquida nei confronti del controricorrente in euro 3000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, oltre accessori come per legge.
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