Consiglio di Stato sezione III sentenza n. 1337 depositata il 5 marzo 2018
N. 01337/2018REG.PROV.COLL.
N. 08232/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 8232 del 2017, proposto dalla SB s.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Domenico Vitale, e con questi elettivamente domiciliata in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30 presso lo studio del dott. Alfredo Placidi,
contro
l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud e la Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;
per la riforma
dell’ordinanza collegiale del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, 17 luglio 2017, n. 3797, mai notificata, nella parte in cui è stato dichiarato inammissibile il reclamo avverso gli atti del commissario ad acta, depositato in data 28 novembre 2016 nel giudizio n.4061/2015 r.g..
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Relatore nella camera di consiglio dell’1 febbraio 2018 il cons. Giulia Ferrari e udito il difensore del ricorrente, come da verbale.
1. Con ricorso n. 4061/2015, depositato il 30 luglio 2015 al Tar Campania, sede di Napoli, la SB unipersonale ha chiesto che venisse accertata l’illegittimità del silenzio rifiuto serbato dalla Asl Napoli 3 Sud in merito all’istanza, notificata il 23 gennaio 2015, finalizzata al riconoscimento della revisione prezzi per il servizio di portierato svolto dall’1 ottobre 2009 fino al 30 ottobre 2014, in forza della proroga del contratto sottoscritto il 16 ottobre 2006, nonché per l’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata con la predetta istanza, anche con riferimento al periodo fino al 10 giugno 2015.
L’adito Tribunale, con sentenza della sez. I, 18 novembre 2015, n. 5317, ha accolto parzialmente il ricorso, ordinando all’Azienda sanitaria di pronunciare e nominando un commissario ad acta, nella persona del Direttore Generale per la Tutela della Salute della Regione Campania o un funzionario da lui delegato, onde provvedere in via sostitutiva nel caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione.
Insediatosi il commissario, con deliberazione n. 395 del 17 giugno 2016, mai notificata, ha disposto la liquidazione di “euro 108,348,54 a titolo di interessi moratori dalla data di scadenza delle singole fatture sino all’effettivo soddisfo, già comprensivo della revisione prezzi per la tipologia di lavoro riferita al servizio di portierato, maggiorato dell’indice ISTAT (tab. FOI) ove calcolabile (periodo di riferimento 31 ottobre 2009 – 30 giugno 2015)”, ignorando completamente le osservazioni prodotte dalla società circa l’applicazione del contratto multiservizi successivamente disciplinato dal d.m. 25 febbraio 2009.
La SB, al fine di ottenere una pronuncia del Giudice di primo grado sul riconoscimento della somma di euro 1.920.957,36 in luogo di quella di euro 108,348,54 riconosciuta dall’Amministrazione intimata, in data 21, 22 e 24 novembre 2016 ha notificato istanza di chiarimenti, poi depositata in data 28 novembre 2016.
Il Tar Napoli, con ordinanza collegiale 17 luglio 2017, n. 3797, ha dichiarato il reclamo tempestivo ma inammissibile, “trattandosi di gravame avverso atti di un Commissario ad acta nominato per porre rimedio alla persistente inerzia dell’Amministrazione, i cui atti sono impugnabili con l’ordinario ricorso impugnatorio, e non già con lo strumento del reclamo”.
2. Con l’appello in esame la SB s.r.l. ha impugnato l’ordinanza del Tar Napoli sul rilievo che il reclamo previsto dall’art. 114, comma 6, c.p.a. ricomprende anche gli atti adottati dal commissario nominato nel giudizio sul silenzio. In ogni caso, illegittimamente il Tar non avrebbe accordato la conversione del rito da camerale ad ordinario, atteso che il giudizio sul reclamo in questione non solo possiede i requisiti formali e sostanziali di un ricorso autonomo, ma risulta anche notificato all’Amministrazione intimata (in data 21,22 e 24 novembre 2016). Aggiungasi che con la memoria depositata il 5 maggio 2017, con la quale era proposta istanza di conversione, erano stati articolati i motivi dell’azione annullatoria.
3. Alla camera di consiglio dell’1 febbraio 2018 la causa è passata in decisione.
4. Come esposto in narrativa, il Tar ha dichiarato il reclamo tempestivo – non avendo l’Azienda sanitaria Na 3 Sud, neanche dopo l’istruttoria a tal fine esperita, indicato una diversa data di conoscenza della somma liquidata alla società Secur – ma inammissibile, perché il rimedio da proporre avverso gli atti del commissario nominato per sostituirsi all’Amministrazione silente è quello ordinario del ricorso impugnatorio.
L’assunto non è condivisibile.
Il comma 4 dell’art. 117 prevede, infatti, che “Il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario”. Il giudice, cui fa riferimento la norma, è certamente il giudice dinanzi al quale è stata proposta l’azione sul silenzio e il rimedio esperibile, stante l’analogia con quanto previsto dal comma 6 dell’art. 114 c.p.a., non può che essere il reclamo.
Il comma 6 del citato art. 114 dispone, infatti, che “Il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell’ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni”. Anche in questo caso, dunque, la norma prevede che sia il giudice dell’ottemperanza a conoscere delle questioni inerenti gli atti del commissario, ma – a differenza del comma 4 dell’art. 117 – è individuato il rimedio esperibile, il reclamo. Stante, dunque, l’analogia della prima parte della norma con quella del comma 4 dell’art. 117, anche in questo secondo caso il rimedio esperibile non può che essere il reclamo.
5. Il Collegio non ritiene condivisibile neanche il diniego di conversione del reclamo nel rito impugnatorio – annullatorio ex art. 29 c.p.a., opposto dal Tar sul rilievo che sarebbero mancati, nel reclamo, i requisiti di sostanza e di forma per convertirlo in rito ordinario (indicazione dell’atto impugnato, procura alle liti, articolazione dei motivi di ricorso).
Non è vero, come afferma il Tar, che sarebbe stata necessaria la procura. Ed infatti, accedendo alla tesi dello stesso giudice di primo grado per cui l’atto del commissario va gravato con l’azione impugnatoria, per analogia con quanto previsto dal comma 5 lo strumento processuale non potrebbe che essere l’atto di motivi aggiunti che, ai sensi dell’art. 24 c.p.a., non necessita di nuova procura.
Il Tar non può essere seguito neanche allorchè afferma che manca nel reclamo l’indicazione dell’atto impugnato e dei motivi. Sebbene effettivamente l’atto impugnato sia stato identificato solo con la richiesta di conversione del rito, esso era comunque evincibile e, soprattutto, era chiaro il motivo oggetto di contestazione, e cioè se il compenso orario fosse di € 8,33, come ritenuto dall’Amministrazione nella censurata (sebbene non richiamata) deliberazione n. 395 del 17 giugno 2016, o di € 15,00, come invece affermato dalla Secur.
Per tali ragioni il reclamo, che era stata anche regolarmente notificato, ben avrebbe potuto essere convertito in ricorso ordinario annullatorio.
6. Il reclamo, sebbene ammissibile, è però infondato nel merito.
In mancanza di espressa previsione nella lex specialis di gara, la proroga del rapporto contrattuale deve necessariamente avvenire alle stesse condizioni alle quali il contratto era stato stipulato e, dunque, considerando il contenuto dell’offerta economica e dell’offerta tecnica, che avevano consentito all’appaltatore di aggiudicarsi la gara.
La proroga del contratto è, infatti, per sua natura inidonea ad innovare l’originario equilibrio sinallagmatico del rapporto negoziale. Ed infatti, mentre la proroga del termine finale di un appalto pubblico di servizi sposta solo in avanti la scadenza conclusiva del rapporto, il quale resta regolato dalla sua fonte originaria, il rinnovo del contratto comporta una nuova negoziazione tra i medesimi soggetti, ossia un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale, che rende incompatibile l’immediata applicazione imperativa della clausola di revisione prezzi (Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25; id., sez. V , 22 giugno 2010, n. 3892; id. 14 maggio 2010, n. 3019).
Nel caso in esame, per effetto della proroga, il rapporto contrattuale, inizialmente di 36 mesi, si configurava come un rapporto unico ed unitario, che ha avuto una durata quasi decennale, in base all’originario titolo di aggiudicazione.
Data la premessa consegue che, non avendo la SB supportato la propria pretesa richiamando una specifica disciplina prevista dalla normativa della gara affidata, trovano applicazione i principi generali in tema di revisione prezzi, che prevedono il riferimento al costo pattuito in sede di gara maggiorato dell’indice Istat (tab. Foi). Tale somma va incrementata degli interessi moratori dalla data di scadenza delle singole fatture sino all’effettivo soddisfo.
La ratio dell’istituto della revisione prezzi è infatti di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere l’equilibrio finanziario sulla base del quale è intervenuta la stipulazione del contratto; solo in via mediata tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto.
L’applicazione della tariffa vigente al momento della proroga, richiesta dalla SB, darebbe invece all’affidatario un vantaggio aggiuntivo, e cioè la remunerazione del servizio ad una cifra superiore a quella risultante dall’affidamento della gara vinta nel 2006 e, possibilmente, anche della gara alla quale avrebbe potuto partecipare – nella quale probabilmente, per presentare un’offerta competitiva, non avrebbe indicato la tariffa del contratto multiservizi successivamente disciplinato dal d.m. 25 febbraio 2009 – con l’incognita, però, dell’aggiudicazione. Proprio in ragione di ciò risulta del tutto inconferente il ripetuto richiamo che la Secur ha fatto, in sede di reclamo, alle nuove gare bandite dall’Azienda sanitaria Na 3 Sud, nell’arco temporale in cui vigeva la proroga, atteso che esso si fonda su due presupposti dati per certi ma che, invece, tali non sono, e cioè che la stessa società, partecipante a quelle gare, avrebbe presentato un’offerta economica applicando la tariffa di € 15,05 all’ora, senza un ritocco al ribasso, e che si sarebbe aggiudicata le gare.
7. Il reclamo deve dunque essere respinto.
Nulla per le spese, non essendosi costituite le Amministrazioni evocate in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
respinge il reclamo proposto dalla SB s.r.l..
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Giulia Ferrari | Marco Lipari | |
IL SEGRETARIO
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