CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 32965
Immobili – Nuda proprietà – Accertamento – Rettifica valore dichiarato – Istanza di rimborso
Svolgimento del processo
Il 17 giugno 1983 la V. sas, in seguito al decesso di E.F., ha presentato denuncia di riunione di usufrutto alla nuda proprietà, dichiarando il valore degli immobili in misura pari a £ 25.200.000.
L’11 maggio 1985 l’A. srl, che aveva incorporato la summenzionata società, ha presentato denuncia rettificativa della precedente, elevando il valore degli immobili a £ 500.000.000 e versando l’imposta dovuta.
L’Amministrazione finanziaria ha successivamente instaurato un giudizio di congruità che ha accertato in £ 2.221.000.000 il valore del bene.
Il 9 luglio 1985 l’A. srl ha impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Pordenone l’avviso di accertamento fondato sul nuovo valore determinato per poi richiedere, in data 9 maggio 1986, il rimborso dell’imposta pagata con la denuncia rettificativa dell’11 maggio 1985.
Il 10 ottobre 1986 l’A. srl ha impugnato il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alla citata istanza di rimborso.
La Commissione tributaria provinciale di Pordenone, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1370 del 1987, ha accolto la richiesta di rimborso ed annullato l’avviso di accertamento.
L’Amministrazione finanziaria ha proposto appello.
La Commissione tributaria di II grado di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con decisione n. 277 del 1990, ha respinto l’appello.
L’Amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza.
La Commissione tributaria centrale di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 15/01/2012, ha rigettato il gravame.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
L’A. srl ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con un unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 80 del d.P.R. n. 131 del 1986 poiché la Commissione tributaria regionale di Trieste avrebbe errato nel ritenere che il summenzionato articolo si riferisse, nel consentire il rimborso delle imposte già pagate per la consolidazione dell’usufrutto, a qualunque tipologia di contenzioso instaurata in ordine all’imposta in questione e non solo alla domanda di rimborso ed al relativo ricorso.
Preliminarmente si rileva che l’abrogato articolo 21 del R.D. n. 3269 del 1923 prevedeva il pagamento dell’imposta di registro per la consolidazione dell’usufrutto alla nuda proprietà.
La giurisprudenza (Cass., Sez. 1, n. 786 del 5 febbraio 1985) aveva affermato che l’imposta di registro sorgeva con lo stesso trasferimento della nuda proprietà, anche se era esigibile all’atto della consolidazione, per cui, pur se questa si verificava nel vigore del novellato T.U. sull’imposta di registro di cui al d.P.R. n. 634 del 1972, che non imponeva più tale tributo, comunque doveva pagarsi l’imposta per il recupero della piena proprietà conseguente all’estinzione del diritto reale limitato, dovendosi solo esigere un credito di imposta, sorto nel vigore del R.D. previgente.
Pertanto, con l’articolo 6 del d.l. n. 2 del 1986 si è sancito che l’imposta di registro si applicava solo alle consolidazioni avvenute prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 634 del 1972, così superandosi la richiamata giurisprudenza della Cassazione ed escludendosi l’esazione di ogni tributo per le consolidazioni posteriori al 1° gennaio 1973.
All’articolo 1 della legge n. 60 del 1986 di conversione del citato d.l. si precisava che non si aveva diritto al rimborso delle imposte già pagate “salvo i casi in cui ai 20 novembre 1985 risultasse presentato il ricorso”.
Oggetto del contendere è proprio l’accertamento del significato dell’inciso “salvo i casi in cui al 20 novembre 1985 risultasse presentato il ricorso”.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’espressione de qua significa soltanto che, per evitare l’irripetibilità di quanto pagato, deve essere stato tempestivamente e ritualmente instaurato un giudizio tributario. La norma, quindi, esime dal versamento del tributo le situazioni verificatesi successivamente alla sua entrata in vigore. Per le imposte già versate, il diritto al rimborso sorge esclusivamente se sia stato iniziato un giudizio tributario al 20 novembre 1985 e sempre che lo stesso, a detta data o successivamente, non risulti definito da sentenza passata in giudicato che abbia affermato la debenza delle imposte che si domandano in restituzione (Cass., Sez. 1, n. 4923 del 21 maggio 1999; Cass., Sez. 1, n. 6414 del 25 giugno 1990).
Le disposizioni in esame vanno lette, perciò, in coordinamento con quelle sul giudicato formale (articolo 324 c.p.c.) e sostanziale (articolo 2909 c.c.).
Al riguardo, è stato di recente affermato che, in tema di imposta di registro, ove la consolidazione dell’usufrutto sia posteriore all’entrata in vigore del d.P.R. n. 634 del 1972, pur essendo stata la nuda proprietà acquistata in epoca anteriore, la normativa introdotta con l’articolo 6 della legge n. 60 del 1986, che ha convertito con modificazioni il d.l. n. 2 del 1986, e poi ribadita con l’articolo 80, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986 esclude l’applicabilità dell’imposta, riconoscendo il diritto al rimborso, purché entro la data del 20 novembre 1985 risulti presentato il ricorso avverso l’avviso di liquidazione che non sia, pertanto, divenuto definitivo per omessa impugnazione, risultando, in tale ultima ipotesi, insufficiente il ricorso avverso il diniego di rimborso (Cass., Sez. 5, n. 6165 del 10 marzo 2017).
Occorre valutare, dunque, se, per il rapporto tributario con riguardo al quale è chiesto il rimborso dell’imposta di registro, si sia formato il giudicato e, quindi, se venga in rilievo o meno una vicenda ancora oggetto di contenzioso, alla quale applicare la nuova normativa.
Nella specie, deve osservarsi che, dopo la denuncia rettificativa presentata dalla società controricorrente l’11 maggio 1985, con la quale essa aveva elevato il valore degli immobili e versato in autotassazione l’imposta dovuta, l’Amministrazione finanziaria ha instaurato un giudizio di congruità che ha determinato in £ 2.221.000.000 il suddetto valore, con conseguente avviso di accertamento sullo stesso fondato, e ha condotto all’impugnazione del 9 luglio 1985 della l’A. srl.
La richiesta di rimborso avanzata dalla società controricorrente, però, non si ricollega alle risultanze del giudizio di congruità (per il quale è stata dichiarata cessata la materia del contendere), ma riguarda la restituzione di quanto corrisposto spontaneamente dalla società in un’epoca in cui l’imposta pagata in autotassazione era esigibile.
Pertanto, non può ritenersi, alla stregua della giurisprudenza citata, che, in ordine al rapporto tributario per il quale è domandato il rimborso, l’accertamento fosse ancora in contestazione, essendo, al contrario, divenuto definitivo perché effettuato volontariamente e, comunque, mai impugnato prima della data del 20 novembre 1985, considerato che l’istanza di rimborso è del 9 maggio 1986.
Il motivo è, perciò, fondato.
2. Il ricorso va, quindi, accolto e la sentenza cassata.
Sussistono i presupposti per decidere ex articolo 384 c.p.c. la causa nel merito, non essendo necessari accertamenti in fatto.
Infatti, dagli atti di causa emerge che l’unica questione ancora da accertare concerne proprio la spettanza del rimborso con riferimento al quale, peraltro, si deve ritenere che non sussista il diritto vantato dalla società controricorrente.
Ne consegue il rigetto della domanda di rimborso della A. srl.
3. Le spese di lite di tutti i gradi di giudizio sono compensate ex articolo 92 c.p.c. alla luce della novità della questione.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di rimborso proposta in primo grado dalla A. srl;
– compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.
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