CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 ottobre 2018, n. 25740
Contratto di agenzia – Incarico di promozione e collocamento di prodotti finanziari – Cessazione del rapporto di lavoro – Indennità – Riconoscimento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1420/2013, depositata il 14 gennaio 2014, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Pistoia aveva respinto la domanda di A. M. volta ad ottenere, nei confronti di A. B. F. A. S.p.A., il pagamento dell’indennità in caso di cessazione del rapporto (art. 1751 cod. civ.) in relazione ad un incarico di promozione e collocamento di prodotti finanziari cessato il 7 gennaio 1998.
2. La Corte, richiamato il supplemento di consulenza d’ufficio disposto in grado di appello, rilevava come l’agente non avesse dato dimostrazione del permanere, dopo la cessazione del rapporto, di sostanziali vantaggi per la preponente e come, d’altra parte, non potesse ritenersi legittima l’attribuzione dell’indennità ex art. 1751 cod. civ. per l’attività di team manager, ovvero di coordinatore di un gruppo di agenti, dallo stesso svolta, in quanto ciò avrebbe determinato un duplice versamento a carico della società (al singolo agente che aveva concluso gli affari e al responsabile del team), in contrasto con il canone di equità espresso dalla norma.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il M. con quattro motivi, cui ha resistito A. B. F. A. S.p.A. con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1751, comma 1°, cod. civ., nel testo vigente prima della riforma di cui al d.lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte, erroneamente ritenendo il carattere indefettibile del requisito dello sviluppo della clientela e dei perduranti vantaggi in capo alla preponente, escluso che il diritto all’indennità potesse essere riconosciuto all’agente anche sulla base della sola ‘equità’ della spettanza, valutata con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, e cioè in presenza unicamente di una delle due condizioni previste in via alternativa dalla norma.
2. Con il secondo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1751, comma 1°, cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso che, ai fini del riconoscimento dell’indennità, il dato dello sviluppo della clientela e del perdurante vantaggio per il preponente potesse essere valutato in termini di gruppo di agenti reclutati e coordinati e cioè, in sostanza, per avere escluso dal diritto a beneficiare dell’indennità l’agente che svolga anche compiti di team manager.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) circa la valutazione delle risultanze istruttorie documentali e peritali aventi ad oggetto il perdurare dei vantaggi in capo al preponente entro l’orizzonte temporale triennale; si duole, in particolare, che il giudice di appello avesse travisato i dati della consulenza disposta nel secondo grado di giudizio, giungendo a formulare deduzioni illogiche ed incongruenti rispetto agli stessi rilievi del consulente d’ufficio.
4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 183 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello ritenuto, sulla scorta delle conclusioni peritali, il difetto di prova circa il fatto che la società avesse tratto, dopo lo scioglimento del rapporto, sostanziali benefici dall’attività promozionale del proprio agente, senza dare ingresso alle prove orali richieste a tale fine.
5. Il primo motivo è infondato.
6. La Corte di appello, nell’interpretare l’art. 1751 cod. civ., ha ritenuto evidente che il legislatore avesse subordinato l’attribuzione dell’indennità “non solo all’incremento della clientela o, in alternativa, allo sviluppo sensibile degli affari con i clienti già esistenti presso il preponente, quanto che questi tragga ancora sostanziali vantaggi da quei rapporti che, dunque, debbono permanere, per un arco ragionevole di tempo”; ha quindi precisato, anche con il richiamo a precedenti di legittimità (Cass. n. 15203/2010; Cass. n. 23996/2008), come “una volta acquisiti questi elementi” si ponga “altresì il quesito se la fruizione dell’indennità sia equa” (cfr. sentenza, p. 3, primo capoverso): e cioè ha dato una lettura cumulativa (e non alternativa) dei requisiti di cui ai successivi alinea del comma 1°, pienamente conforme all’art. 17 della Direttiva n. 86/653/CE e al testo della norma come novellato dal d.lgs. n. 65/1999, che, a seguito di procedura di infrazione, ha dato attuazione alle norme comunitarie.
7. Infondato è anche il secondo motivo, atteso che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell’art. 1751 cod. civ., escludendo dall’ambito di applicabilità della norma l’attività di reclutamento e coordinamento degli agenti.
8. E’ infatti da rilevare che il diritto all’indennità ricorre quando l’agente “abbia procurato nuovi clienti al preponente” (ovvero “abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti”) e il preponente “riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti”; quando, inoltre, il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, “in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti” (comma 1°).
9. La norma è, pertanto, chiara nella sua volontà di premiare, con l’attribuzione della indennità, l’attività direttamente rivolta alla promozione della clientela, sia nei termini più dinamici di reperimento di nuovi contraenti, sia nei termini di un allargamento della base degli affari con quelli già acquisiti, ad essa riconnettendosi un particolare ed evidente interesse del soggetto preponente ed un gravoso (e così meritevole di riconoscimento economico) impegno personale dell’agente.
10. Ne consegue che restano esclusi dal perimetro applicativo dell’art. 1751, secondo la piana lettura che di esso impongono i plurimi e diffusi riferimenti ai clienti e all’attività incentrata “sugli” stessi, compiti e funzioni che, pur rilevanti sul piano organizzativo, si pongono come strumentali e accessori a tale centrale attività.
11. Il terzo motivo risulta inammissibile.
12. Esso, infatti, dolendosi il ricorrente di una motivazione carente e contraddittoria, non si conforma al modello del nuovo art. 360 n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte nel 2012, a fronte di sentenza di secondo grado depositata il 14 gennaio 2014 e, quindi, in epoca successiva all’entrata in vigore della riforma.
13. Al riguardo, è stato precisato che l’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato nel 2012, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U n. 8053 e n. 8054 del 2014).
14. Parimenti inammissibile è il quarto motivo.
15. Come più volte precisato nella giurisprudenza di questa Corte, “la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile qualora con essa il ricorrente si duole della valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, né adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione”: Cass. n. 8204/2018 (ord.).
16. E’ stato altresì ripetutamente affermato che “il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio deciderteli venga a trovarsi priva di fondamento” (Cass. n. 5654/2017, fra le molte conformi).
16. A tali principi non risulta essersi conformato il motivo ora in esame, sia perché, non riproducendo il ricorso in appello nelle parti rilevanti, non indica specificamente se e quali capitoli di prova testimoniale, non ammessi dal primo giudice, fossero stati sottoposti alla valutazione della Corte; sia perché si limita a considerazioni di rilevanza e pertinenza in ordine alle circostanze articolate in tali capitoli, senza specifica e necessaria deduzione della loro “decisività” (nei termini precisati).
17. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
18. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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