CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 novembre 2018, n. 30683
Licenziamento – Procedura di mobilità – Violazione del criterio dell’anzianità – Natura simulata delle dimissioni – Accertamento
Fatti di causa
1.1. Con sentenza n. 475/2016 la Corte di appello di L’Aquila, decidendo sul reclamo proposto ai sensi della l. .n. 92/2012 dalla E. s.r.l. nei confronti di K.V., in riforma della pronuncia del Tribunale di Vasto – che, disattendendo l’opposizione della società, aveva confermato l’ordinanza resa in sede di procedimento sommario dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento intimato in data 16/7/2013 nell’ambito di una procedura ex l. .n. 223/1991 per violazione del criterio dell’anzianità, con le conseguenti conseguenze reintegratorie e risarcitorie -, respingeva l’azionata domanda.
1.2. La Corte territoriale superava innanzitutto l’eccezione di inammissibilità del reclamo formulata dalla V. ed escludeva, altresì, la fondatezza di preliminari motivi di censura posti dalla società relativi rispettivamente all’asserita mera ritrascrizione nella sentenza reclamata del contenuto dell’ordinanza opposta ed alla ritenuta ammissibilità della domanda volta ad accertare l’anzianità di servizio della V. fin dal 6/6/2001 e cioè dalla data di assunzione della stessa dalla S.V. s.r.l., a fronte della prospettata natura simulata delle dimissioni rassegnate in data 1/2/2005 e della sostanziale prosecuzione del rapporto senza interruzioni prima presso la S.I. s.r.l. e quindi, a seguito di licenziamento del 20/9/2006, presso la S.G. S.p.A. (poi E. s.r.l.).
Quanto al merito, escludeva che le risultanze istruttorie deponessero per la dedotta preordinazione delle dimissioni prima e del licenziamento poi all’assunzione della V. da parte della S.G. S.p.A. e riteneva che non vi fossero elementi per la ricorrenza nella fattispecie di un collegamento fraudolento o simulatorio.
In conseguenza, valutava corretta l’applicazione del criterio di anzianità con riferimento alla data di assunzione della V. presso la S.G. S.p.A. (11/10/2006).
2. Per la cassazione della sentenza ricorre K.V. con due motivi.
3. La E. s.r.l. resiste con controricorso.
4. Non sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di omessa pronuncia sulla domanda principale avanzata con il ricorso introduttivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.. Censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sulla domanda principale avanzata dalla V. in ordine alla nullità e/o illegittimità del recesso per violazione del D.M. 21 maggio 2001 n. 308, regolamento concernente i ‘requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328’, requisiti tra i quali vi sarebbe la figura del coordinatore di struttura, figura già ricoperta dalla V. e che l’azienda avrebbe illegittimamente soppresso.
1.2. Il motivo non è fondato.
Nel giudizio di opposizione il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità del recesso per violazione dei criteri di scelta (condividendo la deduzione della ricorrente di cui al punto 3 dell’originario ricorso – v. pag. 5 del ricorso per cassazione -) senza pronunciarsi sul motivo di illegittimità avanzato ‘in via principale’ concernente la figura del coordinatore di struttura (punti 1 e 2 dell’originario ricorso – v. sempre pag. 5 del ricorso per cassazione -).
Nel giudizio ex art. 1, co. 58, l. .n. 92/2012, la V., come si evince da quanto riportato dalla stessa ricorrente a pag. 9 e a pag. 16 del ricorso per cassazione, ha concluso preliminarmente per l’inammissibilità del reclamo e nel merito per il rigetto dello stesso ed ha riproposto tutte le domande, eccezioni, deduzioni, richieste e conclusioni già formulate in prime cure e così in particolare il motivo di illegittimità del licenziamento concernente la problematica relativa alla figura del ‘coordinatore di struttura’.
Tale riproposizione era sufficiente ad introdurre nel giudizio di gravame la questione (v. Cass., Sez. U., 25 maggio 2018, n. 13195: <<La parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo>>).
Nel caso in esame, peraltro, al di là delle espressioni formali utilizzate, non si trattava di domande autonome avanzate in via principale e in via subordinata ma della prospettazione di differenti ragioni di illegittimità dell’impugnato recesso, il che evidentemente esclude che vi fosse un onere di impugnazione incidentale.
Ed allora se non vi era stata una domanda autonoma non esaminata, di certo non vi può essere la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (v. Cass. 22 gennaio 2018, n. 1539: <<La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ‘ratione temporis’, si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa – e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della ‘domanda’ di appello -, nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia>>.
Da tanto consegue innanzitutto l’inammissibilità del motivo che si limita a denunciare la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..
In ogni caso la questione posta dalla V. e non esaminata dalla Corte territoriale (violazione del D.M. 21 maggio 2001 n. 308, regolamento concernente i ‘requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328’, della delibera del 16/5/2003, n. 361 della Giunta Regione Abruzzo, della l. .n. 328/2000) non era indispensabile per la soluzione del caso concreto non attenendo certo a profili di illegittimità del licenziamento impugnato e concernendo eventuali inottemperanze della società alle prescrizioni per l’esercizio dell’attività (nella specie per aver continuato a svolgere la stessa asseritamente senza la necessaria figura del coordinatore di struttura, soppressa con la riorganizzazione attuata), aspetto quest’ultimo rilevante nella sola sede amministrativa di verifica della sussistenza delle condizioni per il mantenimento del titolo autorizzativo.
Quanto alla prospettazione di cui alla comparsa di costituzione della V. nel giudizio di opposizione, poi riproposta in sede di reclamo, ulteriore rispetto alla questione della violazione tout court del D.M. 21 maggio 2001, n. 308 e delle altre disposizioni sull’esercizio dell’attività assistenziale di cui di cui sopra si è detto, di una soppressione del personale ‘simulata, pretestuosa ed elusiva del dettato normativo’ sul presupposto che la neo introdotta figura del referente di struttura svolgesse in realtà i compiti del coordinatore e che attraverso l’eliminazione di tale ultima figura la società avesse solo inteso liberarsi della V., occorre rilevare che la stessa, ove pur da non qualificarsi tardiva, si sostanziava, in realtà, per quanto è dato evincere dal contenuto degli indicati atti come trascritti in sede di ricorso per cassazione, in una mera generica deduzione più che altro introdotta ad colorandum della denunciata violazione della normativa per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività (tanto, in particolare, si rileva dai primi otto righi di pag. 16 del ricorso per cassazione in cui è chiaramente evidenziato che la questione riproposta al giudice del reclamo e sulla quale il Tribunale in sede di opposizione non si era pronunciato era solo quella della ‘violazione del D.M. 21 maggio 2001, della delibera del 16/5/2003, n. 361 della Giunta Regione Abruzzo, della l. .n. 328/2000’) e comunque non supportata da alcun elemento circostanziale e fattuale che ne imponesse la disamina.
Peraltro, si rileva dal controricorso (pagg. 22 e 23) che in sede di ordinanza resa nella fase sommaria il Tribunale di Vasto aveva preso in esame la questione della soppressione della figura del coordinatore ed aveva ritenuto che la stessa, attenendo ad una scelta imprenditoriale, non fosse sindacabile dal giudice investito della valutazione di legittimità del recesso.
Non risulta, invero, che tale passaggio motivazionale avesse formato oggetto di censura da parte della lavoratrice in sede di opposizione.
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio motivazionale per violazione e falsa applicazione degli artt. 1230 – 1235, 1406, 2112 e 2697 cod. civ. in correlazione con l’art. 111 Cost. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) per avere la Corte territoriale omesso di considerare che il frazionamento del rapporto era avvenuto al solo scopo di eludere i diritti e le aspettative della lavoratrice connessi alla propria anzianità di servizio, nell’escludere ogni rilevanza alla effettiva titolarità del rapporto, nel ritenere necessaria ai fini della cessione di un contratto di lavoro tra due società l’esistenza di indici rivelatori di un unico centro di imputazione.
2.2. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge.
I giudici del reclamo, a fronte della prospettata unicità del rapporto hanno correttamente applicato i principi relativi al collegamento societario ed escluso ogni ipotesi fraudolenta nonché ogni ipotesi di cessione del rapporto in particolare dalla S.I. s.r.l. alla S.G. S.p.A. (ritenendo quello intercoso con quest’ultima un rapporto del tutto nuovo e diverso dal precedente) sulla base di un accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale ha proceduto ad un vaglio critico delle risultanze di causa, conformemente al thema decidendum oggetto del giudizio, come delineato dai motivi di reclamo e dalla posizione assunta dalla V.. Quest’ultima aveva rivendicato il diritto al riconoscimento di un’anzianità anticipata al 6/6/2001 sul presupposto dell’unicità del rapporto di lavoro prima instaurato con la S.V. s.r.l., cessato per dimissioni assortamente fittizie in data 1/3/2005 poi, a distanza di pochi giorni, instaurato in data 24/3/2005 con la S.I. s.r.l. fino al licenziamento del 20/9/2006 cui aveva fatto seguito un periodo di mobilità e, quindi, la nuova assunzione in data 11/10/2006 dalla S.G. s.r.l., poi fusa con la E. s.r.l..
Tale dedotta unicità del rapporto era stata, del resto, posta sia dal giudice della fase sommaria sia da quello dell’opposizione a fondamento delle decisioni favorevoli alla V..
La Corte territoriale ha, invece, ritenuto, sulla base di una compiuta valutazione delle risultanze di causa, che la proclamata unicità fosse in realtà da escludersi.
A tali conclusioni è pervenuta verificando innanzitutto la prospettata la presenza di un gruppo societario (includente tutte le società con cui la V. aveva lavorato) con un centro di imputazione unitario cui ricondurre la gestione del rapporto in questione.
A tal fine ha rilevato che, pur essendo pacifica la qualificazione come holding della S.I. s.r.l., che in tale qualità aveva prestato servizi (di assistenza contabile, amministrativa, fiscale e finanziaria) alle altre società presso le quali la V. aveva lavorato, era tuttavia mancata la prova che sussistesse il suddetto unico centro di imputazione del rapporto, tale da far ricadere su ciascuno dei soggetti del gruppo le conseguenze di vicende formalmente afferenti ad uno solo di essi, e così che vi fosse stata una frammentazione soggettiva operata in frode alla legge.
In sostanza, ad avviso della Corte territoriale, non erano stati forniti elementi sufficienti dalla deducente, sulla quale ricadeva il relativo onere probatorio, per ritenere superata l’autonomia soggettiva tra tutte le società ed affermare che esistesse una gestione organizzativa unitaria dell’attività imprenditoriale e che il preteso unico datore di lavoro si fosse avvalso dello schermo rappresentato dalla distinta personalità giuridica delle singole imprese del gruppo per fini elusivi dei diritti della lavoratrice.
La valutazione, resa all’esito del puntuale riscontro in concreto degli indici dimostrativi della concreta sussistenza del collegamento esistente fra le società del gruppo (unicità della struttura organizzativa e produttiva, utilizzo promiscuo delle medesime attrezzature, svolgimento dell’attività lavorativa per tutte le imprese collegate, congiunta gestione dei rapporti di lavoro, medesima sede legale ed amministrativa, coordinamento tecnico e amministrativo- finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo), è conforme ai principi affermati da questo giudice di legittimità (v. Cass. 28 agosto 2000, n. 11275; Cass. 14 marzo 2006, n. 5406; Cass. 16 gennaio 2014, n. 798; Cass. 28 marzo 2018, n. 7704).
L’accertamento della sussistenza o meno del collegamento economico-funzionale fra società dello stesso gruppo, in forza del quale sia ravvisabile un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti, costituisce accertamento di fatto demandato ai giudici del merito (v. Cass. n. 798/2014 cit.).
La Corte territoriale ha, inoltre, evidenziato che, anche a voler ritenere provata l’esistenza di una cessione del contratto di lavoro tra la S.V. s.r.l. e la S.I. s.r.l. (in ragione del collegamento tecnico-amministrativo tra le stesse sussistente per la presenza di un unico soggetto direttivo – Renzo Pagliai – capace di far confluire le attività di tali due società verso uno scopo comune, tuttavia era da escludersi analoga cessione del rapporto dalla S.I. s.r.l. alla S.G. S.p.A. (risultata estranea alle società del gruppo facente capo alla S.I. s.r.l. ed avente quale socio di maggioranza la S. Gestioni S.p.A. e cioè un soggetto del tutto diverso dagli altri) presso la quale la V. era stata assunta in data 11/10/2006 con un contratto differente da quello originario (così da fissare l’anzianità rilevate ai fini di causa a tale data dell’11/10/2006).
Ha, altresì, rilevato che le risultanze istruttorie non avessero fornito adeguata prova neppure delle dedotte dinamiche di fatto del rapporto (mediante espletamento di attività lavorativa ininterrottamente dal 6/6/2001 fino al licenziamento per cui è causa, con svolgimento delle stesse mansioni e presso la stessa sede).
Ha, così, ritenuto che non sussistessero elementi per ricostruire la vicenda relativa al licenziamento intimato dalla S.I. s.r.l. in data 20/9/2006 in termini di dissimulazione di una cessione del contratto della V. da tale società alla S.G. S.p.A. non essendo emersa tra tali due società un legame tale da giustificare la considerazione di entrambe sotto un profilo unitario.
La Corte territoriale non ha, perciò, affermato che una cessione di fatto del contratto possa configurarsi solo all’interno di un gruppo societario nel quale sia riscontrabile un unico centro di imputazione ma, esaminando nel complesso tutti i rapporti tra le società con cui la V. aveva intrattenuto nel tempo i rapporti di lavoro ha, con una sequenza logica del tutto condivisibile, dapprima escluso che vi fossero indici rivelatori di tale unico centro d’imputazione e quindi ha proceduto alla verifica della sussistenza delle cessioni del contratto tra le singole società e, per quanto di interesse ai fini della decorrenza dell’anzianità della V., tra la S.I. s.r.l. e la S.G. S.p.A..
Per il resto e quanto alla censura di vizio motivazionale, si osserva che, a seguito delle modifiche all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. apportate dall’art. 54, co. 1, lett. b), del d.l. n. 83 del 2012, il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., configurabile solo nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053).
Nella specie, la motivazione della Corte territoriale supera certamente la soglia del ‘minimo costituzionale’ di cui al nuovo testo art. 360, n. 5, cod. proc. civ. nella rigorosa interpretazione offerta da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
A fronte delle sopra riassunte argomentazioni dei giudici del reclamo, le censure della ricorrente suggeriscono esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio (e così delle circostanze asseritamente risultanti dagli atti che avrebbero dimostrato la sussistenza di una cessione del contratto di lavoro), affinché se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata. Ma non può il ricorso per cassazione enucleare vizi di motivazione dal mero confronto tra le risultanze di causa, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità (v. Cass., Sez. U., n. 8053/2014 cit.).
3.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.).
Lamenta che la Corte territoriale abbia illegittimamente disposto la compensazione integrale delle spese di lite anche relativamente alle due fasi del giudizio di primo grado (fase sommaria e di opposizione) pur in assenza di impugnazione del capo di condanna alle spese da parte della E. s.r.l.
3.2. Il motivo è infondato.
Va applicato anche al reclamo, che è nella sostanza un appello (v. Cass. 9 settembre 2016, n. 17863), il principio affermato da questa Corte (v. Sez. U., 17 ottobre 2003, n. 15559) secondo cui il giudice di appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo d’impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché riforma in tutto o in parte la sentenza impugnata ha il potere di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento di dette spese, quale conseguenza della pronunzia adottata, dovendo il relativo onere essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite.
4. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
6. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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