Commissione Tributaria Regionale per l’Emilia Romagna sezione 11 sentenza n. 3003 depositata il 2 novembre 2017
FATTO
La controversia trae origine da un avviso di accertamento e dal successivo atto di irrogazione sanzioni, emessi dall’Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia nei confronti di F. I. s.r.l.
In particolare, l’Ufficio, sulla base di un processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza, ha contestato l’abuso del diritto in relazione alla deduzione di interessi passivi a fronte di finanziamenti ottenuti dal contribuente da parte della sua controllante, avente sede in Lussemburgo, nonché la mancata applicazione della ritenuta limitatamente agli interessi maturati su un prestito obbligazionario ottenuto dalla controllante, ed ha conseguentemente recuperato a tassazione interessi passivi considerati indeducibili, recuperato ritenute alla fonte non operate e non versate, erogato sanzioni amministrative.
Avviso di accertamento e atto di irrogazione delle sanzioni sono stati singolarmente e tempestivamente impugnati dalla contribuente, contestando sia vizi procedurali, relativi all’ emanazione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine previsto dall’articolo 12 comma 7 L. n. 212/2000ed alla violazione dell’articolo 37 bis comma 4 DPR n. 600/1973 per non essere stato l’accertamento preceduto dalla richiesta di chiarimenti al contribuente; sia vizi processuali, relativi al fatto che la contestazione in ordine alla violazione dell’articolo 110 comma 10 DPR n. 917/1986 è stata effettuata per la prima volta nella costituzione in giudizio davanti alla Commissione Tributaria, non già nell’atto impugnato; sia vizi sostanziali, relativi all’inconfigurabilità dell’abuso del diritto, nonché alla illegittimità del cumulo delle sanzioni applicate.
L’adita CTP, previa riunione dei due ricorsi, ha però rigettato tutte le doglienze del contribuente, aderendo alle difese dell’Ufficio e regolando le spese di lite sulla base del principio di soccombenza.
Avverso la pronuncia interpone appello la contribuente, riproponendo le proprie argomentazioni in ordine ai vizi procedurali e sostanziali dell’accertamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni, mentre resiste l’Agenzia, che deposita anche memoria illustrativa ex art. 32 D.Lgs. n. 546/1992.
La causa è discussa in pubblica udienza come da richiesta dell’appellante.
DIRITTO
a) Per intuitive esigenze di logica giuridica, va innanzitutto e preliminarmente scrutinato il motivo di appello relativo alla dedotta invalidità dell’avviso di accertamento, in quanto emanato prima della scadenza del termine previsto dall’articolo 12 comma 7 L. n. 212/2000.
La norma in parola statuisce che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Ciò posto, riprendendo integralmente, anche sotto il profilo strettamente letterale e senza sottoporle a vaglio critico, le difese dell’Ufficio, la CTP ha argomentato che il termine di 60 giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento è termine meramente ordinatorio la cui violazione non comporta alcuna nullità dell’avviso stesso; e che comunque nel caso che qui occupa, sono riscontrabili i casi di particolare e motivata urgenza indicati dall’Ufficio nell’accertamento stesso, ciò che comunque legittimava la consegna dell’avviso anche prima del termine di 60 giorni decorrenti dalla notifica del processo verbale di contestazione (cfr. pag. 9 sentenza qui appellata; nonché pag. 12-17 comparsa di costituzione in appello dell’Ufficio).
Trattasi, peraltro, di una conclusione errata in entrambi gli approdi raggiunti.
Infatti, la Suprema Corte, con giurisprudenza consolidata da quattro anni e formatasi sulla scia di Cass. Sez. Un. n. 18184/2013, giurisprudenza che il Collegio condivide e dalla quale non ha motivo i discostarsi, ha chiarito che l’articolo di cui trattasi “deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione del/’ avviso di accertamento, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”; ed inoltre “il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell ‘effettiva assenza di detto requisito, esonerativo dall’osservanza del termine, la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio” (Cass. n. 10989/2017, Cass. n. 25962/2016, Cass. n. 13294/2016, Cass. n. 5149/2016, Cass. n. 23547/20015, Cass. n. 22786/2015, Cass. n. 25759/2014, Cass. Sez. Un. n. 19667/2014, Cass. n. 15634/2014, Cass. n. 14287/2014, Cass. n. 2587/2014, Cass. n. 1264/2014, Cass. Sez. Unite n. 18184/2013).
Ne deriva che, diversamente da quanto opinato dalla sentenza qui impugnata, il termine di 60 giorni non può in nessun modo essere considerato ordinatorio, essendo invece il suo rispetto posto come condizione di legittimità dell’accertamento; e che spetta al giudice verificare se sussistano realmente i motivi dedotti dall’Ufficio per giustificare il mancato rispetto di tale termine.
Ciò posto in linea di diritto, si osserva in fatto che nel caso di specie non è in discussione, risultando per tabulas, come l’Agenzia abbia emesso l’avviso di accertamento 17 giorni prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni dalla notifica del PVC da cui traeva origine (atteso che la notifica del PVC è avvenuta il 29 ottobre 2012, l’avviso di accertamento è stato emesso il 11112/2012, ed il termine di 60 giorni sarebbe invece spirato il 28/12/2012), con la conseguenza che detto avviso deve ritenersi invalido, a meno che non si ritengano effettivamente sussistenti i requisiti di urgenza indicati nell’atto.
Specificamente, l’Agenzia ha giustificato il mancato rispetto del termine con la contemporanea presenza di tre requisiti di urgenza derivanti dallo stato di abbandono in cui versavano i locali aziendali adibiti a sede legale, ciò che avrebbe reso problematico la successiva notifica dell’avviso, l’entità dei rilievi contestati e l’imminenza dei termini di decadenza dall’azione accerta attrice.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che nessuna delle tre giustificazioni sia idonea ad integrare i requisiti di urgenza previsti dalla norma come deroga all’ iter che deve essere seguito dall’Ufficio.
In particolare, da un primo punto di vista, è radicalmente insussistente il pericolo che, a seguito dello stato di abbandono dei locali aziendali, l’attesa di 17 giorni avrebbe reso più difficoltosa la notifica dell’avviso: è infatti facile replicare che l’avviso è stato notificato mediante affissione presso la casa comunale, e che la medesima modalità sarebbe stata utilizzata anche laddove la notifica fosse stata effettuata due settimane dopo.
Da un secondo punto di vista, non può parlarsi di entità particolarmente elevata dei rilievi, atteso che la presenza di perdite pregresse della società è di ammontare tale da compensare integralmente la ripresa a tassazione.
Infondata è anche la terza giustificazione, relativa al fatto che il mancato rispetto del termine di 60 giorni deriva dalla necessità di rispettare i termini di decadenza dell’azione accertatrice, in via di scadenza.
Infatti, anche a volere obliterare il fatto che il termine di 60 giorni sarebbe spirato il 28 dicembre 2012, e quindi comunque tre giorni prima della decadenza dall’azione accertatrice, dirimente è rilievo per cui, dopo qualche iniziale perplessità, la giurisprudenza della Corte di cassazione, con un indirizzo pienamente condiviso da questo Collegio, si è consolidata nel ritenere che le specifiche ragioni di urgenza non possano identificarsi con l’imminente spirare del termine di decadenza per l’accertamento, giacché è dovere dell’amministrazione attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale: diversamente opinando, si verrebbero a convalidare, in via generalizzata, tutti gli atti in scadenza, in contrasto col principio secondo cui il requisito dell’urgenza deve essere riferito alla concreta fattispecie, e cioè al singolo rapporto tributario controverso, spettando in ogni caso all’Ufficio l’onere di provare in giudizio la sussistenza della situazione urgente (cfr. ex pluribus Cass. n. 5149/2016, Cass. n. 16707/2015, Cass. n. 16602/2015, Cass. n. 14803/2015, Cass. n. 7315/2014, Cass. n. 2592/2014, Cass. n. 2281/2014 Cass. n. 2279/2014, Cass. n. 1869/2014).
Qualora poi l’amministrazione deduca, quale circostanza di “particolare e motivata urgenza”, il fatto di non aver potuto rispettare il termine dilatorio di sessanta giorni allegando l’imminente scadenza del termini previsti per l’azione di accertamento, “l’oggetto della prova va individuato nella oggettiva impossibilità di adempimento del/ ‘obbligo, traducendosi nella deduzione che /’imminente scadenza del termine di decadenza che non ha consentito di adempiere /’obbligo di legge, sia dipesa da fatti o condotte al/ ‘Ufficio non imputabili a titolo di incuria, negligenza o inefficienza” ( cfr. Cass. n. 5149/2016 e Cass. n. 11993/2015).
Nel caso che qui occupa, deve essere evidenziato che la verifica fiscale della Guardia di Finanza ha avuto inizio il 5 dicembre 2011, e quindi con un anticipo di oltre un anno rispetto al termine di decadenza dell’azione accertatrice dell’Ufficio; che non è stato provato, ed in realtà nemmeno dedotto, alcun comportamento della contribuente finalizzato ad ostacolare l’accertamento; che pertanto, utilizzando la lettera dell’espressione della Corte di Cassazione, non può parlarsi di “oggettiva impossibilità di adempimento del/’ obbligo” da parte dell’Amministrazione, dovendosi invece concludere che il ritardo nell’inizio o nella definizione dell’accertamento vada imputato a sua “incuria, negligenza o inefficienza”.
b) Sulla base di tutto quanto sopra, va ritenuta sussistente la violazione dell’articolo 12 comma 7 L. n. 212/2000, con conseguente invalidità dell’avviso di accertamento, in quanto notificato prima del termine dilatorio previsto dalla legge.
Ciò comporta la nullità dell’avviso e del successivo atto di irrogazione delle sanzioni, emanato in base dell’avviso stesso.
Pertanto, in accoglimento dell’appello ed in totale riforma della sentenza di primo grado, va accolto l’originario ricorso del contribuente, annullando i due atti impugnati in ragione del vizio procedurale sopra illustrato.
Rimangono ali’ evidenza assorbite tutte le ulteriori doglianza della contribuente, sia di natura procedurale, relativamente alla violazione dell’articolo 37 bis comma 4 DPR n. 600/1973 per non essere stato l’accertamento preceduto la richiesta di chiarimenti al contribuente; sia di natura processuale, relativa al fatto che la contestazione da parte del Fisco in ordine alla violazione dell’articolo 11 O comma 10 DPR n. 917 /1986 circa la non deducibilità di componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese localizzate in Stati a fiscalità privilegiata, è stata effettuata per la prima volta nella costituzione in giudizio davanti alla Commissione Tributaria, e non già nell’atto impugnato, che delimita invece la materia del contendere; sia di natura sostanziale, relativamente all’inconfigurabilità dell’abuso del diritto ed all’illegittimità del cumulo delle sanzioni applicate, anche in ragione dell’entrata in vigore dell’articolo 15 comma 1 lettera p) D.Lgs. n. 158/2015.
e) Nonostante la soccombenza dell’appellato, le spese di lite dei due di giudizio vanno integralmente compensate ex artt. 15 D.Lgs. n. 546/1992, dovendosi rinvenire le “gravi ed eccezionali ragioni” nel fatto che, così come illustrato nei punti precedenti, la giurisprudenza di legittimità si è assestata in ordine alla natura dell’articolo 12 comma 7 L. n. 212/2000, e cioè della norma qui utilizzata per definire la controversia, solo negli ultimissimi anni, e quindi sostanzialmente dopo l’inizio del contenzioso tra le parti.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale di Bologna sez. XI in accoglimento dell’appello ed in totale riforma della sentenza impugnata, accoglie l’originario ricorso del contribuente, annullando l’avviso di accertamento e l’atto di irrogazione sanzioni impugnati;
compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Bologna, 20/10/2017
Depositato in cancelleria il 02/11/2017.
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