CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 dicembre 2018, n. 32683
Tributi – IVA – Importazioni – Regime sospensivo del deposito fiscale – Utilizzo con immissione solo virtuale della merce in deposito – Irregolarità dell’operazione commerciale – Applicazione sanzioni
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro la G.I. srl, in fallimento, impugnando la sentenza resa dalla CTR Puglia, indicata in epigrafe, che ha respinto l’appello dell’ufficio, confermando la pronunzia di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso per la ripresa di IVA all’importazione non versata dalla società contribuente che aveva indebitamente fruito della sospensione del pagamento dell’IVA in relazione all’indebito utilizzo del meccanismo previsto per il deposito fiscale IVA dall’art. 50-bis D.L. n. 331/1993.
La parte intimata non si è costituita.
Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente, è destituito di fondamento.
La CTR, nel rigettare l’impugnazione dell’Ufficio volta a sostenere l’erroneità della pronunzia di primo grado in ragione della mancata dimostrazione da parte della società dei presupposti per fruire del regime sospensivo dell’IVA all’importazione, ha per l’un verso affermato la tardività della questione relativa all’effettiva sussistenza dei servizi sollevata dall’ufficio, nel merito ritenendo provata la sussistenza dei presupposti per riconoscere il detto regime sospensivo. Tanto esclude di potere ritenere fondato il dedotto vizio di motivazione apparente, ricorrente solo nell’ipotesi in cui la pronunzia non risponda al c.d. minimo costituzionale, nel caso di specie invece ravvisabile – Cass.S.U. n. 8053/2014.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dall’avere l’Agenzia contestato fin dal primo grado di giudizio, la mancata dimostrazione da parte della società dei presupposti per fruire del regime sospensivo dell’IVA all’importazione – e precisamente l’effettiva prestazione di servizi di cui alla lett. h) dell’art. 50 bis d.l. n. 331/1993 – è inammissibile. Tale censura, invero, involge un eventuale errore su un fatto nel quale sarebbe incorso il giudice di merito che avrebbe dovuto essere prospettato con il mezzo della revocazione e non con il vizio di omesso esame di un fatto di cui all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., una volta che la CTR ha espressamente escluso la proposizione di tale eccezione in primo grado.
Il terzo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la violazione dell’art. 50 bis c. 5 d.l. n. 331/1993, conv. nella l. n. 427/1993 e dell’art. 70 dPR n. 633/1972, in quanto la CTR, pur riconoscendo la possibilità di fruire del regime connesso all’utilizzazione del deposito fiscale anche solo in caso di deposito virtuale, non avrebbe comunque considerato la debenza delle sanzioni connesse all’irregolarità dell’operazione commerciale, alla stregua dei principi espressi dalla Corte di giustizia con la sentenza Equoland – in causa C-272/13 – è fondato.
Vanno richiamati, sul punto, i principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 17814/2015. In tale occasione si è precisato che ‘… Nella stessa occasione la Corte[EU], esaminando gli altri quesiti posti dal giudice a quo, ha esaminato gli effetti dell’assolvimento dell’IVA all’atto dell’estrazione della merce sul mancato versamento dell’IVA all’importazione sulle merce solo virtualmente inserita nei depositi IVA. Si è dunque ritenuto che il meccanismo del c.d.reverse charge non ha valore formale o fittizio, ma costituisce reale assolvimento dell’IVA-p.37 sent. Equoland. Ne consegue che il sistema dell’autofatturazione è in grado di determinare l’assolvimento dell’IVA all’importazione quando lo stesso non è preordinato ad una frode-p.39 sent.Equoland. 6.5 La stessa sentenza non ha mancato di rilevare che la violazione del sistema di versamento dell’IVA realizzata dall’importatore per effetto della immissione solo virtuale della merce integra una violazione formale-p.29 – che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo-p.39 sent.cit.. La Corte, dopo avere chiarito che in assenza di tentativo di frode o evasione “…la parte della sanzione consistente nel richiedere un nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto a detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’IVA.-p.43 sent.Equoland-“, ha quindi precisato che rispetto alla parte della sanzione consistente in una maggiorazione dell’imposta secondo una percentuale forfettaria, “… una siffatta modalità di determinazione dell’importo della sanzione – senza che sussista una possibilità di gradazione del medesimo – può eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione (v., in tal senso, sentenza Redlihs, EU:C:2012:497, punti 45 e da 50 a 52).”-v.p.44.
Si è poi aggiunto che nel caso esaminato “…in considerazione dell’entità della percentuale fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa nazionale e dell’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata” – v. p.45- . 6.7 In definitiva, secondo la Corte spetta unicamente al giudice del rinvio la valutazione finale del carattere proporzionato della sanzione” v.p.48 sent.Equoland.
Ai fini del test di proporzionalità la Corte ha chiarito che la determinazione in misura fissa della sanzione potrebbe non rispettare il principio anzidetto, avuto riguardo alla natura “formale” della violazione – e alla possibilità che il solo pagamento degli interessi moratori potrebbe costituire sanzione adeguata almeno per i casi in cui in cui non era finalizzato all’evasione – p.46 sent.Equoland: “…il versamento di interessi moratori può costituire una sanzione adeguata in caso di violazione di un obbligo formale, purché non ecceda quanto necessario al conseguimento degli obiettivi perseguiti, consistenti nel garantire l’esatta riscossione dell’IVA e nell’evitare l’evasione…” – e sempre che l’importo degli interessi moratori non corrisponda all’importo del tributo detraibile.
Fatte le superiori necessarie premesse e passando all’esame della censura proposta dall’Agenzia reputa il Collegio che, ad onta di quanto sostenuto dalla CTR, la sanzione applicabile all’importatore che si avvale del sistema di sospensione del versamento dell’Imposta sul valore aggiunto all’importazione senza immettere materialmente nel deposito IVA la merce extra UE va individuata nel paradigma normativo di cui all’ art. 13 d.lgs. n. 472/1997, a nulla rilevando il contenuto precettivo dell’art. 70 dPR n. 633/1972.
La sentenza impugnata, nell’accogliere integralmente il ricorso della contribuente, ha dunque tralasciato di considerare che in caso di utilizzo del deposito fiscale ai fini IVA con immissione solo virtuale della merce in deposito, non viene meno l’applicazione del sistema sanzionatorio per l’irregolare utilizzo del deposito stesso, che andrà declinata secondo i principi espressi dalla sentenza Equoland già ricordata.
Sulla base di tali considerazioni e in accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettato il primo ed inammissibile il secondo la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Puglia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettando il primo e inammissibile il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Puglia.
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