In base ad una recente sentenza la n. 7701 del 27 marzo 2013 della Cassazione in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa l’Agenzia delle Entrate può legittimamente procedere alla rettifica del reddito imponibile anche a prescindere dai dati e dalle notizie acquisiti con le risposte fornite dal contribuente a fronte di uno specifico questionario o invito. Allo stesso modo, l’ufficio può negare la deducibilità dei costi riportati in dichiarazione in quanto ritenuti non congrui, e ciò anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi degli atti d’impresa. In entrambi i casi, incombe esclusivamente sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza, la congruità e la diretta imputazione dei costi portati in deduzione con le attività produttive di ricavi imponibili.
La vicenda
La controversia ha avuto inizio con il ricorso proposto da una società di capitali avverso un avviso di accertamento avente a oggetto il recupero a tassazione, ai fini Irpeg e Ilor, di minori costi deducibili relativi all’anno 1993, perché in parte ritenuti non documentati e in parte non inerenti.
E’ importante ricordare che nel corso della fase istruttoria, l’Agenzia aveva inviato al contribuente un apposito questionario rivolto specificamente all’acquisizione della documentazione relativa al registro dei beni ammortizzabili e ai costi di leasing.
In risposta all’invito, la società non aveva prodotto il carteggio richiesto, consegnando invece la documentazione relativa alle provvigioni passive, alle assicurazioni e alle consulenze legali e notarili.
Sia inanzi alla Commissione tributaria provinciale che in appello i giudici accoglievano le doglianze del contribuente.
Nella motivazione della sentenza, i giudici di secondo grado avevano ritenuto l’atto impositivo viziato nella legittimità, perché concernente la contestazione di indeducibilità di costi diversi da quelli per i quali era stata formulata la richiesta di acquisizione per mezzo del questionario e, in ordine ai quali, non era stato assicurato alcun contraddittorio.
Inoltre, a parere dei giudici di merito, era da considerarsi infondata l’eccezione dell’ufficio di inammissibilità degli atti depositati dalla società nel corso del giudizio, in quanto tali documenti non erano stati espressamente richiesti con il questionario e, pertanto, risultavano legittimamente utilizzabili in sede di successivo giudizio.
L’Agenzia proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo diversi motivi di impugnazione.
In primo luogo, l’ufficio finanziario censurava il vizio procedimentale addotto dai giudici di merito, perché non contemplato da alcuna norma, secondo cui l’Amministrazione finanziaria avrebbe violato l’obbligo di richiedere, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, eventuale documentazione integrativa perché ritenuta insufficiente quella trasmessa in seguito all’invio del questionario.
Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate deduceva che, prescindendo dell’eventuale incompletezza della risposta al questionario, essa potesse comunque effettuare le verifiche sulla dichiarazione dei redditi e contestare l’indebita deduzione di qualsiasi costo, gravando sulla società contribuente la prova della sussistenza delle condizioni per la deducibilità.
Ritenendo fondate le censure dell’Agenzia, la Corte di cassazione ne ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando gli atti a una diversa sezione della competente Commissione tributaria regionale, per un nuovo esame e per la valutazione delle prove fornite dalle parti.
La decisione
Nel caso di specie, l’attività di controllo da parte dell’ufficio era stata condotta mediante l’invio di un questionario (il cosiddetto questionario “modello 55”), previsto dall’articolo 32, comma 1, n. 3, del Dpr 600/1973, quale mezzo istruttorio finalizzato all’acquisizione di informazioni utili per l’attività di controllo e di accertamento.
In tema di ammissibilità dei dati e delle notizie forniti dal contribuente, l’articolo 25, comma 1, della legge 28/1999, che ha integrato l’articolo 32 del Dpr 600/1973, ha previsto che “le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”.
Si aggiunga a riguardo che, in caso di contribuente titolare di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, la citata norma del 1999 ha introdotto un’ulteriore e grave misura sanzionatoria in caso di omessa risposta a fronte di un questionario o invito, prevedendo all’articolo 39, comma 2, lettera d)-bis, del Dpr 600/1973, la potestà dell’ufficio di procedere all’accertamento induttivo del reddito, determinandolo sulla base dei dati e notizie in proprio possesso, con facoltà di prescindere, in tutto o in parte, delle eventuali risultanze contabili nonché sulla base di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Alla luce del richiamato quadro normativo, nella controversia in commento era stato dichiarato l’annullamento dell’avviso d’accertamento per illegittimità dell’atto.
In primo luogo, i giudici di merito avevano dedotto che la società, a fronte delle richieste dell’ufficio, aveva correttamente ed esaustivamente adempiuto al proprio obbligo di risposta al questionario, ritenendo al contrario che, una volta verificata l’insufficienza dei dati e notizie fornite dal contribuente, incombeva sull’ufficio l’onere di richiedere, prima di procedere alla notifica dell’accertamento, una integrazione documentale.
Sul punto i giudici di legittimità hanno risposto dando manforte alle ragioni dell’ufficio finanziario specificando che, relativamente all’accertamento del reddito d’impresa, l’ente impositore è vincolato unicamente alle disposizioni in materia di imposizione diretta previste dal Tuir sulla determinazione dell’imponibile fiscale, non essendo previsti altri vincoli né tanto meno ulteriori obblighi procedurali.
In altre parole, non è censurabile l’operato dell’ufficio accertatore qualora non ritenga opportuno richiedere un’integrazione dei dati, eventualmente lacunosi, forniti dalla società con la risposta al questionario, non incombendo normativamente alcun obbligo di condotta a riguardo.
Inoltre, la Commissione tributaria di secondo grado aveva ritenuto illegittimo l’atto impositivo perché l’avviso de qua conteneva contestazione di costi diversi da quelli richiesti dal questionario e non era stato assicurato il contraddittorio con la contribuente, alla quale non era stata data la possibilità di documentare i costi oggetto di nuova contestazione.
I giudici della Cassazione non hanno ravvisato alcuna lesione del diritto di difesa della società, precisando che il quadro delle disposizioni in materia di accertamento e controlli, rubricate al titolo IV del Dpr 600/1973, non prevede “quale suo presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica” l’invio di un questionario e di un invito “ben potendo l’Amministrazione finanziaria procedere a rettifica della dichiarazione anche per motivi diversi e prescindendo dai dati acquisiti con le risposte fornite dal contribuente al questionario”.
Se ne deduce, pertanto, che la difformità dei dati richiesti con un questionario e le contestazioni oggetto di accertamento non sono causa di nullità dell’atto per vizio di legittimità né impedisce alla società contribuente di fornire la prova giustificativa dei costi fiscalmente dedotti.
Su quest’ultimo punto, la sentenza della Cassazione correttamente evidenzia come l’atto impositivo si limitava a contestare l’indeducibilità di costi non adeguatamente documentati o privi del requisito di inerenza, in quanto “l’onere della prova dei presupposti dei costi e degli oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi…incombe al contribuente”.
Ma non solo, sul contribuente grava altresì l’onere di dimostrare, in caso di contestazione dell’ufficio sulla congruità dei costi dedotti e dei ricavi tassati, “la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, in difetto di tale prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4554 del 25/02/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 26480 del 30/12/2010)”, e ciò anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi negli atti giuridici d’impresa.
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