Tribunale di Velletri sentenza n. 227 depositata il 13 febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – MOBBING – ELEMENTO OGGETTIVO (O MATERIALE) – ELEMENTO SOGGETTIVO (O PSICOLOGICO) – ONERE DELLA PROVA
Fatto/diritto
Con ricorso depositato il 27.04.2015, ritualmente notificato, l’Ing. M.D. conviene in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri il Comune di Ariccia, in persona del Sindaco pro-tempore, e premesso di essere stato vittima di una condotta di mobbing verticale/orizzontale e di demansionamento/dequalificazione, chiede la condanna dell’Amministrazione convenuta a risarcirgli i danni subiti, sia di natura non patrimoniale nella misura di Euro 300.000,00, ovvero da determinarsi in via equitativa, ovvero a seguito di C.T.U.medica, sia di natura patrimoniale, per danno alla professionalità e danno da perdita di chance, da determinarsi in via equitativa, e comunque non inferiore a cinquanta mensilità.
Con vittoria di spese, competenze e onorari di lite.
Riferisce, in particolare:
– di essere stato assunto dal Comune di Ariccia in data 11.09.2000, con contratto a tempo pieno e indeterminato, e con la qualifica di esperto attività tecnica Cat. C ed assegnato al Settore Lavori Pubblici;
– di essere stato trasferito all’Ufficio Urbanistica nel 2001 con incarico di occuparsi dell’abusivismo edilizio e poi delle pratiche di D.I.A., venendo affiancato dal Geometra A.G. il quale, in presenza del pubblico e di professionisti, esprimeva giudizi offensivi nei suoi confronti, per cui sollecitava l’intervento del Responsabile del Settore senza ottenere alcun riscontro;
– che in data 20.12.2001 aveva corso una discussione con il predetto collega, che lo aggrediva fisicamente suscitando la sua reazione, per cui entrambi venivano sottoposti a procedimento disciplinare al cui esito veniva trasferito presso il Settore Patrimonio, allocato in un seminterrato, privato di mansioni e ricevendo una valutazione di “insufficienza per scarso rendimento”, per cui veniva escluso dalla produttività;
– il Geometra G., invece, rimaneva assegnato al Settore Tecnico presso l’Ufficio La. Pu.;
– che, stante la situazione creatasi, rimaneva del tutto isolato e inattivo, cosa che gli creava ansia e disagio tanto da dover ricorrere alle cure mediche, anche per essere diventato, dopo la separazione coniugale, oggetto di maldicenze per il suo presunto inadempimento agli obblighi di mantenimento della figlia, maldicenze originate dalle informazioni fornite, a sua insaputa, dall’ufficio del Personale all’avvocato della sua ex moglie inerenti la sua qualifica e stipendio;
– che, nel 2003, veniva assegnato all’Ufficio Ambiente, per volontà del Dirigente Ing. G., il quale gli lasciò intendere che il Geometra Funzionario dei LL.PP. e alcuni politici non gradivano la sua partecipazione ai progetti;
– che nel 2005 rinunciava al trasferimento presso il Comune di Roma, chiesto ne 2002, ma tale decisione, unitamente alle dimissioni dell’Ing. G., determinavano una maggiore ostilità dell’ambiente di lavoro nei suoi confronti, divenendo vittima di atti vandalici (graffi alla carrozzeria dell’autovettura – pneumatici forati);
– che nell’agosto del 2005 l’Ing. G. venne sostituito, e che il nuovo Dirigente lo scavalcava nell’impartire disposizioni alla ditta incaricata della gestione dei rifiuti, impedendogli di svolgere le funzioni di controllo assegnategli e di provvedere alla liquidazione dei compensi spettanti alla medesima ditta;
– che seguivano una serie di denunce reciproche, poi rimesse, e che a seguito di tali accadimenti veniva trasferito presso la Polizia Municipale rimanendo inattivo fino al 2006;
– che nel 2006 veniva assegnato all’Ufficio urbanistica dalla nuova amministrazione, divenendo responsabile del procedimento dei condoni edilizi;
– che i risultati ottenuti, e le ripercussioni favorevoli sullo stipendio, sollecitarono le invidie dei colleghi per cui di Dirigente dell’Urbanistica lo informava che gli avrebbe nuovamente assegnato le D.I.A. e che poteva istruire le pratiche dei condoni dopo l’orario di lavoro insieme ai colleghi;
– che nel 2008, il Dirigente, sig. S., maltrattò una sua una collega, tanto da provocarne il pianto, per cui, anche in qualità di rappresentante sindacale, si sentì in dovere di intervenire. Ne seguiva una accesa discussione con lo S. e l’avvio a suo carico di un procedimento disciplinare al cui esito venne nuovamente assegnato alla Polizia Municipale;
– che la nuova Dirigente della Polizia Municipale, legata da rapporti di amicizia con la compagna dello S., lo assegnava al controllo della disposizione della segnaletica relativa ai parcheggi assegnati ai portatori di handicap e, dopo averlo sottoposto ad ulteriori procedimenti disciplinari, successivamente annullati dalla DTL, lo trasferì in una stanza senza telefono e computer;
– che anche per il 2008 riceveva una valutazione gravemente insufficiente a differenza di quella ottenuta nel 2006;
– che nel 2008 iniziava una relazione sentimentale con una vigilessa assunta a tempo determinato, poi divenuta sua moglie, alla quale vennero riferiti commenti negativi su di lui e a cui, a causa della relazione intrapresa, non venne rinnovato il contratto;
– che nel 2009, insieme ad un collega che aveva testimoniato a suo favore dinanzi alla DTL, venne assegnato ad un gruppo di lavoro che doveva occuparsi della annosa questione inerente la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, e che la sua competenza tecnica comportò significativi introiti nella casse comunali, ma ciò malgrado in 12 anni ha conseguito una sola progressione economica;
– che, nel 2011, conseguiva la laurea magistrale in Ingegneria ma ciò malgrado il Comune non ha mai manifestati la volontà di investire sulla sua professionalità, continuando peraltro a rivolgersi a lui come Geometra D.;
– che, sempre nel 2011, gli veniva chiesto di liberare la stanza occupata e, dopo avere verificato che la nuova postazione consisteva in una scrivania priva di telefono PC e persino della sedia, chiese che la disposizione venisse impartita con atto scritto e che, ricevuta la notifica della disposizione mentre era in malattia, al suo rientro constatava che i cassetti della vecchia scrivania erano stati sigillati, i fascicoli sequestrati e al stanza era occupata da altra persona e la serratura cambiata;
– che, nell’ottobre del 2011, veniva assegnato al SU., il cui Dirigente responsabile era il sig. S., che lo lasciò del tutto inattivo, per cui l’unico compito che svolgeva, peraltro di sua esclusiva iniziativa, era quello di fornire informazioni ai cittadini sulla compilazione dei modelli prestampati;
– che in questo stesso periodo ebbe una discussione con il responsabile dell’Ufficio del personale per motivi inerenti le donazioni di sangue e che questi cercò di avviare a suo carico un procedimento disciplinare;
– che, nel febbraio del 2013, il Dirigente dell’Area II (cui appartiene il SUAP) gli chiedeva spiegazioni per le assenze dal lavoro per motivi di studio non autorizzate, avviando a suo carico un procedimento disciplinare;
– che nel marzo del 2013 stante la situazione di demansionamento e di inattività che durava da un anno e mezzo, sollecitava la Segreteria Comunale di affidagli funzioni e incarichi ma gli venne risposto di concludere il procedimento di una pratica in realtà mai avviata;
– che la situazione venuta si a creare dall’ambiente di lavoro si ripercuoteva sia sulla vita familiare, tanto che nel settembre del 2013 si separava dalla seconda moglie da cui aveva avuto un figlio, sia sulle sue condizioni di salute costringendolo ad assentarsi per malattia dal settembre 2013 all’aprile del 2014;
– che su consiglio della psicologa del Consultorio familiare della ASL Roma H iniziava il percorso per la valutazione della patologia di mobbing presso il Centro Antimobbing della ASL di Acilia nella cui relazione finale si legge che il riscontrato disturbo dell’umore era correlabile alla situazione lavorativa descritta dal ricorrente;
– che nel marzo del 2014, mentre era in malattia, veniva assegnato allo Staff del Sindaco, e nello stesso periodo il Comune di Ariccia pubblicava un bando di mobilità per reperire da altre amministrazioni un Geometra e un Ingegnere da assegnare ai LL.PP. e sottoscriveva delle convenzioni con due Geometri exdipendenti in pensione e un libero professionista di Roma;
– che al rientro dalla malattia il Sindaco di Ar. lo informava che la sua assegnazione allo Staff del Sindaco era dipesa dal fatto che nessun Dirigente aveva manifestato di averlo nella propria area di competenza, e che si sarebbe occupato dei fondi della comunità europea;
– che il 27 agosto 2014 veniva nuovamente assegnato all’ufficio Patrimonio per occuparsi della scansione delle domande dei loculi e che apprendeva dai colleghi che il Sindaco era uso definirlo come un “parassita”;
– che presso l’Ufficio Patrimonio veniva posto in situazione di ulteriore inoperatività e veniva sottoposto ad un ulteriore provvedimento disciplinare impugnato dinanzi all’A.G.;
– che da ultimo, nel gennaio del 2015, veniva assegnato all’Ufficio To. ed è ad oggi inattivo presso la Polizia Municipale.
Allega documentazione.
Il Comune convenuto si costituisce in giudizio e resiste alla domanda attorea.
Allega documentazione.
La causa veniva istruita a mezzo dei documenti prodotti dalle parti e l’esame dei testimoni ammessi. All’odierna udienza, dopo la discussione, previa concessione di termine per note, veniva decisa sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, dando lettura della sentenza ex art. 429 c.p.c..
Prima di affrontare il merito del presente giudizio appare opportuno prendere le mosse da alcune considerazioni generali sul mobbing, termine generalmente impiegato nel campo della medicina del lavoro per designare una forma di vero e proprio terrore psicologico, realizzata sui luoghi di lavoro da parte di colleghi e/o di superiori gerarchici (orizzontale-verticale) allorquando il lavoratore diviene vittima di sistematiche, persistenti e progressive azioni ad alto contenuto persecutorio con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità.
Tale conflittualità sistematica, da un punto di vista medico, provoca la conseguenza per la quale “il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e, a lungo andare, accusa disturbi psicosomatici relazionali e dell’umore, che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione”.
La giurisprudenza è generalmente concorde nel riferire il concetto di mobbing a condotte datoriali volte a vessare sistematicamente il lavoratore dipendente, mediante l’impiego di atti e condotte (anche eventualmente legittimi) frequenti e perduranti nel tempo, preordinate a menomarlo sul piano dell’autoconsiderazione e dell’equilibrio psicofisico, al fine, per lo più, di ottenerne la fuoriuscita dai ranghi aziendali, per sua iniziativa “spontanea”.
La Corte Costituzionale, in sede di delibazione della questione relativa alla sospetta illegittimità costituzionale di una legge della regione Lazio, che aveva dato una prima regolamentazione normativa del fenomeno, nell’affermare la potestà legislativa in materia in capo allo Stato, ne ha dato una sorta di definizione nei seguenti termini: “la sociologia ha mutuato il temine mobbing da una branca dell’etologia per designare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito, o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”(Corte Cost. n. 359 del 2003).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale che può dirsi, pertanto, tendenzialmente conforme, nel mobbing si distingue un elemento oggettivo (o materiale) costituito dalla perduranza di condotte vessatorie reiterate, ed un elemento soggettivo (o psicologico) costituito dalla coscienza e dalla volontà dell’autore di offendere e vulnerare il soggetto da escludere. In merito al primo, si sostiene che “gli elementi essenziali della fattispecie del cosiddetto “mobbing” sono: l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico; la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; il suo andamento progressivo; le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il lavoratore “mobbizzato” (per tutte vedi Trib. Milano 22.08.2002). Si è, quindi, fatto riferimento anche nella giurisprudenza di merito a condotte vessatorie idonee a integrare il c.d. mobbing purché attuate in modo duraturo e reiterato con condotta con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile (Trib. Milano 18.02.2003).
Quanto alle fattispecie individuate dalla giurisprudenza di merito, si sono ritenute rilevanti condotte, di per sé anche legittime e da sole non integranti il mobbing, quali as es. una serie di contestazioni e sanzioni disciplinari conseguenti a episodi di inesistente o scarsissima rilevanza disciplinare e (Trib. Milano 28.02.2003), la reiterata minaccia di sanzioni disciplinari poi mai irrogate. Sono state, altresì, enucleate una serie di condotte che attengono, di massima, ad iniziative volte ad emarginare il lavoratore da escludere, mediante un suo isolamento – fisico e non – rispetto ai colleghi con i quali egli opera, contestualmente considerate ed attuate nel corso del tempo in modo sistematico, quali l’impiego di un linguaggio non urbano e/o provocatorio, la sottrazione di informazioni utili o indispensabili all’esercizio delle mansioni, la sottoposizione sistematica a controlli esasperati dell’attività di lavoro, le frequenti aggressioni verbali consumate di fronte a terzi, ordini di servizio impartiti in tono minatorio, disposizioni operative contrarie alla disciplina generale, la privazione di strumenti di lavoro utili, la revisione peggiorativa delle mansioni di pertinenza, il diniego all’interessato dei riconoscimenti economici viceversa attribuiti ai suoi colleghi (a parità di posizione ricoperta e di risultati ottenuti). Rilevano, infine, tutti gli ulteriori atti, già di per sé illegittimi, quali molestie (anche di tipo sessuale), ingiurie, diffamazioni ecc…
Nel concreto nel mobbing si ricomprendono, dunque, in via riassuntiva, una serie di fenomeni già presenti nell’ordinamento come espressioni di lesione alla salute del lavoratore: il danno biologico da stress lavorativo, le molestie sessuali, la dequalificazione, l’inattività lavorativa imposta, la mancata fruizione del riposo ecc…
Non costituisce, viceversa, mobbing, per opinione diffusa, lo stato di fisiologica contrapposizione tra le diverse componenti di un rapporto di lavoro, in quanto mera conseguenza di tensioni suscitate dalla difficile e problematica componibilità delle reciproche attese ed obiettivi; né costituisce mobbing, per indirizzo conforme, il saltuario ricorso, da parte del datore di lavoro, a misure di ordine organizzativo illegittime, o l’assunzione, sempre da parte di costui, di occasionali contegni illeciti, sul piano dei rapporti personali, specie se non complessivamente e scientemente preordinate ad escludere il soggetto interessatone (Trib. Cassino, 18.12.2002; Trib. Milano, 20.05.2000).
La giurisprudenza di merito si è quindi espressa, condivisibilmente, nel senso che: “non è configurabile un danno psichico del lavoratore, del quale il datore di lavoro sia obbligato al risarcimento, conseguente ad una allegata serie di vicende persecutorie lamentate dal lavoratore stesso (cosiddetto “mobbing”), qualora l’assenza di sistematicità, la scarsità degli episodi, il loro oggettivo rapportarsi alla vita di tutti i giorni all’interno di una organizzazione produttiva, che è anche luogo di aggregazione e di contatto (e di scontro) umano, escludano che i comportamenti lamentati possano essere considerati dolosi” (ancora Trib. Milano 20.05.2000).
Né rileva la dequalificazione professionale, la riduzione legittima degli incentivi e l’affiancamento di altri dipendenti che non integrano l’ipotesi di atti emulativi con particolare intento lesivo nei confronti del lavoratore: “con l’espressione “mobbing” si intende una successione di fatti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro con intento emulativo ed al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione, condotta con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile” (Trib. Milano 18/02/2003 il quale rileva che “perché la dequalificazione possa comportare danno risarcibile in termini di perdita della professionalità occorre che sia protratta per un certo tempo, durante il quale il lavoratore, non esplicando le proprie mansioni, abbia perduto capacità professionale, aggiornamento, considerazione all’interno dell’azienda”).
Per quanto attiene, infine, all’elemento psicologico, l’agente deve essere animato da dolo improntato a consapevole vessazione del soggetto da penalizzare.
In estrema sintesi, quindi, il lavoratore è gravato dell’onere probatorio inerente la:
• a) realizzazione in proprio danno di condotte mobbizzanti (elemento oggettivo);
• b) l’esistenza nell’agente di contegno doloso (elemento soggettivo);
• c) l’effettività del danno addotto;
• d) la ricorrenza di un nesso casuale tra condotta e danno allegato.
Ciò premesso è, tuttavia, evidente che la sostanziale assenza di un riferimento normativo che definisca la fattispecie del mobbing, e il riferimento a concetti generici quali “condotte vessatorie”, possono, nel concreto, comportare il rischio della sopravvalutazione delle stesse, dovuta alla particolare e personale reattività del soggetto coinvolto, che non può però, di per sé, costituire termine esclusivo di riferimento della responsabilità civile.
Sotto tale profilo si evidenzia, pertanto, che non sono ammissibili generici riferimenti a condotte “vessatorie” ovvero “denigratorie”, che devono sempre essere specificate, anche al fine di consentire alla controparte una adeguata difesa.
Né, ai fini della configurazione dell’illecito, basta la certificazione della sussistenza di una determinata patologia (che di norma in tali casi si manifesta in alterazioni dell’umore di tipo ansioso-depressivo che peraltro com’è noto hanno natura multifattoriale), pur anche proveniente dagli attuali “sportelli mobbing”, in quanto la presenza della malattia non comporta automaticamente la responsabilità civile del presunto autore, che rimane legata ai principi codicistici, ivi compreso quello dell’onere della prova del nesso di causalità.
Si condivide, ancora, sul punto l’osservazione della giurisprudenza di merito secondo la quale “il fatto che il mobbing sia stato oggetto di attenzioni sociologiche e anche televisive non lo rende insensibile alle regole che vigono in campo giuridico allorquando ad esso si vogliono collegare conseguenze in termini di risarcimento del danno. In questa prospettiva occorre che chi invoca tale fatto come produttivo di danno ne provi l’esistenza e ne dimostri la potenzialità lesiva” (Trib. Milano 20.05.2000).
Così delineata la cornice ermeneutica entro cui inquadrare i fatti oggetto del presente giudizio, e prima di procedere alla valutazione delle risultanze delle prove raccolte, appare utile riportare integralmente il contenuto delle deposizioni rese dai testimoni esaminati nel corso dell’istruttoria.
S.S., teste indifferente, ha dichiarato: “Sono collega del ricorrente all’apoca dei fatti Agente della Polizia Municipale di Ariccia (dal 1998 fino al 31.03.2014) ed attualmente presto servizio presso l’Ufficio Ambiente. Posso dire in generale che il ricorrente ha subito numerosi trasferimenti all’interno degli Uffici Comunali ad esempio presso il Comando Di Polizia locale ha prestato servizio come impiegato per tre periodi differenti. È vero che ad un certo punto che potrebbe collocarsi nell’anno 2002 è stato trasferito presso il CED che è allocato in un piano seminterrato e credo avesse un solo collega con cui lavorava nello stesso orario. Attualmente l’ufficio CED è stato potenziato e vi lavorano 4 dipendenti. Non posso riferire di maldicenza ma vedevo che veniva isolato dagli altri dipendenti. Posso dire altresì che quando lavorava al CED non aveva in pratica nulla da fare né so dire all’epoca che attività in concreto gestisse il CED. Ricordo che il ricorrente aveva un rapporto con l’Ing. G. ma non so dire se fosse stato lui a coinvolgerlo nei progetti. So che l’auto del ricorrente è stata danneggiata ma non dire chi sia stato a farlo. Dopo le dimissioni dell’Ing. G. ricordo che ebbe delle discussioni con un collega e forse con il nuovo dirigente. Non ricordo se quando fu riassegnato alla Polizia Municipale rimase allocato presso l’Ufficio LL. e inattivo ricordo però che ad un certo punto venne sistemato presso l’ufficio di PG sito nel seminterrato ma no dire che mansioni svolgesse di fatto. Ricordo che nel periodo di prima assegnazione alla Polizia Municipale o forse quando assegnato all’Ufficio tecnico edilizia ricordo che fece un paio di sopralluoghi con me per l’abusivismo edilizio. Non ricordo commenti negativi per il fatto che il ricorrente si fidanzò con una dipendente del Comune poi divenuta sua moglie.
È vero che venne trasferito in una stanza che oggi è occupata dall’Ufficio Economato dove ricordo non c’era il PC. Non ricordo se invece c’era il telefono. È vero che ad un certo punto fu trasferito presso il SUAP ma non si dire cosa in concreto facesse. Mi è capitato di recarmi presso tale ufficio per acquisire della documentazione e lo vedevo sovente nei corridoi portare i faldoni mentre invece io interagivo con l’impiegata più alta in grado. Nulla so dire sulle pratiche interne degli uffici. Non so dire i motivi per cui si è separato dalla moglie poiché non lo frequentavo fuori dall’uffizio. Ricordo che il ricorrente ha eseguito alcuni controlli per verificare la regolarità delle concessioni posti auto per disabili. Non mi risulta che nessun impiegato dell’Ufficio tecnico sia mai stato trasferito alla Polizia Locale. Confermo che la stanza in cui è stato trasferito nell’ottobre 2011 oggi è occupata dall’Economato. Preciso che mi sono recato personalmente in tale stanza un paio di volte ed entrambe le volte non era presente il PC. Non so precisare le volte in cui mi sono recato presso il SUAP ma posso dire che non ho mai visto il ricorrente lavorare. Posso anche dire che in tale ufficio i dirigenti non assegnano particolare compiti ai dipendenti.
G.G., teste indifferente ha dichiarato: “Sono agente immobiliare per cui mi capitano delle pratiche al Comune di Ariccia che frequento da circa 13 anni per accesso agli atti o problematiche relative ad abusivismi edilizi. Il ricorrente è sempre stato un mio referente a cui mi rivolgo per sapere come muovermi all’interno del Comune per risolvere le mie problematiche. Nel corso del tempo ho constatato che ha occupato vari uffici. Qualche anno fa’ (circa 12 anni orsono 2002/2003) occupava un ufficetto sito nel seminterrato. Poi l’ho visto presso i Lavori Pubblici, un’altra volta presso l’ufficio patrimonio e adesso sta presso in un ufficio sito al primo piano ma è assegnato alla Polizia Locale e si occupa dell’assegnazione dei numeri civici. Ricordo solo che l’ufficio ubicato nel seminterrato era buio e sembrava più un magazzino per come era arredato.
C’erano infatti faldoni negli scaffali. Non ricordo se c’era il PC ma ricordo che non mi sembrava attrezzato. Ricordo che le volte in cui lo andavo a trovare non mi sembrava oberato di lavoro. Sapevo altresì delle sue problematiche sul posto del lavoro perché eravamo anche diventati amici. Non so dire nulla nello specifico sui rapporti con i colleghi. Ricordo che una volta mentre ci trovavamo nei corridoi del comune un uomo venendoci incontro lo urtò in maniera che sembrò volontaria. Mi disse che si trattava di un collega con cui non andava d’accordo. Non so dire chi sia l’autore ma confermo che la sua auto era piena di graffi. Nello specifico non l’ho mai visto litigare con la moglie ma posso dire che era inquieto e frustrato a suo dire per le questioni di lavoro e che ciò si ripercuoteva nei rapporti interpersonali. Non ricordo l’episodio specifico del marzo 2013. Ricordo che nel 2007 si occupò di un controllo per un immobile che una mia collega doveva sanare poiché all’epoca era addetto all’Ufficio Tecnico per le Sanatorie”.
C.C. teste indifferente ha dichiarato: “Sono dipendente del Comune di Ariccia dal 1989 come Agente di Polizia Locale. Nel 2002 lavoravo presso l’ufficio della Polizia Locale ed ho conosciuto il D. quando aveva la mansioni di controllo sui cantieri per l’accertamento di abusi edilizi. So comunque che quanto è stato trasferito presso l’Ufficio patrimonio viveva un disagio che esternava perché si lamentava di essere stato trasferito ma di non avere avuto compiti da svolgere. Ho sentito l’ex sindaco più di una volta lamentarsi del ricorrente e della sua professionalità nel senso che a suo giudizio era troppo rigido perché quando si recava sui cantieri annotava ogni singola violazione riscontrata con estrema precisione. Nulla so dire sul capitolo 10 del ricorso. Non mi risulta che il ricorrente abbia mai subito spintoni nei corridoi mentre è vero che ha subito atti vandalici (graffi alla carrozzeria) alla sua vettura ma è capitato anche a me è comunque non so dire chi sia stato. Non so dire nulla di preciso sulla prima parte del capitolo 12 mentre invece posso confermare che quando il D. è stato trasferito presso l’ufficio della Polizia Locale venne allocato nella sala riunioni con una brutta scrivania senza PC e telefono e di fatto non mi risulta che svolgesse alcuna mansione specifica. Né prima né dopo il D. un geometra è mai stato assegnato alla Polizia Locale. Non so dire se la futura moglie del ricorrente sia stata oggetto di maldicenze o ritorsioni solo per il fatto di avere una relazione sentimentale con il D.. Non ricordo se quando dal 2009 in poi è stato trasferito di nuovo presso l’ufficio Patrimonio abbia subito l’assegnazione di una stanza senza PC e telefono. Non so dire se presso il SUAP il ricorrente fosse o meno inattivo. Nulla so sul capitolo 33. Posso dire che il ricorrente quando era assegnato all’ufficio edilizia fu delegato di eseguire controlli su di un cantiere di proprietà dell’allora sindaco dove ha riscontato illeciti e da allora i loro rapporto sono peggiorati”.
T.C., teste indifferente ha dichiarato: “Sono stata Segretario generale del Comune di Ariccia da agosto 2006 a dicembre del 2015. Nessuno dei fatti di cui al capitolo 4 B7 della memoria di costituzione è stato portato alla mia attenzione. Non ero presente all’episodio del 13/05/2008 ma da questo scaturì un procedimento disciplinare a carico del ricorrente avviato proprio dal Dirigente architetto S.. Venne quindi trasferito per incompatibilità ambientale con il Dirigente. Presso l’ufficio della Polizia Locale doveva occuparsi della toponomastica. Confermo che mi fu detto che il ricorrente eccepì che la scrivania che gli era stata assegnata non era a norma e comunque che volle un provvedimento scritto di assegnazione della scrivania e di precisazione dei compiti da svolgere. Posso dire in prima persona che il ricorrente dopo ogni trasferimento presso i vari uffici comunali pretendeva di ricever per iscritto le mansioni da svolgere e ciò addirittura anche durante la medesima assegnazione. Nulla so su eventuali accertamenti di illeciti edilizi da parte del ricorrente su cantieri di proprietà del sindaco che era un medico in pensione”.
P.S., teste indifferente ha dichiarato: “Sono stata comandante della Polizia Locale tra il 2008 e il 2010. Mi è stato riferito per grandi linee l’episodio del diverbio del 13.05.2008 a seguito del quale il D. è stato trasferito presso l’ufficio della Polizia Locale. Preciso che l’ufficio della Polizia Locale si occupa anche di viabilità segnaletica ZTL e trasporto pubblico locale per cui una professionalità come quella del ricorrente che era Geometra era utile sotto il profilo amministrativo sia per l’istruttoria dei provvedimenti che i sopralluoghi in esterno. Ricordo che il ricorrente sin dall’inizio aveva un atteggiamento non collaborativo perché non aveva accettato il trasferimento per cui ho cercato di farlo inserire nell’ambiente di lavoro anche avendo con lui un atteggiamento meno gerarchico ed assegnandolo nella stanza occupata dal Vice Comandante così da potersi ambientare. Lui invece voleva occupare un ufficio da solo è si è lamentato della scrivania assegnatagli per cui gli ho detto che poteva occupare anche l’altra scrivania che era libera. Chiese anche il dettaglio delle singole pratiche di cui doveva occuparsi per cui per era diventato un po’ faticoso. Preciso che i sopralluoghi che svolgeva il ricorrente erano finalizzati alla collocazione o verifica della necessità di acquisto della segnaletica stradale. Ricordo che a volte si allontanava per lunghi periodi dall’uffizio senza avvisare nessuno. Il giudice dà atto di aver dato lettura al teste delle dichiarazioni verbalizzate e che il teste le ha confermate”.
F.M., ha dichiarato: “Sono responsabile del personale del Comune di Ariccia da almeno 30 anni. Non mi risulta che il ricorrente sia mai stato oggetto di maldicenze, oggetto di aggressioni o vittima di atti vandalici. Non mi risulta che l’Ing. G. abbia mai riferito le circostanze che mi si leggono. Mi è stato riferito l’episodio del 13 maggio 2008 ma non vi ho assistito. Ricordo che nel periodo natalizio del 2011 il D. era in ferie e mi telefono per chiedere se poteva interrompere le ferie per donare il sangue e quindi prolungarle almeno di un giorno. Io gli rispondevo che il contratto non prevede l’interruzione delle ferie tranne che per malattia o ricovero ospedaliero. Di fronte al mio rifiuto mi ha risposto in modo aggressivo asserendo che non capivo nulla al che ho riattaccato il telefono. Il giorno dopo è entrato nel mio ufficio e mi ha detto con tono aggressivo puntandomi il dito contro che non avrei dovuto riattaccare il telefono e mi ribadiva che non capisco nulla. La discussione è proseguita nei corridoi alla presenza di altri colleghi. Preciso che tale episodio è avvenuto il giorno dopo la telefonata”.
Ebbene, premesso che i fatti storici dedotti in giudizio coprono un arco temporale di circa 15 anni, questo giudicante procederà allo scrutinio di quelli connotati di maggiore sifìgnificatività ai fini dell’accertamento dei diritti fatti valere in giudizio, tralasciando, invece, quelli che, quand’anche sussistenti, sarebbero comunque inidonei a condurre ad un esito favorevole del processo per l’attore.
Ebbene, dall’analisi delle risultanze della prova orale emerge, in primo luogo, che nessuno dei testimoni di parte ricorrente (S., G. e C.), è stato in grado di riferire circostanze utili per la ricostruzione degli accadimenti che si collocano a fine anno 2001, epoca in cui il ricorrente era assegnato all’Ufficio Urbanistica unitamente al Geom. G..
Sono rimaste, quindi, prive di supporto probatorio le allegazioni secondo cui il Geom. G. era solito esprimere, in pubblico, giudizi offensivi nei confronti del D. e che, per tale motivo, il 20.12.2001 ebbe luogo un diverbio culminato con un’aggressione fisica, a cui seguiva l’ingiustificato trasferimento del ricorrente presso l’Ufficio Patrimonio e l’instaurazione di un clima fortemente ostile nei suoi confronti.
Peraltro va considerato che nella lettera di giustificazioni del 21.01.2002 il D. ammette di avere anche lui aggredito verbalmente il collega G., ma dietro sua provocazione, e di essere poi passato alle vie di fatto, ma solo per difendersi, indicando come presenti al fatto gli architetti G. e M. che purtuttavia non risultano citati dal ricorrente nel presente giudizio.
Risulta, ancora (cfr. Det. n. 73 del 5 febbraio 2002), che lo stesso Arch. G.,., all’epoca Responsabile dell’Ufficio Urbanistica e Ed. Privata, ha concesso il proprio N.O. per il trasferimento del ricorrente presso l’Ufficio Patrimonio; che tale assegnazione non è stata disposta per motivi disciplinare, bensì per esigenze di mobilità interna e, soprattutto, che il dipendente interessato alla mobilità (ndr il D.) è stato “sentito” e nulla ha obiettato.
Nessun riscontro ha, altresì, avuto la deduzione secondo cui, dopo tale trasferimento il D. diveniva oggetto di maldicenze per presunte inottemperanze agli obblighi di mantenimento della figlia, né quella secondo la quale l’Ufficio del Personale avrebbe divulgato notizie riservate al legale della sua ex moglie.
In relazione a tali anni il teste S. si è limitato a riferire che quando il ricorrente venne trasferito presso il CED occupava un ufficio sito nel piano semi-interrato, era isolato dagli altri dipendenti (ma non ha saputo indicare il motivo di tale isolamento) e che non aveva in pratica nulla da fare me purtuttavia non è stato in grado di riferire quali attività gestisse effettivamente il CED, né ha precisato le volte in cui ha avuto effettivamente modo di constatare in prima persona l’inattività del ricorrente.
Analogamente, il teste G. si è limitato a riferire che negli anni 2002/2003 il D. occupava un “ufficetto sito nel seminterrato” poco arredato e che le (non meglio precisate) volte in cui si recava a fargli un saluto non sembreva “oberato di lavoro”.
Il teste C. ha riferito che il D., dopo la sua assegnazione all’Ufficio Patrimonio, viveva un disagio che esprimeva lamentandosi di non avere compiti da svolgere.
A fronte della genericità di tali dichiarazioni, appare utile evidenziare che l’assegnazione all’Ufficio Patrimonio dal D. è durata circa 16 mesi e che in tale arco temporale il ricorrente ha accumulato ben 222 giorni di assenza. Il 15.05.2003, infatti, veniva assegnato all’Ufficio Ambiente, di cui era Dirigente responsabile l’Ing. V.G. dove, a dire dello stesso D., trascorreva un periodo relativamente sereno, nel quale conseguiva anche gratificazioni di tipo economico, tanto da rinunciare al trasferimento presso il Comune di Roma, richiesto nel 2002. Per incidens si osserva che, la deduzione secondo cui la richiesta di trasferimento sarebbe stata conseguenza dell’ambiente fortemente ostile venutosi a creare, è risultata smentita dal dato documentale da cui risulta che tale richiesta venne proposta il giorno successivo al trasferimento presso l’Ufficio Pa..
Venendo, dunque, al periodo successivo all’agosto del 2005, allorquando, a dire del ricorrente, stante la sostituzione del dimissionario Ing. G. con altro Ingegnere (di cui non riferisce il nominativo limitandosi a indicarlo come ex assessore ai LL.PP. e fratello di un ex Sindaco di Ar.), ripresero le ostilità nei suoi confronti, nessuno dei testi esaminati in giudizio ha confermato che il nuovo Dirigente scavalcava sistematicamente il ricorrente nei compiti a lui assegnati, ossia la gestione dei rapporti con la ditta affidataria della gestione dei rifiuti comunali.
Peraltro, anche in relazione a tale periodo, la prospettazione dei fatti fornita dal ricorrente è smentita dalla prova documentale, posto che nella relazione dell’agosto del 2005 a firma dell’Ing. S. si legge che il ricorrente si era rivolto nei suoi confronti con tono minaccioso diffidandolo a dare disposizioni al ditta Gaia senza il suo consenso, e a ciò si aggiunge che risulta per tabulas che il ricorrente ha lavorato con l’Ing. S. per tre mesi (giugno/agosto 2005) e che nel trimestre è stato effettivamente presente in servizio per complessivi 30 giorni lavorativi.
Passando alla disamina della prima delle due assegnazioni del D. al Comando della Polizia Municipale, va considerato, in primo luogo, che si è trattato, di un’assegnazione della durata di circa un anno e, soprattutto, che, in relazione a tale periodo il ricorso introduttivo è del tutto generico, posto che il D. si limita ad allegare che “iniziò un periodo fino alla fine del 2006 di inoperatività”.
Dal 2006 al 2008 il ricorrente veniva assegnato all’Ufficio Urbanistica ed Edilizia, divenendo responsabile del procedimento dei condoni edilizi ottenendo, per sua stessa ammissione, risultati tali da ripercussioni favorevolmente sullo stipendio. Le dedotte invidie suscitate nei colleghi par tale ragione sono rimaste, ancora una volta, allegazioni prive di alcun riscontro probatorio.
Inoltre, nessuno dei testi escussi ha confermato che il Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica, S.L., si è mai reso responsabile di maltrattamenti in danno di colleghi del ricorrente, come invece dedotto in ricorso, né le dichiarazioni testimoniali raccolte hanno dato riscontro alcuno alla versione dei fatti resa dal D. circa l’episodio verificatori nel maggio del 2008, a cui, peraltro, nessuno dei testi di parte ricorrente ha assistito.
Anche in questo caso nella relazione a firma del Dirigente dell’Area IV L.S., si riferisce una versione dei fatti del tutto difforme da quella riferita dal D. nel ricorso introduttivo e, come detto, non confermata da nessuno dei testimoni esaminati. Peraltro anche in tale occasione risulta la presenza di terze persone non indicate come testimoni.
In merito alla seconda assegnazione del D. al Comando Polizia Municipale va precisato che il trasferimento del 9.06.2008 non risulta conseguenza di un provvedimento disciplinare, bensì di mobilità interna per incompatibilità ambientale.
Nella Det. n. 14607 a firma del Segretario Generale dott.ssa T., si legge, infatti, che la situazione di incompatibilità creatasi tra il D. e il Dirigente dell’Area IV si ripercuoteva negativamente sugli interessi tecnico-organizzativi dell’Area medesima, per cui si rese opportuno procedere al trasferimento del dipendente di grado gerarchico inferiore. Si legge, altresì, che il ricorrente acconsentiva al trasferimento che, infatti, non risulta avere impugnato.
Sulla seconda assegnazione presso il Comando Polizia Municipale, anche questa volta della durata all’incirca di un anno, i testimoni hanno riferito dichiarazioni confuse, oltre che generiche, per cui non è dato comprendere se si sono effettivamente riferiti ai fatti del 2008, ovvero alla prima assegnazione, ma in ogni caso quello che emerge dalle loro dichiarazioni, è che il D. occupava una scrivania approntata in modo approssimativo, che appariva inattivo e frustrato e si lamentava. I testi hanno poi riferito che, per quanto a loro conoscenza, nessun geometra prima di lui è mai stato assegnato alla Polizia Municipale.
È rimasta una mera allegazione la circostanza secondo cui la Dirigente dell’epoca della Polizia Municipale, dott.ssa S.P., fosse amica della compagna dello S., e che, per tale motivo, lo avrebbe demansionato dando, altresì, corso a due pretestuosi procedimenti disciplinari a suo carico.
Infine, venendo agli anni dal 2011 al 2013, in cui il ricorrente veniva assegnato al SU., e agli anni dal 2014 ad oggi, valgono le considerazioni sulla genericità delle allegazioni di cui al ricorso introduttivo, prima ancora che della assoluta insufficienza sotto il profilo probatorio delle risultanze della prova per testi e dalla prova documentale offerta in relazione a tali periodi.
Infine, vale la pena di evidenziare che: nessuno dei testimoni esaminati ha riscontrato le deduzioni secondo cui il ricorrente era oggetto di pettegolezzi e maldicenze per la relazione sentimentale intrapresa con la vigilessa poi divenuta sua moglie; né che lo tesso è stato vittima di condotte violente e/o provocatorie da parte di alcuno dei dipendenti comunali; né che la sua autovettura sia stata oggetto di atti vandalici addebitabili ai suoi colleghi e/o superiori; né, infine, che la crisi coniugale che ha condotto alla separazione del ricorrente dalla sua seconda moglie sia effettivamente riconducibile allo stato psicologico in cui versava per la situazione lavorativa venutasi a creare; che la successiva assegnazione allo Staff del Sindaco sia dipesa dalla circostanza che era persona sgradita a tutti i Dirigenti comunali.
Di contro i testimoni del Comune resistente hanno smentito, nei limiti della loro personale conoscenza dei fatti, la prospettazione degli stessi resa dal ricorrente, e hanno riferito che questi negli anni ha avuto un atteggiamento poco collaborativo e si è mostrato poco incline a ottemperare agli ordini di servizio ricevuti.
La dott.ssa P. ha al riguardo riferito che il ricorrente non aveva accettato di buon grado il suo trasferimento al Comando della Polizia Municipale, che come detto si era reso necessario per ragioni di incompatibilità ambientale, per cui, per venirgli incontro, gli assegnava la stanza destinata al Vice Comandante, ma il D. non gradiva tale assegnazione perché voleva un ufficio a sua esclusiva disposizione. Quanto poi ai compiti svolti in tale periodo, la P. ha riferito che si occupava di svolgere sopralluoghi finalizzati alla collocazione o alla verifica della necessità di acquisto della segnaletica stradale. Ha riferito, infine, che il ricorrente a volte si allontanava per lunghi periodi dall’ufficio senza avvisare nessuno.
In merito all’episodio del 2011 F.M., Responsabile dell’Ufficio del Personale del Comune di Ariccia, ha dichiarato che il ricorrente di fronte al diniego dell’autorizzazione di interrompere le ferie ha assunto un atteggiamento irriguardoso e aggressivo nei confronti del superiore gerarchico.
Orbene, tutto ciò premesso e considerato, a parere di questo giudicante, il ricorrente non ha assolto all’onere probatorio di cui era gravato, ossia dimostrare, in modo serio e rigoroso, che sono state realizzate ai suoi danni vere e proprie condotte mobbizzanti frutto di un preordinato e unitario disegno di persecuzione coltivato e attuato, nel caso di specie, per circa 15 anni, dalle diverse amministrazioni e dai diversi dirigenti avvicendatisi nel tempo alla conduzione del Comune di Ariccia.
Ciò detto non va tralasciato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche in assenza di intenti discriminatori o persecutori idonei a qualificarlo come “mobbing”, il solo demansionamento, può comportare il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale (professionale, biologico o esistenziale) ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale del dipendente, nonché all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore. (cfr. Cass. Sez. U 4063 22.02.2010).
In merito alla effettività del danno addotto e del nesso casuale tra condotta e danno allegato, va precisato che la giurisprudenza della S.C. di Cassazione afferma in modo univoco (cfr. da ultimo sent. 29047/2017) che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
I Supremi giudici precisano che tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale.
Ancora … In tema di prova del danno da dequalificazione professionale ex art. 2729 c.c., non è sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice richiamo di categorie generali, come la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altri simili indici, dovendo procedere il giudice di merito, pur nell’ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza (Cass. 17163/2016).
I supremi giudici, hanno infine, ribadito che il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (come detto di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accettabile) provocato sul fare reddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove” (Sezioni Unite 24 marzo 2006 n. 6572). Conformi Cass. n. 14729/2006; n. 19965/2006; n. 21282/2006; n. 13877/2007; n. 29832/2008; n. 19785/2010.
Tornando, quindi, alla vicenda in disamina, si osserva che il ricorso introduttivo, sotto il profilo del danno alla professionalità, anche da perdita di chance, si mostra carente di specifiche allegazioni e, purtuttavia, volendo tenere conto del tenore complessivo delle medesime, al fine di identificare il tipo di pregiudizio che si assume provocato dalla dedotta dequalificazione (ossia il fatto ignoto), lo stesso si individuerebbe, essenzialmente, nella insorgenza di uno stato di profondo disagio misto a stress, dovuto all’isolamento e alla inattività, che si è ripercosso negativamente sulla vita familiare, su quella sociale -danno biologico, esistenziale da immagine e alla vita di relazione-, e su quella professionale per la mancata acquisizione di competenze e conoscenze -danno alla professionalità e da perdita di chance- (cfr. pagg. 22 e 23 del ricorso introduttivo).
Ebbene le prove raccolte e innanzi illustrate, anche valutate secondo un giudizio di probabilità e il ricorso a nozioni di comune esperienza, non appaio inidonee a fornire la dimostrazione del fatto ignoto (e cioè la prova della effettiva sussistenza del pregiudizio affermato). I fatti dedotti dal D., infatti, come più volte detto, non sono stati compiutamente accertati nella loro specifica realtà, per cui, anche a volerli ritenere “indizianti”, la loro portata “indiziante” è rimasta un mero richiamo presuntivo a categorie generali.
Né è stata raggiunta la prova di alcun danno per la mancata progressione stipendiale conseguente a valutazioni di professionalità negative, o anche solo per la frustrazione della mancata realizzazione di tale aspettativa, posto che il ricorrente risulta avere ottenuto la progressione orizzontale nell’aprile del 2007, e che per gli anni successivi vi è stato il cd blocco delle progressioni disposto dal D.L. n. 78 del 2010.
In merito al danno biologico si osserva che le prime certificazioni mediche prodotte dal ricorrente risalgono al settembre del 2013 (ossia dopo 12 anni dall’episodio cardine del 2001), e in esse si diagnostica un disturbo misto ansioso depressivo reattivo all’esposizione a molteplici fattori di stress e ad aleatorie condizioni esistenziali.
Nella relazione del centro antimobbing del novembre del 2014, fondata in via pressoché esclusiva sul dato anamnestico riferito dal lavoratore, viene diagnosticato un “disturbo dell’umore”, da non confondersi con la patologia ansioso-depressiva. Si parla, infatti, di danno psichico relazionale e danno esistenziale (che non sono danni biologici), e si conclude che tale disturbo appare correlabile alla situazione lavorativa vissuta dal soggetto nel corso degli anni.
Vale la pena di rammentare, infine, che l’art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (TUPI) prevede che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle superiori che abbia successivamente acquisito per’effetto dello sviluppo professionale, di procedure concorsuali ecc…
L’equivalenza va stabilita rispetto alla classificazione professionale e non con riferimento alle mansioni di fatto svolte, per cui laddove la declaratoria professionale riguarda contemporaneamente diversi contenuti mansionistici, si ha il rispetto dell’art. 2103 c.c. con l’assegnazione di una delle informazioni ivi indicate. Ne discende che l’assegnazione di mansioni diverse, ma ricomprese tra quelle indicate nella declaratorie professionali, rientra nel potere discrezionale della pubblica amministrazione. Pertanto, il dipendente pubblico non può vantare il diritto al mantenimento delle mansioni specifiche (come ad esempio quelli di assegnazione ad un determinato ufficio) nel caso in cui la P.A. decide di procedere alla loro modifica, purché ciò avvenga nell’ambito della specifica professionalità prevista nella declaratoria professionale.
In conclusione può dirsi che il diritto di cui all’articolo 52 cit. viene riconosciuto nei limiti della ripartizione professionale, che di norma viene effettuata sulla base della professionalità Amministrativa, Tecnica, Contabile ecc.., proprio al fine tutelare la professionalità del dipendente.
Ebbene, applicando tali principi al caso che ci occupa, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre in modo puntuale e specifico, e non lo ha fatto, che le mansioni assegnategli nel tempo presso l’Ufficio Pa., il Comando Polizia Municipale e il SUAP non erano proprie della categoria (omissis…) Area Tecnica. Quanto poi alla dedotta inattività, risulta smentita dalla produzione documentale della controparte relativa a tali periodi.
Inoltre, sotto tale profilo va considerato che dagli atti di causa risulta, altresì, che negli anni ha accumulato un rilevante numero di assenze per malattia, permessi studio e donazioni di sangue (1.147 giorni dal 2000 al 2015; 910 ore di permessi e 38 giorni di assenza per esami). In particolare, nei periodi di dedotta inattività risulta essere stato assente:
Dal 5.02.2002 al 2003 per 222 giorni;
dal settembre 2005 al settembre 2006 per 126 giorni;
dal 9.06.2008 al 2009 per 233 giorni;
dal 19.10.2011 al 28.03.2014 per 418 giorni;
dal 27.08.2014 al 21.01.2015 per 233 giorni.
In conclusione l’Ing. D. non ha fornito la prova rigorosa del demansionamento, né che in conseguenza di tale supposto demansionamento ha subito danni risarcibili.
Per tutti i motivi esposti il ricorso è infondato e va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza, ex art. 91 c.p.c., e vengono liquidate come in dispositivo non ravvisandosi ragioni per la ulteriore condanna del ricorrente al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
PQM
Uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando,
• 1. Rigetta il ricorso.
• 2. Condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in complessivi Euro 6.000,00, oltre IVA e CPA.
• 3. Rigetta la domanda di condanna del ricorrente al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c..
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