CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 giugno 2018, n. 15643
Previdenza – Trattamento pensionistico di vecchiaia – Geometri liberi professionisti – Requisito dell’anzianità contributiva – Prescrizione
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 486 pubblicata il 13.6.2012, ha respinto l’appello della Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti (da ora in avanti, per brevità, Cassa) avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda del sig. R., aveva condannato la Cassa a costituire in favore del predetto il trattamento pensionistico di vecchiaia e a pagare i ratei arretrati.
2. La Corte territoriale ha ritenuto integrato il requisito dell’anzianità contributiva (“almeno trent’anni di effettiva contribuzione”), come richiesto dall’art. 2, comma 1, del Regolamento della Cassa, nonostante la non integralità dei contributi versati per gli anni dal 1988 al 1991 e 1995, 2003 e 2004, e ciò in base all’esito delle due consulenze tecniche d’ufficio svolte nel giudizio di primo grado (in sede cautelare e nel giudizio ordinario); ha dichiarato la prescrizione dei crediti contributivi relativi agli anni dal 1987 al 1991 (per errore è indicato nella sentenza l’anno finale 1981).
3. Ha ribadito come, nel regime precedente la delibera del 25.11.1998 modificativa del Regolamento della Cassa, la decorrenza della prescrizione coincidesse con la trasmissione a quest’ultima della dichiarazione del debitore sull’ammontare del reddito professionale dichiarato, anche in caso di denuncia incompleta o infedele.
4. Ha escluso che in base all’art. 6 del Regolamento potesse individuarsi il dies a quo del decorso della prescrizione nel momento di ricezione, da parte della Cassa, dei dati provenienti dall’Amministrazione finanziaria, risolvendosi tale lettura in una indiscriminata rimessione in termini della parte creditrice.
5. Ha ritenuto insussistenti, nel caso in esame, i presupposti di cui all’art. 2941 n. 8 c.c., che subordina la sospensione della prescrizione ad un comportamento del debitore di occultamento tale da creare una difficoltà di accertamento non superabile con i normali controlli.
6. Ha escluso che la Cassa potesse invocare il termine di prescrizione decennale, applicabile, secondo la L. n. 335 del 1995, nel caso di atti interruttivi già compiuti o procedure finalizzate al recupero dell’evasione contributiva iniziate durante la previgente disciplina, non potendosi considerare “procedura” la richiesta della Cassa di informazioni al Ministero delle Finanze in quanto priva di contraddittorio col debitore e non essendovi prova, quanto all’atto interruttivo costituito dalla missiva del 18.1.1999, della ricezione da parte dell’assicurato.
7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Cassa, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso il sig. R..
8. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo di ricorso la Cassa ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
2. Ha sostenuto come la Corte d’appello avesse omesso di valutare il difetto di contribuzione per gli anni 1987-1991 come impeditivo del requisito di trenta anni di anzianità contributiva necessaria, ai sensi dell’art. 2 del Regolamento della Cassa, ai fini della pensione di vecchiaia.
3. Col secondo motivo di ricorso la Cassa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2, L. n. 773 del 1982, e dell’art. 2 del Regolamento, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
4. Ha sostenuto, in dissenso rispetto al precedente di questa Corte n. 5672 del 2012, relativo alla previdenza forense, come ai fini dell’anzianità contributiva non potessero computarsi gli anni coperti da contribuzione non integrale.
5. Ha argomentato come l’aggettivo “effettivo”, riferito all’iscrizione, dovesse intendersi quale sinonimo di “regolare”, cioè valido dal punto di vista sostanziale, e che tale significato dovesse valere anche per la “effettiva contribuzione”.
6. Ha rilevato, ancora, come la liquidazione della pensione nel settore della previdenza forense fosse legata al “reddito dichiarato ai fini Irpef” e come il sistema contributivo commisurasse la contribuzione tanto sul reddito imponibile ai fini Irpef (contributo soggettivo) quanto sul volume di affari ai fini Iva (contributo integrativo), risultando impossibile riproporzionare il reddito annuale utile ai fini pensionistici alla “effettiva contribuzione” ove sia stato omesso, in tutto o in parte, il contributo integrativo.
7. Ha ritenuto tali argomenti validi anche per il sistema di previdenza per i geometri liberi professionisti posto che l’art. 2, L. n. 773 del 1982, sebbene in modo parzialmente diverso dalla L. n. 576 del 1980, ripropone il binomio “effettiva iscrizione” ed “effettiva contribuzione” e ancora la misura della pensione al reddito dichiarato ai fini Irpef.
8. Ha concluso che, nel caso di specie, la contribuzione relativa agli anni 1987-1991, in quanto non integrale, non potesse ritenersi regolare, e quindi effettiva, con conseguente necessità di esclusione della stessa dal calcolo della anzianità contributiva necessaria ai fini della pensione di vecchiaia.
9. Deve in primo luogo esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal contro ricorrente, sul rilievo dell’introduzione, con i motivi di censura, di questioni che non erano state oggetto dei motivi di appello della Cassa, limitati a contestare la consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado, e che sarebbero prive della necessaria autosufficienza; il contro ricorrente ha inoltre eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 366, comma 1, n. 6 c.p.c.e 360 bis, n. 1 c.p.c..
10. Sul primo punto, deve rilevarsi come la questione di diritto, concernente l’interpretazione ed applicazione dell’art. 2, L. n. 773 del 1982, fosse stata proposta dalla Cassa con i motivi di appello, come si ricava dalla lettura della sentenza impugnata. Questa, nel riportare gli argomenti a sostegno dell’impugnativa, ha specificato: “l’appellante evidenziava che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del proprio Regolamento, la pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trent’anni di effettiva contribuzione … in relazione a regolare iscrizione all’Albo e che pertanto la contribuzione doveva essere stata effettivamente versata ai fini della spettanza del trattamento pensionistico, non potendo riconoscersi validità ad un versamento solo parziale”, e ciò è sufficiente ad escludere la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c..
11. L’art. 360 bis c.p.c.è stato introdotto con la L. n. 69 del 2009 e trova applicazione ai giudizi instaurati dopo la data di entrata in vigore della suddetta legge, cioè dopo il 4.7.2009, laddove nel procedimento in esame il ricorso introduttivo di primo grado è stato depositato l’8.2.2006.
12. Sul primo motivo di ricorso, occorre premettere come sia applicabile al procedimento in esame l’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, poiché la sentenza d’appello è stata pubblicata il 13.6.2012, quindi prima dell’11.9.2012.
13. Per costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., (nel testo ratione temporis applicabile nel caso in esame), sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di elementi decisivi o emerga l’obiettiva carenza del procedimento logico che ha condotto alla decisione, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, al quale unicamente spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802; Cass. n. 18479 del 2014).
14. Nel caso di specie, il vizio dedotto non è in alcun modo configurabile poiché la sentenza d’appello ha preso in esame l’irregolare contribuzione per gli anni 1987-1991 ed infatti ha dichiarato prescritti i crediti contributivi relativi al periodo suddetto. Ha poi valutato il dato dell’irregolare contribuzione ritenendolo non ostativo all’integrazione del requisito di anzianità contributiva, necessario ai fini della pensione di vecchiaia.
15. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato poiché la sentenza d’appello si è attenuta ai principi già espressi da questa Corte (cfr. Cass. n. 5672 del 2012; Cass. n. 26962 del 2013; Cass. n. 7621 del 2015) che, se pure riferiti ad altro settore previdenziale, possono ribadirsi in relazione alla previdenza dei geometri liberi professionisti.
16. Deve anzitutto rilevarsi, dal punto di vista letterale, come gli argomenti spesi dalla Cassa ricorrente per censurare l’indirizzo di cui alla citata sentenza n. 5672 del 2012, non si attaglino alla fattispecie in esame in ragione della diversa dicitura adoperata nell’art. 2, L. n. 773 del 1982, rispetto alla L. n. 141 del 1992, art. 1, relativa alla previdenza forense.
17. Quest’ultima disposizione prevede ai primi due commi: «La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa e sempre che l’iscritto non abbia richiesto il rimborso di cui al primo comma dell’articolo 21. La pensione è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione».
18. L’art. 2, L. n. 773 del 1982 stabilisce, al comma 1, che “La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva contribuzione alla Cassa in relazione a regolamentare iscrizione all’albo”; al comma 2: “La pensione annua è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media dei più elevati dieci redditi annuali professionali rivalutati, dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione”.
19. L’uso dell’aggettivo “effettiva” riferito, nel comma 1, della L. n. 773 del 1982, alla sola contribuzione, laddove per l’iscrizione è richiesto che sia “regolamentare”, priva di fondamento le considerazioni svolte dalla Cassa nel secondo motivo di ricorso e basate unicamente sull’uso indifferenziato dell’aggettivo “effettiva” sia per la contribuzione e sia per l’iscrizione. Anzi, l’uso dell’aggettivo ‘effettiva’ solo per la contribuzione induce ad attribuire ad esso un significato diverso da ‘regolamentare’, impiegato a proposito dell’iscrizione, dovendosi intendere l’espressione adoperata nel comma 2 come riassuntiva di quanto più dettagliatamente descritto nel comma 1.
20. Non è comunque ravvisabile, nell’interpretazione data dalla Corte territoriale, la dedotta violazione dell’art. 2, L. n. 773 del 1982 dovendosi ritenere, in conformità ai precedenti di legittimità (cfr. Cass. n. 5672 del 2012; Cass. n. 26962 del 2013; Cass. n. 7621 del 2015), come il termine ‘effettivo’ non possa interpretarsi come tale da esigere che la contribuzione debba essere ‘integrale’, in quanto esso non contiene alcun riferimento alla ‘misura’ della contribuzione stessa.
21. Detto aggettivo introduce un parametro di commisurazione della pensione alla contribuzione “effettivamente” versata e sancisce, in tal modo, l’esclusione di ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione concretamente versata.
22. Come più volte statuito da questa Corte, il principio generale dell’automatismo delle prestazioni previdenziali vigente, ai sensi dell’art. 2116 c.c. nel rapporto fra lavoratore subordinato e datore di lavoro, da un lato, ed ente previdenziale, dall’altro, non trova applicazione nel rapporto fra lavoratore autonomo (e, segnatamente, libero professionista, come nella specie) ed ente previdenziale – nel difetto di esplicite norme di legge (o di legittima fonte secondaria) che eccezionalmente dispongano in senso contrario – con la conseguenza che il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce, di regola, la stessa costituzione del rapporto previdenziale e, comunque, la maturazione del diritto alle prestazioni (cfr. Cass. n. 7602 del 2003; Cass. n. 11895 del 1995; Cass. n. 4149 del 1988; con specifico riferimento a libero professionista, cfr. Cass. n. 23164 del 2007; Cass. n. 6340 del 2005; Cass. n. 18720 del 2004; Cass. n. 9525 del 2002; Cass. n. 4153 del 1980).
23. La questione oggetto del presente giudizio attiene al diverso problema del riconoscimento delle annualità di contribuzione, ai fini della pensione di vecchiaia, ove i versamenti contributivi siano stati non integrali, seppure in piccola parte, e i relativi crediti siano prescritti.
24. Tale questione non può che essere decisa in relazione alla regolamentazione normativa dettata per il riconoscimento e il calcolo della pensione che, appunto, fa leva non sulla integralità della contribuzione bensì sulla effettività della stessa.
25. Non depone in senso contrario la sentenza n. 10431 del 2017 di questa Corte secondo cui, nel regime previdenziale proprio dei liberi professionisti, “l’erogazione delle provvidenze non è collegata alla maturazione dei presupposti per il sorgere dell’obbligazione contributiva ma al suo integrale adempimento”.
26. Tale pronuncia attiene alla diversa questione della rilevanza, ai fini del riconoscimento dell’anzianità contributiva utile per la pensione di anzianità, delle annualità per le quali l’assicurato aveva estinto l’obbligazione contributiva, ma era ancora in debito per le sanzioni. L’esigenza di integralità dell’adempimento contributivo è stata affermata, nel caso oggetto della citata sentenza, in ragione del vincolo di dipendenza genetico – funzionale ed accessoria delle sanzioni civili rispetto all’obbligazione principale ma la statuizione non investe il tema della commisurazione della pensione alla contribuzione effettivamente versata, anche se solo parzialmente.
27. Dal punto di vista sistematico, occorre poi considerare come la stessa L. n. 773 del 1982 non contenga alcuna previsione che sanzioni, con la perdita o la riduzione dell’anzianità contributiva e dell’effettività di iscrizione alla Cassa, il versamento parziale dei contributi, essendo unicamente previsto il versamento di una somma aggiuntiva per il caso in cui l’assicurato non provveda alle comunicazioni obbligatorie di cui all’art. 17 sull’ammontare del reddito professionale e sul volume di affari dichiarato ai fini dell’Iva, o effettui una comunicazione infedele.
28. Né la tesi della Cassa può trarre argomenti dalla considerazione che, seguendo la soluzione indicata nelle pronunce di legittimità sopra richiamate, il professionista, col versamento di un contributo parziale ed anche minimo, si vedrebbe comunque conteggiato l’intero anno di contribuzione, in aperta contraddizione con la “logica” solidaristica della previdenza professionale.
29. Come già rilevato da questa Corte, tale inconveniente, dovuto alla mancanza nella legge professionale di una disposizione che preveda espressamente l’annullamento della contribuzione versata e della relativa annualità in caso di parziale omissione, è comunque superabile attraverso l’adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, con i mezzi di cui la Cassa stessa dispone e nei limiti temporali fissati dal sistema previdenziale, evidentemente dettati non solo a garanzia dell’ente, cui non possono affidarsi indagini su periodi lontani nel tempo per le oggettive difficoltà degli accertamenti, ma anche a tutela dell’assicurato, al fine di non rendere eccessivamente difficoltosa la prova dell’esattezza delle contribuzioni versate. Il tutto in un’ottica di prevalenza dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto a quella dell’esatta corrispondenza, senza limiti di tempo, della posizione contributiva – previdenziale alle regole disciplinanti la sua configurazione, (cfr. Cass., 7621 del 2015).
30. In base alle considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. G.G., antistatario.
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