Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 3672 depositata il 25 gennaio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – AMMENDA PER LE CONTRAVVENZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO – SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA – VALUTAZIONE DEL GIUDICE
Fatto – Diritto
1. Con sentenza del 10 giugno 2017, il Tribunale di Torre Annunziata, all’esito del dibattimento, ha condannato E.N. alla pena di 3.000 Euro di ammenda per le contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro, riunite nel vincolo della continuazione, di cui alla rubrica, accertate in Meta il 2 dicembre 2012.
2. Avverso la sentenza, prima dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 63 – il cui art. 1, comma 63, ha modificato l’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., escludendo tale possibilità – ha proposto ricorso l’imputato personalmente, deducendo un unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Lamenta, in particolare, il ricorrente – evocando il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – che il giudice non abbia ritenuto concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena, richiesto dal difensore in sede di discussione, in considerazione dell’esistenza a suo carico di un precedente penale, peraltro risalente, per reato oggi depenalizzato. L’intervenuta depenalizzazione – osserva il ricorrente – consentirebbe di escludere una sua inclinazione alla commissione di reati.
4. Il ricorso è inammissibile perché, per un verso è manifestamente infondato e, per altro verso, sollecita una non consentita rivalutazione di questioni di fatto.
5. Ed invero, come peraltro correttamente rilevato dal Tribunale e contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ai fini del giudizio circa la concedibilità o meno della sospensione condizionale della pena, la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati può legittimamente essere valutata dal giudice come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà, per il futuro, da commettere ulteriori reati (Sez. 5, n. 34682 del 11/02/2005, Marisca, Rv. 232312; Sez. 5, n. 17660 del 03/03/2004, Cani, Rv. 229115), sicché non è per questo censurabile la motivazione della sentenza impugnata, che – dando atto di ciò e valutando anche un’altra precedente condanna per fatto che tuttora costituisce reato – ha ritenuto di non poter effettuare una prognosi positiva sulla futura condotta di un soggetto che più d’una volta ha violato la legge penale. Tale valutazione, congruamente motivata dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità.
6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00..
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 a favore della cassa delle ammende.
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