Corte di Cassazione sentenza n. 218 depositata il 8 gennaio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – OBBLIGHI GRAVANTI SUL DATORE DI LAVORO – ACCORGIMENTI NECESSARI A TUTELARE LE CONDIZIONI DI SALUTE – ESPOSIZIONE A POLLINI ED ALLERGENI
Fatto
1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 1493/2011, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione, ha riformato la sentenza di primo grado e rigettato l’originaria domanda proposta da N.T. che, quale insegnante, aveva sostenuto che la sensibilizzazione allergica da lei sofferta era in nesso causale con l’attività lavorativa e che vi era l’obbligo del Ministero di assegnarla ad una sede di servizio diversa, posta in uno dei centri abitati litoranei della provincia di Reggio Calabria.
2. La Corte territoriale ha ritenuto fondato l’appello proposto dall’Amministrazione sulla base, in sintesi, delle seguenti considerazioni:
– gli obblighi gravanti sul datore di lavoro ex art. 2087 c.c. impongono allo stesso di adottare tutti gli accorgimenti necessari a tutelare le condizioni di salute del dipendente, ma nel caso in esame la misura che la lavoratrice pretende per ottenere la tutela della propria salute non è l’adozione di particolari precauzioni sul luogo di lavoro atte a delimitare o escludere l’esposizione ad agenti morbigeni, ma è lo spostamento ad altra sede lavorativa, ubicata in un territorio ritenuto caratterizzato da una minore esposizione a pollini ed allergeni;
– l’indagine tecnica volta chiarire se gli specifici fattori allergizzanti dai quali l’appellata è risultata sensibile siano effettivamente limitati al territorio di Rizziconi o a paesi limitrofi o comunque abbiano una concentrazione meno diffusa in altre aree, si è conclusa nel senso che tali allergeni hanno natura ubiquitaria;
– in conclusione, i fattori allergizzanti sono presenti in tutto il territorio provinciale senza apprezzabili differenze, per cui il datore di lavoro non sarebbe comunque in grado di controllarne efficacemente l’esposizione mediante un mutamento di sede.
3. Per la cassazione di tale sentenza N.T. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Resiste il Ministero dell’Istruzione con controricorso.
Diritto
1. Preliminarmente, deve rilevarsi la tardività del ricorso, in quanto notificato oltre il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza, avvenuta il 7 ottobre 2011. Difatti, il ricorso per cassazione è stato avviato alla notifica in data 19 novembre 2012 e consegnato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca presso l’Avvocatura Generale dello Stato in data 20 novembre 2012.
2. Né può farsi applicazione della sospensione feriale dei termini, per i motivi che seguono.
3. Nel caso in cui il lavoratore infortunato proponga domanda di risarcimento del danno contro il datore di lavoro, in base alla deduzione che l’infortunio fu dovuto all’omessa predisposizione, da parte del convenuto, delle cautele previste in via generale dall’art. 2087 c.c., viene contestazione la responsabilità contrattuale del datore di lavoro nello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che alla controversia non si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (Cass. n. 8062 del 1993).
4. Ove pure non si trattasse di controversia riguardante un rapporto compreso tra quelli indicati dall’art. 409 o dall’art. 442 c.p.c., ma trattata con il rito del lavoro, non sarebbe comunque applicabile il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, giacché il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e perciò detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dall’art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 (S.U. 10978 del 2001, Cass. n. 24649 del 2007).
5. Come affermato da ultimo da Cass. n. 3192 del 2009, in materia di pubblico impiego privatizzato, la sottoposizione delle controversie di lavoro dei pubblici dipendenti al giudice del lavoro determina l’applicazione delle relative norme processuali. Ne consegue che, dovendo l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale essere proposta, in applicazione del principio cosiddetto dell’apparenza, nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge rispetto alla domanda così come qualificata dal giudice, le cui determinazioni sul rito adottato assumono, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, funzione enunciativa della natura della vertenza così da assicurare il massimo grado di certezza al regime dei termini di impugnazione, alla relativa controversia non si applica la sospensione feriale dei termini ai sensi dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969.
6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. L’onere delle spese del giudizio di legittimità resta a carico di parte ricorrente, in applicazione della regola generale della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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