Corte di Cassazione ordinanza n. 21959 depositata il 21 settembre 2017
Fatti di causa
La società G. srl conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Vicenza, la società Z. srl, esponendo di avere commissionato alla medesima due centrali termiche, destinate ad essere montate presso due impianti di essiccatori di filati, e che, una volta montate, le centrali termiche si sarebbero dimostrate difettose, poiché non producevano il ricircolo d’area specificato nell’ordine. In conseguenza di ciò, l’attrice aveva patito un danno, consistente nei costi sostenuti per il ripristino, che quantificava in £. 28.674.000. Inoltre, aveva commissionato una terza centrale termica alla convenuta, pagandola £. 3.500.000, salvo a disdettarla per essere venuto meno il necessario rapporto di fiducia. Chiedeva, pertanto, la condanna della convenuta alla restituzione dell’acconto versato e del valore dei motori pari a £. 6.000.000.
Si costituiva la convenuta, eccependo l’incompetenza per territorio del Tribunale adito, e la decadenza per tardività della contestazione dei vizi. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda non essendo responsabile dell’accaduto, essendosi limitata ad eseguire il lavoro commissionato, secondo un progetto che era stato approvato dalla società G. srl. In via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’attrice al pagamento di £. 4.224.000 e lire 28.230.000 per i costi sostenuti in relazione alla centrale termica che era stata, poi, disdettata dalla società G. srl
Il Tribunale di Vicenza, rigettava le domande dell’attrice ed accoglieva la domanda riconvenzionale svolta dalla convenuta. Secondo il Tribunale, erano infondate le eccezioni di incompetenza territoriale e di decadenza non trattandosi di vendita ma di appalto, laddove il committente aveva 60 giorni di tempo, dalla scoperta dei vizi, per denunciarli all’appaltatrice, a norma dell’art. 1667 cod. civ. Nel merito rilevava il Tribunale che la società Z. srl aveva rispettato le indicazioni provenienti dalla società G. srl, quanto alla portata della centrale termica ed aveva calcolato i dati relativi alle prevalenze interne, cioè, alla resistenza dell’aria che sarebbe derivata dalle condutture interne alla stessa.
La Corte di appello di Venezia, pronunciandosi, su appello proposto dalla società G. srl, a contraddittorio integro, con sentenza n. 1037 del 2013, accoglieva l’appello e riformando, parzialmente, la sentenza impugnata, accertava che le due macchine denominate CTA avevano una portata complessiva di aria inferiore a quella pattuita tra le parti e, dunque, condannava la Z. srl al risarcimento del danno subito dalla G. srl, nella misura di C. 19.973,45, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Compensava le spese del giudizio. Secondo la Corte di Venezia, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui “(…) l’appaltatore dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli è obbligato a controllare nei limiti delle sue cognizioni le istruzioni impartite dal committente e ove queste siano palesemente errate può andare esente da responsabilità solo se dimostra di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle quale nudus minister. Pertanto, nel caso concreto, l’appaltatrice Z. srl avrebbe avuto l’obbligo (non assolto) di accertarsi delle condizioni in cui le due CTA avrebbero dovuto operare e avrebbe dovuto adottare tutte le soluzioni adeguate al fine di realizzare due centrali che, tenuto conto delle prevalenze utili, fossero idonee a produrre la portata d’aria richiesta dalla committente (….). Ora, non vi è prova in atti che la committente abbia fornito all’appaltatrice i dati relativi alle prevalenze utili (…)”.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Z. S.r.l. con ricorso affidato ad un motivo, illustrato con memoria. La società G. srl ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1.= Con l’unico motivo di ricorso la società Z. srl lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Sostiene la ricorrente la Corte distrettuale non avrebbe fatto buon governo del principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 8016 del 2012. In particolare, la Corte distrettuale non avrebbe considerato che: a) dall’esame degli atti non risultava che l’appaltatrice avesse violato lo specifico obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativa al lavoro affidato posto che la sentenza a pag. 7 come afferma “(….) è provato, invece, che l’appaltatrice ha inviato alla committente un progetto da cui si evinceva che sarebbe stata realizzata la portata d’aria di 70.000 mc e 60.000 mc e che la committente ha approvato il progetto stesso; b) che il committente non ha fornito tutte le istruzioni necessarie per una corretta installazione. “E’ risultato in corso di causa attraverso la CTU che la G. srl non forni mai le istruzioni tecniche specifiche per la progettazione e costrizione delle due CTA da parte della Z. srl alla quale non fornì in particolare le caratteristiche tecniche degli impianti nei quali la CTA avrebbero dovuto essere installate, ma alla quale indicò viceversa solo la portata d’aria totale e non il dato relativo alle perdite di carico nella canalizzazione”; c) che l’appaltatore, ove non abbia ricevuto istruzioni tecniche dal committente non può verificarne gli errori e quindi manifestare il proprio dissenso in ordine alle istruzioni tecniche a lui impartite e con ciò adempiendo allo specifico obbligo di indicare eventuali errori che oltre a tutto debbono essere palesi”. Sicché sempre secondo la ricorrente era la società G. srl a dover provare di aver indicato alla Z. srl tutti quegli elementi necessari per il calcolo della portata utile al fine di poterne affermare la responsabilità dell’appaltatrice.
1.1.= Il motivo è infondato.
Va qui osservato, come pure ha affermato la Corte distrettuale a giustificazione della decisione assunta, che “(…) l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità, soltanto, se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo.
Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”. Pertanto, nel caso in esame, nessuna inversione dell’onere della prova è stata operata dalla Corte distrettuale ma, al contrario, la Corte di merito ha precisato le ragioni per le quali l’appaltatore doveva ritenersi responsabile del mal funzionamento delle CTA, specificando che l’appaltatore avrebbe dovuto, e non sembra lo abbia fatto, controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e non risultava dagli atti che l’appaltatore avesse eseguito l’opera di cui si dice su specifiche istruzioni del committente, contrarie alle sue indicazioni.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 del DPR n. 113 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in €. 2.500,00 di cui C. 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge, dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
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