CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 luglio 2018, n. 18257
Contratto di lavoro a termine – Nullità – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Causali generiche
Fatti di causa
1.1. Con ricorso al Tribunale di V.E.L. e G.P. chiedevano che fosse dichiarata la nullità del termine apposto, tra gli altri, ai contratti a termine stipulati con la W.E. s.r.l. rispettivamente dal 14/3/2003 al 2/8/2003, con proroga sino al 20 dicembre 2003, e dal 19 maggio 2004 al 29 gennaio 2005.
1.2. Il Tribunale accoglieva le domande, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato con condanna della società al ripristino dello stesso ed al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora.
1.3. La Corte di appello di Milano riformava solo in parte tale decisione. Così, in particolare, dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento alla domanda di condanna al ripristino del rapporto proposta dalla L. e, applicato l’art. 32 della I. 183/2010, condannava la società al pagamento, in favore della predetta L., di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto e, in favore della P., di dieci mensilità. Riteneva che le causali di cui ai contratti a termine (nel caso della L. per “la necessità di incrementare l’intensità della produzione” in relazione “alla definizione di una nuova strategia aziendale che mira all’acquisizione di nuove quote di mercato attraverso un aumento dell’indice di penetrazione di vendita dei prodotti” e nel caso della P. “per la necessità di incremento della produzione di nuovi modelli e della conseguente immissione nel flusso di distribuzione alla rete commerciale, per un opportuno approvvigionamento”) fossero generiche e che comunque non fossero stati allegati e provati dalla società fatti idonei a dimostrare l’effettività di tali causali. Rilevava, al riguardo, che i capitoli di prova di cui alla memoria di costituzione in primo grado della società fossero carenti delle indicazioni necessarie ai fini della indicata dimostrazione e che fosse mancato ogni necessario riferimento al numero dei contratti a termine stipulati nel periodo.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la W.E. s.r.l. sulla base di sei motivi.
3. E. L. resiste con controricorso.
4. G.P. è rimasta intimata.
5. La società e la controricorrente hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo la società denuncia omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (quanto alla posizione di E. L.). Rileva che la Corte territoriale ha concluso per l’illegittimità formale del contratto della L. per le medesime ragioni espresse con riguardo al contratto della P. omettendo di considerare la diversità delle causali apposte ai rispettivi contratti.
1.2. Il motivo non è fondato.
La Corte territoriale ha avuto ben chiaro che il contratto stipulato dalla L. dal 14/3/2003 al 2/8/2003 avesse avuto la seguente causale: “Le ragioni di tale assunzione sono dovute alla definizione di una nuova strategia aziendale che mira all’acquisizione di nuove quote di mercato attraverso un aumento dell’indice di penetrazione di vendita dei prodotti, pertanto, si ravvisa la necessità di incrementare l’intensità della produzione” – cfr. pag. 4 della sentenza -.
Correttamente, inoltre, la stessa ha considerato l’incremento della produzione come addotto dalla W. anche a giustificazione dell’assunzione della L. ed ha ritenuto la genericità di tale causale rispetto alla quale il riferimento ‘alla definizione di una nuova strategia aziendale che mira all’acquisizione di nuove quote di mercato attraverso un aumento dell’indice di penetrazione di vendita dei prodotti non aggiungeva certo elementi di specificità.
In ogni caso i giudici di appello hanno ritenuto che la società non avesse allegato fatti idonei a dimostrare l’effettività della causale dell’assunzione e tale considerazione assorbe ogni altra considerazione.
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione tanto alla posizione della L. quanto alla posizione della P.). Rileva la carenza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto necessaria la specificazione della causale richiamando la pronuncia della Corte cost. n. 214/2009 relativa però a contratti a termine stipulati per esigenze sostitutive.
2.2. Il motivo è infondato.
La Corte ha, in modo del tutto appropriato, richiamato il principio generale di cui alla pronuncia della Corte cost. n. 214/2009, valevole per ogni contratto a termine e non solo per quelli aventi ad oggetto ragioni sostitutive, in relazione all’onere di specificazione della causale, sussistente anche alla luce della nuova disciplina, con chiaro intento di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto ed al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità della ragione dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.
Peraltro, i giudici di appello, con ulteriore autonoma ratio decidendi, hanno considerato dirimente il rilievo che non fossero stati allegati e quindi provati fatti idonei a dimostrare l’effettività delle causali.
3.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001. Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto prive di specificità le causali indicate, in contrasto con le previsioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 che non impone al datore di lavoro oneri di specificazione aggiuntivi tantomeno nei termini rigorosi prospettati dalla Corte di appello di Milano e per aver conseguente ritenuto inidonea la prova a dimostrare l’effettività della stessa. Evidenzia, quanto alla P., che il riferimento all’ “avviamento della produzione di nuovi modelli” fosse sufficientemente specifico e che, tenuto conto della complessa realtà aziendale, fossero stati forniti dalla società elementi di dettaglio, non sussistendo preclusioni in tal senso sulla base della normativa richiamata. Ciò tanto più valeva per la posizione della L. in considerazione del fatto che nel contratto di quest’ultima non vi era alcun riferimento all’introduzione di nuovi prodotti.
3.2. Il motivo è infondato.
Invero, è principio consolidato presso questa Suprema Corte (Cass. 2 agosto 2013, n. 18532; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1931; Cass. 27 aprile 2010, n. 10033) che, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con l’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 368/2001, un onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” del termine finale, che debbono essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività, dovendosi ritenere tale scelta in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e con l’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia, la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8 n.3 (cosiddetta clausola di non regresso) dell’accordo quadro prevede – allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto di lavoro e sicurezza per i lavoratori – che l’applicazione della direttiva “non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori dell’ambito coperto dall’accordo”.
Nella fattispecie in esame, pertanto, la Corte territoriale correttamente si è attenuta a tale principio e condivisibilmente ha ritenuto generiche le locuzioni adottate nei contratti in questione mancando la specificazione di elementi idonei e concreti idonei a dare contezza del necessario nesso di causalità tra il termine apposto agli stessi e, quanto alla dipendente L., ‘la necessità di incrementare l’intensità della produzione” in relazione “alla definizione di una nuova strategia aziendale che mira all’acquisizione di nuove quote di mercato attraverso un aumento dell’indice di penetrazione di vendita dei prodotti” e, quanto alla dipendente P., “la necessità di incremento della produzione di nuovi modelli e della conseguente immissione nel flusso di distribuzione alla rete commerciale, per un opportuno approvvigionamento”.
Se pure è vero che il concetto di specificità risente di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza e tenendo altresì conto del fatto che lo stesso va collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma riferite alle peculiari realtà in cui il contratto viene ad essere calato, non vi è dubbio che nella specie l’utilizzazione di clausole così generiche quali quelle sopra indicate (senza alcun riferimento, in entrambi i casi, alle mansioni o ai reparti di assegnazione ovvero ai prodotti oggetto dell’incremento di produzione posto a base delle assunzioni, insufficiente essendo, a tal fine, la sola indicazione del ‘cooking’ corrispondente allo stabilimento preposto alla produzioni di forni e piani cottura di plurimi modelli) fosse tale da non palesare la specifica connessione tra la durata solo temporanea delle prestazioni e le esigenze che le stesse erano state chiamate a realizzare e da non consentire alle lavoratrici di verificare in concreto l’utilizzazione esclusivamente nell’ambito delle ragioni indicate ed in stretto collegamento con le stesse (v. in termini Cass. 4 maggio 2017, n. 10839; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1552).
4.1. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, dell’art. 11 del d.lgs. n. 368001, dell’art. 1 bis del c.c.n.I. metalmeccanici 1999 e dell’art. 1 bis del c.c.n.I. metalmeccanici del 2003 (posizione P.).
Censura la sentenza impugnata per aver fatto riferimento ai limiti previsti dalla contrattazione collettiva del 1999 laddove il contratto era stato stipulati ai sensi del d.lgs. n. 368/2001 e nessun limite era previsto dalla contrattazione del 2003 e la disposizione transitoria di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 368/2001 aveva previsto il mantenimento dell’efficacia dei contratti vigenti alla data di entrata in vigore del medesimo d.lgs. solo fino alla scadenza del c.c.n.I..
4.2. Il motivo è assorbito da quanto evidenziato con riguardo ai primi tre motivi di ricorso rendendo la mancanza di specificità superfluo l’esame di ogni ulteriore profilo di illegittimità del contratto.
5.1. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto non soddisfatto l’onere della prova del rispetto degli indicati limiti quantitativi a fronte degli elementi forniti dalla società.
5.2. Anche questo motivo è assorbito da quanto evidenziato con riguardo ai primi tre motivi di ricorso.
6.1. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 32 della I. n. 183/2010. Si duole dell’insufficiente motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla quantificazione dell’indennità risarcitoria palesemente eccessiva e violativa dei criteri legali.
6.2. Il motivo è infondato.
Va, infatti, rilevato che la Corte di merito ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di determinare tale indennità, per la L., in dodici mensilità della retribuzione globale di fatto e, per la P., in dieci mensilità, individuandole nella durata delle assunzioni a termine di cui ai contratti dichiarati nulli, nel numero dei dipendenti della società datrice di lavoro, nel comportamento delle lavoratrici e così nel tempo che avevano lasciato trascorrere prima di mettere in mora la società, nella durata del processo (dal ricorso alla pronuncia). Si tratta, all’evidenza, di una corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 8 l. 15 luglio 1966, n. 604, richiamato dall’art. 32, co. 5, cit. involgente, peraltro, valutazioni di merito che non possono essere sindacate in questa sede (cfr., per l’applicazione di tale principio con riguardo all’indennità di cui alla legge n. 604 del 1966, art. 8, Cass. 5 gennaio 2001, n. 107; Cass. 14 giugno 2006, n. 13732; Cass. 5 maggio 2006, n. 11107 e con riguardo proprio all’indennità ex art. 32 della legge n. 183/2010, Cass. 16 ottobre 2014, n. 21932).
7. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
8. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
9. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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