CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 26028
Licenziamento collettivo – Indennità di mobilità – Art. 24, L. n. 223/1991 – Requisito dimensionale dell’impresa – Determinazione – Riferimento al momento di cessazione dell’attività e dei licenziamenti – Esclusione
Ritenuto che
con sentenza n. 3496/2012 la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello dell’Inps avverso la sentenza che aveva accolto la domanda di C.M. e degli altri litisconsorti, tutti dipendenti della C. Confezioni Srl, diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto all’iscrizione nelle liste di mobilità e la condanna dell’Inps a corrispondere loro la relativa indennità;
a fondamento della sentenza la Corte riteneva che l’appello dell’Inps – col quale si contestava la sussistenza del requisito dimensionale previsto dalla legge per il riconoscimento dell’indennità di mobilità in caso di licenziamento collettivo da parte di un’impresa che occupi più di 15 dipendenti – fosse infondato in quanto lo stesso requisito dimensionale era stato acclarato dal primo giudice anche per il fatto che la datrice di lavoro Clarisse, evocata in giudizio, non lo aveva mai contestato; e che tanto esimeva la stessa Corte dalla pronuncia sull’appello incidentale che rimaneva assorbito;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inps con tre motivi; mentre gli intimati non si sono costituiti;
Considerato che
con il primo motivo il ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c. e dell’articolo 118 disp. att . c.p.c. in quanto la Corte aveva disposto il rigetto del gravame dell’Istituto attraverso una motivazione che non appariva idonea a rendere palesi le ragioni della decisione adottata; con il secondo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 7 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, con riferimento agli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c. (articolo 360 numero 3 c.p.c.) per avere la Corte d’Appello ritenuto provato il fatto costitutivo del diritto azionato – relativo al requisito dimensionale – attraverso la considerazione che il datore di lavoro non lo avrebbe contestato costituendosi nel giudizio di primo grado; laddove, invece, il fatto non poteva essere escluso dal thema probandum in seguito alla mera non contestazione del datore di lavoro litisconsorte; con il terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 7 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., in quanto la Corte territoriale, nel fare proprio l’accertamento compiuto dal giudice di primo grado in merito alla sussistenza del requisito dimensionale, ne aveva reiterato anche l’erroneo convincimento che lo stesso requisito accertato considerando la media dei lavoratori impiegati nel biennio precedente al licenziamento, laddove invece secondo la legge vanno considerati soltanto i lavoratori impiegati dal datore di lavoro nel semestre precedente;
il secondo e terzo motivo di ricorso, aventi valore assorbente, sono fondati; anzitutto perché l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti; pertanto, discutendosi nel caso di specie di un dato estraneo alla sfera di diretta conoscibilità dell’INPS, non poteva essere ritenuta probante nei confronti dello stesso Istituto la mancata contestazione del requisito dimensionale da parte del datore di lavoro litisconsorte (cfr. Cass. Sentenza n. 14652 del 18/07/2016);
il terzo motivo è fondato dato che, con riferimento al requisito dimensionale relativo alla tutela per la mobilità (come affermato anche da questa Corte con sentenza n. 1791/2011), l’art. 24 della 223/1991, che disciplina il licenziamento collettivo per riduzione di personale non in integrazione straordinaria (comma 1) ovvero per cessazione dell’attività di impresa (comma 2), riferisce l’applicazione della procedura di mobilità e delle connesse tutele per i lavoratori ai soli casi di recesso di “imprese che occupino più di quindici dipendenti”; l’interpretazione di quest’ultima disposizione normativa, fornita dalla giurisprudenza di legittimità è nel senso che la sussistenza del prescritto requisito dimensionale non va verificata dando rilievo al numero dei dipendenti esistenti al momento del licenziamento (che potrebbe essere inferiore ai sedici richiesti dalla legge), ma avendo riguardo ad un arco di tempo più ampio – precisamente un semestre – valutato retroattivamente rispetto a tale momento e applicando un criterio di media, in analogia con quanto espressamente stabilito dall’art. 1, comma 1, ai fini dell’intervento di cassa integrazione guadagni straordinaria (cfr. Cass. n. 12592 del 1999, n. 13796 del 1999); pertanto, quanto alla individuazione del semestre “rilevante” ai fini indicati dal ripetuto art. 24, occorre fare riferimento alle indicazioni fornite dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 1, che espressamente impone di considerare il semestre precedente la data di presentazione della richiesta di cui al comma secondo (la richiesta, cioè, di intervento straordinario di integrazione salariale); di talché, il semestre in questione va calcolato a ritroso dalla data di intimazione dei licenziamenti per cessazione di attività e, perciò, comprendendovi anche il mese nel quale è intervenuto il recesso dell’impresa datrice di lavoro;
per le esposte assorbenti ragioni di diritto il ricorso va accolto, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata per una nuova deliberazione al giudice indicato in dispositivo; il quale provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
in considerazione dell’esito del giudizio non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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