CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19559
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Scostamento fra i ricavi e il reddito dichiarati e quelli risultanti dai coefficienti presuntivi – Antieconomicità dell’attività – Efficacia di presunzione legale – Onere di prova contraria del contribuente
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Entrate di Palermo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro C.S., impugnando la sentenza della CTR Sicilia che, in accoglimento dell’appello del contribuente, ha annullato l’accertamento emesso sulla base di studi di settore per l’anno 2002, rilevando che le presunzioni offerte dall’ufficio erano superate dalle giustificazioni soggettivi ed oggettive offerte dal contribuente “…quali la modesta situazione economica di un paese notoriamente depresso quale Centuripe, la marginalità economica dell’attività artigianale di fabbro ferraio svolta da soggetto già anziano e pensionato, la mancanza di lavoratori dipendenti e di collaboratori, l’essenzialità manuale degli arnesi di lavoro, il modestissimo importo del materiale di produzione utilizzato(euro 2.459,00) ed il basso costo dell’energia elettrica consumata nell’anno (euro 328,04)…”
Siffatti elementi denotavano l’esistenza di un’attività commerciale fuori mercato e quasi hobbistica, coniugandosi con il fatto che la presunzione nascente dagli studi di settore doveva coniugarsi con i riscontri in ordini alle gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore.
La parte intimata non si è costituita.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 62 sexies d.l.n. 331/1993.
Con il secondo motivo si prospetta la violazione del parametro normativo da ultimo indicato nonché dell’art. 2698 c.c. Secondo la ricorrente la CTR avrebbe errato nell’escludere la legittimità dell’avviso di accertamento, fondato sullo scostamento fra reddito dichiarato e studi di settore, nonché sull’incongruenza correlata all’esistenza di immobili ed autovetture del contribuente che mal si conciliavano con un reddito di sole euro 332,00 per l’anno esaminato.
I due motivi meritano un esame congiunto e sono entrambi fondati.
Occorre rammentare che l’art. 62 sexies d.l. n. 331/93, convertito nella l. n. 427/93 prevede, al comma 3, che “Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del presente decreto.”
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’ufficio che procede ad accertamento dell’imposta sui redditi ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973, avvalendosi, ai sensi dell’art. 3, comma 181, della l. n. 549 del 1995, dei parametri per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari previsti dal successivo comma 184, e poi specificati dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, non deve apportare alcun elemento atto a confortare il proprio diverso accertamento, perché quelli considerati nell’elaborazione dei parametri stessi e l’applicazione di questi ai dati esposti dal singolo contribuente hanno già i caratteri della presunzione legale, quali richiesti dal comma 1 dell’art. 2728 c.c., e sono, di per sé, idonei a fondare un corrispondente accertamento, restando comunque consentito al contribuente di provare, anche con presunzioni, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, l’inapplicabilità dei parametri alla sua posizione reddituale-cfr.Cass.n.10242/2017-.
Questa Corte è poi altrettanto ferma nel ritenere che gli studi di settore costituiscono, come si evince dall’art. 62 sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta altresì valorizzando anche il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente -Cass.n.20060/2014, Cass. n. 3197/2013; Cass. n. 6929/2013; Cass. n. 14941/2013, Cass.n.26508/2014.
Orbene, la CTR ha errato nell’annullare in toto l’accertamento emesso a carico del contribuente sulla base degli studi di settore e di una serie di indici esposti (ad ulteriore conforto di quanto risultante dal grave scostamento fra i ricavi e il reddito indicati dal contribuente e quelli risultanti dai coefficienti presuntivi espressi dagli studi di settore) attestanti l’antieconomicità dell’attività commerciale svolta, nonché la proprietà di autovetture ed immobili incoerenti rispetto al reddito derivante da pensione dichiarato dal contribuente per l’anno in esame(2002).
In definitiva, benché l’Agenzia avesse prospettato l’esistenza di evidenti incongruenze fra i ricavi, il reddito dichiarato e gli studi di settore (v.pag.15 ricorso per cassazione) ed ulteriori indicatori esplicitati in sede di accertamento, la CTR ha ritenuto di annullare la pretesa fiscale non soltanto valorizzando, in chiave favorevole al contribuente, gli stessi elementi già posti a base dello studio di settore – età del contribuente, assenza di lavoratori dipendenti, condizione economiche del luogo in cui si svolge l’attività unicamente negando il valore presuntivi degli elementi integranti lo studio di settore- in tal modo privando di efficacia presuntiva i coefficienti destinati a predeterminare il valore dei ricavi e del reddito e finendo, erroneamente, col pretendere, a carico dell’Ufficio, l’individuazione di ulteriori elementi capaci di suffragare i parametri fissati in forza dell’art. 1993, n. 331, in buona sostanza ingiustificatamente privati dalla CTR di quell’efficacia probatoria che invece gli stesso godono per legge.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va accolto e la sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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