CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 settembre 2018, n. 21672
Contratti di formazione e lavoro – Recupero di contributi e sgravi contributivi – Aiuti di Stato – Prescrizione
Rilevato che
la Corte d’appello di Salerno (sentenza del 23.10.2012), nell’accogliere l’impugnazione principale dell’Inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva accolto l’opposizione della società H.C. s.r.l. alla cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento della somma di € 41157,20 a titolo di recupero di contributi e sgravi relativi a contratti di formazione e lavoro nel periodo maggio 1999 – maggio 2001, ha riformato la gravata decisione ed ha rigettato l’opposizione della predetta società del 6.7.2007, confermando l’opposta cartella e rigettando l’appello incidentale della summenzionata società, dopo aver ritenuto fondato il recupero, intrapreso dall’Inps, delle somme corrispondenti agli sgravi contributivi di cui l’opponente aveva inizialmente beneficiato per aiuti di stato dei quali era stata successivamente accertata l’illegittimità;
atteso che avverso tale decisione ricorre per cassazione la società H.C. s.r.l. con tre motivi, cui resiste l’Inps con controricorso;
Considerato che
col primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 3, comma 9, legge n. 335/95 e all’art. 2946 c.c., contestando l’applicazione nella fattispecie della prescrizione decennale del credito vantato dall’Inps; secondo la ricorrente la Corte di merito sarebbe incorsa in errore nel negare al credito in esame la natura previdenziale connessa all’omesso versamento contributivo, come tale assoggettabile al più breve termine di prescrizione quinquennale, e nell’affermare, invece, la natura di aiuti di stato illegittimi degli sgravi contributivi fruiti per i contratti di formazione e lavoro, in quanto tali soggetti, ai fini del loro recupero imposto dalla Commissione Europea, alla prescrizione ordinaria; assume, invece, la ricorrente che l’art. 15 del regolamento comunitario non è applicabile alle azioni intraprese dagli Stati nazionali nei confronti dei propri cittadini e che in base al principio comunitario di collaborazione in materia di prescrizione delle stesse è necessario applicare quanto previsto dalle discipline nazionali; tuttavia, aggiunge la ricorrente, la norma nazionale di riferimento da individuare in tema di prescrizione non è quella generale di cui all’art. 2946 cod. civ., dal momento che il principio di applicazione analogica delle norme dell’ordinamento interno consente di confermare la sussistente natura previdenziale dell’azione di recupero e, quindi, l’applicazione della norma speciale di cui all’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 relativa alla prescrizione quinquennale; rilevato che il motivo è infondato, in quanto questa Corte si è già espressa in siffatta materia (Cass. sez. lav. n. 6671 del 3.5.2012), statuendo che “agli effetti del recupero degli sgravi contributivi integranti aiuti di Stato incompatibili col mercato comune (nella specie, sgravi per le assunzioni con contratto di formazione e lavoro, giudicati illegali con decisione della Commissione europea dell’ 11 maggio 1999), vale il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italiana della decisione comunitaria di recupero, atteso che, ai sensi degli artt. 14 e 15 del regolamento (CE) n. 659/1999, come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria, le procedure di recupero sono disciplinate dal diritto nazionale ex art. 14 cit., nel rispetto del principio di equivalenza fra le discipline, comunitaria e interna, nonché del principio di effettività del rimedio, mentre il “periodo limite” decennale ex art. 15 cit. riguarda l’esercizio dei poteri della Commissione circa la verifica di compatibilità dell’aiuto e l’eventuale decisione di recupero. Né si può ritenere che si applichi il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ., perché lo sgravio contributivo opera come riduzione dell’entità dell’obbligazione contributiva, sicché l’ente previdenziale, che agisce per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non agisce in ripetizione di indebito oggettivo. Né, infine, è applicabile il termine di prescrizione quinquennale ex art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995, poiché questa disposizione riguarda le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale, mentre l’incompatibilità comunitaria può riguardare qualsiasi tipo di aiuto, senza che si possa fare ricorso all’applicazione analogica della norma speciale, in quanto la previsione dell’art. 2946 cod. civ. esclude la sussistenza di una lacuna normativa;
considerato che si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. n. 6756 del 4.5.2012) che “in tema di recupero di aiuti di Stato, la normativa nazionale riguardante gli effetti del decorso del tempo sui rapporti giuridici (sia in tema di prescrizione che di decadenza) deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione europea divenuta definitiva. (Fattispecie in tema di recupero di sgravi contributivi, fruiti per assunzioni con contratto di formazione e lavoro, incompatibili con il diritto comunitario, in quanto aiuti di Stato, secondo la decisione della Commissione europea dell’11 maggio 1999, ritenuti recuperabili dalla S.C. senza il limite del termine decadenziale per l’iscrizione a ruolo di cui all’art. 25 del d.lgs. n. 46 del 1999)”; che nella stessa sentenza di questa Corte n. 6671/2012 (conf. anche da Ord. sez. 6 – Lav. n. 16581/2013 e n. 2555/2016) si è affermato che il dies a quo della decorrenza della prescrizione non può essere collocato in data anteriore a quella di notifica alla Repubblica Italiana (4.6.1999) della decisione della Commissione europea dell’11.5.1999 che, sancendo l’incompatibilità con il mercato comune – nei limiti indicati – degli sgravi configuranti aiuti di Stato ha imposto l’azione diretta al loro recupero;
accertato che col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 415 e 416 c.p.c. e dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento alla pretesa applicazione dell’art. 2946 cod. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione; in pratica la ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito ha omesso qualsivoglia motivazione in ordine al riparto dell’onere della prova ed evidenzia che tale incombente non poteva che ricadere sull’Inps, quale soggetto interessato al recupero della somma corrispondente allo sgravio contributivo goduto dalla controparte e non su quest’ultima, che si era semplicemente opposta alla pretesa dell’ente che aveva rivendicato il credito;
ritenuto che il motivo è infondato, in quanto questa Corte ha avuto già modo di affermare in diverse occasioni il principio secondo il quale in tema di sgravi contributivi e di fiscalizzazione degli oneri sociali, grava sull’impresa che vanti il diritto al beneficio l’onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata (v. Cass. sez. lav. n. 14130 dell’1.10.2002, n. 19262 del 16.12.2003, n. 5137 del 9.3.2006, n. 16351 del 24.7.2007, n. 21898 del 26.10.2010 e Sez. Un. n. 6489 del 26.4.2012); né la circostanza che le condizioni legittimanti il beneficio siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie può alterare i termini della questione, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale, per poter legittimamente usufruire degli sgravi (Cass. n. 6671 del 2012; in senso conf. V. Cass. Sez. lav. n. 23654/2016);
atteso che col terzo motivo, proposto per omessa o insufficiente o errata motivazione su fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’adempimento dell’onere probatorio ex art. 2967 c.c., la ricorrente contesta l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza circa la tardiva deduzione della legittima fruizione delle agevolazioni contributive e ribadisce che, in ogni caso, ricadeva sull’Inps l’onere della prova della preventiva effettuazione delle procedure amministrative necessarie alla verifica dell’insussistenza delle condizioni dettate dalle decisioni europee ai fini della legittima fruizione degli aiuti costituiti dalle agevolazioni contributive concesse per i contratti di formazione e lavoro; inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso di esprimere in maniera sufficiente i motivi per i quali dalle nove buste paga prodotte in giudizio non si evinceva la sussistenza in capo ai dipendenti della società H.C. s.r.l. dei requisiti personali per la legittima fruizione delle agevolazioni contributive per l’assunzione con contratto di formazione e lavoro; posto che tale motivo è, anzitutto, infondato, dal momento che la Corte territoriale, dopo aver spiegato che si trattava di una ipotesi di recupero di aiuti erogati alle aziende che nel periodo in esame avevano stipulato contratti di formazione e lavoro senza il rispetto delle regole comunitarie, ha altresì chiarito che sarebbe stato onere dell’opponente, non adeguatamente assolto, quello di dimostrare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto di mantenimento degli sgravi usufruiti, per cui al riguardo non è configurabile un’omissione di motivazione;
rilevato che il motivo denota, altresì, profili di inammissibilità in quanto con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Ma è evidente che nella specie la valutazione operata dalla Corte di merito non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla mancanza di prova degli elementi costitutivi per il mantenimento, da parte dell’opponente, del diritto agli sgravi;
ritenuto, pertanto, che il ricorso va rigettato e che le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente;
verificato che ricorrono, altresì, i presupposti per la determinazione a carico della ricorrente, come da dispositivo, del contributo unificato di cui art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di € 4200,00, di cui € 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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