Corte di Appello di Milano sentenza n. 537 depositata il 16 marzo 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO RITORSIVO – MODIFICA DELL’INQUADRAMENTO – PROPOSTA DI MANTENIMENTO DEL POSTO DI LAVORO – SUSSISTE
Fatto e diritto
Con ricorso depositato in data 29 dicembre 2017 … ha proposto reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3191/17 che ne ha respinto l’opposizione all’ordinanza 6 marzo 2017 dello stesso tribunale nella parte in cui ha ritenuto il carattere ritorsivo del licenziamento intimato al reclamato … con lettera in data 21 settembre 2016 e l’ha condannata alla reintegrazione del lavoratore ed a corrispondere allo stesso un’indennità pari alle retribuzioni dalla data del recesso a quella di effettiva reintegrazione.
Premesso che … da ultimo ricopriva la posizione di Specialista Trade Finance Sales con trattamento annuo lordo di E 131.581,32 ed inquadramento dirigenziale presso la Unit ITFS e che la reclamata sentenza in sostanza trascrive l’ordinanza già oggetto di opposizione, con il primo motivo di reclamo la società critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha sostenuto la natura ritorsiva del licenziamento.
Nella prospettazione del gravame, il tribunale non avrebbe considerato che l’intenzione della banca era di sopprimere una posizione dirigenziale e che l’offerta di una eventuale riassunzione del lavoratore, con un diverso inquadramento, l’applicazione di una diversa normativa e un diverso trattamento, era una condizione di miglior favore coerente con quanto previsto nell’accordo sindacale dell’8 marzo 2016, ovvero la possibilità di una riassunzione ex novo nel limite massimo di 175 casi cui formulare tale offerta.
Sotto tale profilo, secondo la difesa della reclamante, sarebbe stato del tutto irrilevante che il numero programmato di chiusura di posizioni dirigenziali previsto dall’accordo sindacale – ovvero 470 – fosse già stato raggiunto al momento dell’intimazione del recesso a carico del … ovvero che il posto di lavoro esistesse ancora dopo la cessazione del rapporto, in quanto in entrambe queste ipotesi si sarebbe potuto riconoscere al reclamato solo il diritto all’indennità supplementare, ma non qualificare come ritorsivo il recesso intimato dopo che il aveva rifiutato la riassunzione nello stesso posto occupato in precedenza, con diverso inquadramento e condizioni contrattuali.
In secondo luogo, la sentenza impugnata avrebbe errato parificando le condizioni delle proposta conciliativa avanzata dall’azienda – ovvero la riassunzione nel medesimo posto di lavoro a diverse condizioni contrattuali e di inquadramento – con i termini della posizione aziendale, non considerando che l’interesse della società era la soppressione di una posizione sovradimensionata – e poi soppressa con la riduzione degli addetti da 15 a 14 – e confondendo la posizione dirigenziale in esubero con quella di quadro, proposta in via conciliativa come soluzione alternativa al recesso.
Con il terzo motivo di reclamo, la società sostiene che il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile al licenziamento individuale intimato al … la procedura di cui alla L. 223/91 sul presupposto della necessità di ridurre il numero dei dirigenti impiegati per far fronte alla affermata crisi in essere.
Ciò in quanto l’accordo 8 marzo 2016 non era inserito in una procedura di licenziamenti collettivi – al contrario avendo come fine dichiarato quello di prevenire licenziamenti individuali o collettivi – né sussisteva il presupposto dei requisiti numerici della citata L. 223 – ovvero più di quattro licenziamenti nell’arco di 120 giorni in ciascuna provincia.
Con il quarto motivo di gravame, la reclamante ribadisce l’assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti nel senso dell’intento ritorsivo del datore di lavoro a fronte del rifiuto del … di acconsentire alle novazione del rapporto nel rispetto dell’accordo 8 marzo 2016, in particolare sotto il profilo della esistenza di un interesse dalla banca a porre fine al rapporto di lavoro per ragioni di riduzione dei costi.
Da ultimo, la difesa della società richiama le argomentazioni già svolte in giudizio per affermare la giustificatezza del licenziamento del dirigente per soppressione del posto in un contesto di complessiva riorganizzazione aziendale, e per negare fondatezza alla tesi avversaria della pseudo dirigenza.
Il reclamato … ha resistito, concludendo, nel merito, per il rigetto del reclamo e la conferma integrale della sentenza gravata.
All’udienza del 5 marzo 2018 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.
I motivi di reclamo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati e la sentenza impugnata deve essere confermata.
Ritiene il collegio che sia decisivo ed assorbente il rilievo che al lavoratore sia stato offerto per lo svolgimento del medesimo lavoro, ovvero le medesime mansioni nella medesima città – Firenze – in cui lavorava (cfr. il doc. 11 prodotto dal …) l’inquadramento come quadro QD4; offerta che contrasta con la causale del licenziamento – unica a poter essere qui presa in considerazione – addotta dall’azienda in termini di soppressione della posizione lavorativa.
In altri termini, diversamente da quanto sembra opinare la difesa dell’azienda, la proposta di mantenimento del posto di lavoro a condizione della modifica dell’inquadramento e dell’accettazione del diverso regime di tutela in vigore per gli assunti dal marzo 2016 dimostra, da un lato, l’inesistenza del motivo posto a fondamento del recesso e, dall’altro, la natura ritorsiva del recesso.
Infatti, da un lato, il recesso è stato intimato cinque giorni dopo che il reclamato, a differenza di altri dirigenti, aveva rifiutato tale offerta chiedendo, in replica alla proposta della società che implicava l’inizio ex novo del rapporto come quadro con la conseguente applicazione del regime dei contratti a tutele crescenti, posto che la riassunzione veniva a cadere dopo il 7 marzo 2015, ai sensi degli art. 1 I comma e 12 D.Lgs. n. 23/2015) – che gli fosse assicurato il regime di tutela reale e, dunque, nell’immediatezza di tale rifiuto rispetto a mansioni che permanevano per ammissione dello stesso datore di lavoro.
Dall’altro lato, la descritta successione degli eventi, ultimo dei quali il recesso intimato subito dopo un rifiuto che era tale solo perché il datore di lavoro intendeva sottrarre la disciplina di tutela al reale inizio del rapporto di lavoro, fa comprendere come, appunto, il recesso sia stato la reazione per rappresaglia al comportamento del … che, a differenza degli altri dirigenti, non aveva voluto sottostare a tale sottrazione, pur comprendendo le esigenze aziendali accettando la degradazione della categoria.
Rileva, poi, il collegio, a conforto della soluzione qui accolta, due ulteriori argomentazioni: la prima è che al momento del licenziamento del … il numero di dirigenti eccedentari indicato nell’accordo sindacale su cui l’appellante ha insistito era già stato raggiunto – circostanza allegata dal lavoratore e mai contestata in giudizio dalla società.
La seconda è che, a differenza di quanto sostenuto nel gravame, il declassamento con riassunzione di 175 dirigenti non era previsto tra le clausole dell’accordo sindacale 8 marzo 2016, ma era indicato in una dichiarazione aziendale unilaterale.
Da tutto quanto esposto, il collegio ritiene di confermare il carattere ritorsivo del licenziamento in questione, assimilabile al licenziamento discriminatorio (cfr. tra le più recenti: Cass. 17 giugno 2016 n. 12592), con la conseguente nullità dello stesso e, pertanto, l’applicazione della tutela reintegratoria, come correttamente disposto dal primo giudice, e non della tutela contrattuale dei dirigenti invocata nell’atto di reclamo.
Ogni altra questione è assorbita.
Le spese del reclamo seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo nella misura di E. 3.300, oltre spese generali e oneri accessori di legge, secondo quanto previsto dal D.M. 55/14, in relazione al valore della controversia.
Sussistono altresì i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ex lege n. 228/2012 a carico della reclamante.
P.Q.M.
respinge il reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3191/17;
condanna la reclamante alla rifusione delle spese del grado, liquidate in E. 3.300, oltre spese generali e oneri accessori di legge.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi della L. 228/12 a carico della società reclamante.
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