CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 giugno 2018, n. 14554
Tributi – Contenzioso tributario – Iva, Irpeg ed Irap – Verifica fiscale
Svolgimento del processo
l’Agenzia delle Entrate, con sei motivi, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 102/31/09, depositata il 21.12.2009 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. Rappresentava che il contenzioso traeva origine da una verifica fiscale, all’esito della quale con l’avviso di accertamento impugnato erano riprese a tassazione alcune voci, ai fini Iva, Irpeg ed Irap, per minusvalenze e costi non deducibili, per ricavi non dichiarati, per costi non inerenti e per costi da ammortizzare.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva integralmente il ricorso della contribuente con sentenza depositata l’11.10.2007. L’appello dell’Ufficio era rigettato con la sentenza ora impugnata.
L’Agenzia censurava la sentenza:
con il primo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., perché, nel riconoscere corretta la deduzione di € 19.052.996,95, erroneamente il giudice d’appello aveva ritenuto sussistenti le valide ragioni economiche dell’operazione di rinuncia al credito della contribuente nei confronti della società partecipata S.;
con il secondo motivo per omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., per non aver chiarito quali valide ragioni economiche giustificassero la rinuncia al credito;
con il terzo motivo per omessa od insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, co.1, n. 5, c.p.c., per non aver chiarito sulla base di quali requisiti fosse stato riconosciuto il diritto alla deduzione integrale dei costi relativi al parco vetture;
con il quarto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 2, d.P.R. n. 441/1997, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché per omessa o insufficiente motivazione su un punto di fatto decisivo della controversia, per l’erronea decisione del giudice regionale sulle differenze inventariali;
con il quinto motivo per omessa o insufficiente motivazione su un punto di fatto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per l’erronea decisione sui costi contabilizzati per le prestazioni del sig. S.; con il sesto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 67 TUIR (vecchia numerazione), in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per il riconoscimento del diritto alla integrale deduzione in unico periodo di spese per beni strumentali all’esercizio dell’impresa.
In conclusione chiedeva la cassazione della sentenza.
Si costituiva la società contribuente, che contestava i motivi e preliminarmente eccepiva l’inammissibilità del ricorso perché confezionato con la tecnica dell’assemblaggio.
Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2018, dopo la discussione, il P.G e le parti concludevano. La causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Deve essere preliminarmente valutata l’eccezione di inammissibilità del ricorso. In ordine all’utilizzo di tale tecnica di redazione dell’atto impugnativo, ritenuta generalmente motivo di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del contenuto prescritto dall’art. 366, co. 1, n. 3, c.p.c., la giurisprudenza ha opportunamente puntualizzato che l’integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, così risolvendosi in un difetto di autosufficienza sanzionabile con l’inammissibilità. Ciò rende infatti incomprensibile il mezzo processuale, perché privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonché dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo al giudice di legittimità il compito, ad esso non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass., Sez. 6-1, ord. n. 22185/2015; Sez. 6-3, sent. n. 3385/2016). Si è anche affermato che per superare il difetto di autosufficienza è necessario che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, se facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza pertanto, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass., Sez. 5, sent. n. 18363 del 2015; ord. n. 12641 del 2017).
Nel caso di specie, pur presente la riproduzione integrale e non consentita dei documenti, la possibilità di separazione degli stessi lascia integro il contenuto dell’atto difensivo, nel rispetto degli elementi prescritti dall’art. 366 c.p.c. In conclusione l’eccepita inammissibilità non trova accoglimento.
Esaminando i motivi di ricorso, il primo ed il secondo possono essere trattati unitariamente, perché relativi all’accoglimento delle ragioni del contribuente avverso la ripresa a tassazione di costi ritenuti indeducibili dalla Amministrazione. In particolare l’Ufficio aveva ritenuto che la rinuncia ai crediti vantati dalla F. nei confronti della S., società a sua volta partecipata dalla creditrice, per poi, al momento della cessione a terzi della partecipazione, dedurre la minusvalenza corrispondente al valore della quota (pari ai crediti rinunciati) meno il prezzo simbolico ricevuto dall’acquirente, costituiva una operazione elusiva, ai sensi dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973 (ora abrogato). L’Amministrazione ha lamentato l’erronea lettura dell’art. 37 bis cit. e l’insufficiente motivazione offerta dalla commissione regionale.
Essi sono infondati.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che nel sistema tributario esiste un generale principio antielusivo -la cui fonte per i tributi non armonizzati va rinvenuta negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio non contrasta con il canone della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali da essa non derivanti, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali; e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva (cfr. Cass., sent. n. 3938 del 2014);
si è anche chiarito che l’operazione economica che abbia quale suo elemento -non necessariamente unico, ma comunque predominante ed assorbente- lo scopo elusivo del fisco costituisce condotta abusiva, ed è pertanto vietata allorquando non possa spiegarsi altrimenti, o in ogni caso in modo non marginale, che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, incombendo peraltro sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (Cass., Sez. 5, sent. n. 5090/2017; sent. n. 4603 del 2014; sent. n. 3938 cit.).
Questi i confini entro cui deve muovere la analisi della vicenda oggetto di causa, la sentenza della CTR lombarda ha valorizzato la ricostruzione offerta dalla contribuente, l’essere cioè la società partecipata (S.) ad un passo dal fallimento, il trovarsi in una situazione prossima alla crisi anche la società partecipante F., l’individuare con una terza società, di proporzioni mondiali, una soluzione che consentisse il salvataggio di entrambe; ciò mediante: 1) la cessione al colosso internazionale delle azioni della F., con azzeramento del capitale e sua ricostituzione a solo carico dell’acquirente, 2) la rinuncia ai crediti della F. nei confronti della S., 3) la cessione delle quote di partecipazione della F. nella S. agli ex soci della F., così da separare definitivamente le due società.
La complessità dell’operazione, nella quale si riscontrano indubbi vantaggi fiscali per l’emersione di minusvalenze da dedurre nel bilancio della F., contiene però altrettanti indiscutibili vantaggi per tutte le società e i soggetti coinvolti, sicchè ricondurre la finalità dell’articolata operazione esclusivamente al perseguimento di intenti elusivi costituisce un giudizio del tutto errato. In ogni caso si tratta di una valutazione nel merito di un fatto, operata dal giudice d’appello che è esente da errori logici, e che pertanto non può essere oggetto di rivalutazione in sede di legittimità solo perché una parte ha interesse ad una interpretazione diversa dei fatti.
Con il terzo motivo l’Amministrazione denuncia un vizio di motivazione perché erroneamente la commissione regionale avrebbe riconosciuto l’intera deducibilità per i costi di gestione del parco auto della società, che invece l’Ufficio aveva ripreso a tassazione nella percentuale del 50%. La ricorrente lamenta che non vi era prova della ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 121 bis del TUIR (vigente ratione temporis, ora corrispondente all’art. 164 TUIR). Sennonché sul punto la pronuncia è netta nel condividere quanto affermato dalla contribuente, ossia che «La tesi dell’ufficio, secondo cui non sarebbe stata fornita la prova dell’affidamento delle autovetture ai dipendenti, non può essere accolta, posto che l’avviso di accertamento contiene la indicazione dei relativi fringe benefit accertati in capo ai dipendenti». A parte la correttezza del ragionamento in punto di diritto, prevedendo l’art. 121 bis all’epoca vigente l’integrale deducibilità dei costi relativi alle autovetture date ai dipendenti anche ad uso promiscuo, trattasi di un accertamento in fatto privo di salti o errori logici, sicchè è inibito al giudice di legittimità ogni diverso accertamento.
Con il quarto motivo si censura la decisione relativa alle risultanze inventariali, per le quali l’Ufficio aveva ripreso a tassazione l’importo di € 259.779,00. Il motivo è inammissibile, sia perché non rispetta il canone della autosufficienza, sia perché è indistintamente sollevato per violazione di legge e per vizio di motivazione, senza che sia possibile distinguere specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass., Sez. 2, sent. 9793/2013).
D’altronde in tema di ricorso per cassazione si è affermata l’inammissibilità della mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, o quale insufficiente motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, o la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass., Sez. 1, sent. n. 19443/2011). Con il quinto motivo si censura il vizio di motivazione in ordine all’accoglimento delle censure della contribuente sulla ripresa a tassazione dei costi sostenuti e contabilizzati in favore del dipendente S., per il quale l’Amministrazione sostiene l’assenza di prove sulla natura della prestazione eseguita in favore della società; in altre parole l’Ufficio mette in discussione il rapporto di dipendenza tra il S. e la società F., che invece questa afferma, tradottosi nell’incarico di direttore generale. Il motivo è infondato perché con accertamento di fatto sorretto da ragionamento non contraddittorio il giudice di merito ha riconosciuto che il S. ha svolto pacificamente attività lavorativa per la società ricorrente, a prescindere dai movimenti del medesimo tra le varie consociate, perché l’inerenza del costo è determinata dalla relazione del soggetto che fruisce della prestazione lavorativa di un dipendente.
Con l’ultimo motivo l’Amministrazione censura la sentenza per aver annullato la ripresa a tassazione delle spese per beni ammortizzabili, dedotte in un unico anno anzicchè secondo i principi contabili dell’ammortamento. La sentenza ha invece accolto il ricorso del contribuente, il quale aveva sostenuto che trattavasi di spese per beni strumentali per la manutenzione di cespiti ammortizzabili, di cui la disciplina autorizza l’immediata deducibilità purchè nei limiti del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili. L’inquadramento tra i suddetti beni è accolto dal giudice regionale e non è nella sostanza contestato dall’Ufficio, che di fatto con la sua difesa si limita ad una impugnazione generica, senza peraltro dare alcuna prova, o indicare in quale parte e atto dei precedenti gradi ha dimostrato il contrario. Ebbene, ai sensi dell’art. 67 TUIR vecchia numerazione, ora dell’art. 102, co. 6 del TUIR, entro quella percentuale è possibile l’immediata ed integrale deducibilità dei costi sostenuti per manutenzione, riparazione ammodernamento dei beni ammortizzabili. Ne consegue che impeccabile è il ragionamento del giudice d’appello e infondato pertanto è anche questo motivo.
Il ricorso va dunque rigettato, e all’esito del giudizio segue la soccombenza della Amministrazione nelle spese di causa, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna l’Agenzia alla rifusione in favore della contribuente delle spese processuali, che si liquidano in € 11.000,00, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori di legge se dovuti.
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