CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2019, n. 142
Licenziamento – Processo di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale – Procedura per l’autorizzazione della cassa integrazione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 187 pubblicata il 28.4.2014, ha confermato la sentenza di primo grado di condanna della L. s.p.a. al pagamento in favore del sig. B. F. dell’indennità di cui all’Accordo Interconfederale del 27.4.1995, che ha rideterminato, riformando parzialmente sul punto la pronuncia del Tribunale, nella somma di euro 213.285,00;
2. la Corte territoriale, richiamando, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza n. 587 del 15.11.13 pronunciata dalla medesima Corte d’appello su una fattispecie analoga, ha ritenuto il licenziamento quale conseguenza dell’unitario processo di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale avviato nel gennaio 2012, contestualmente all’ingresso della A. s.r.l. nel gruppo facente capo alla Cartiera L. s.p.a. (la cui denominazione era poi mutata in L. s.p.a.) e necessitato dalle pesanti perdite registrate dalla A. s.r.l. per due anni consecutivi;
3. ha sostenuto come tale processo si fosse concretizzato, da un lato, nella avocazione alla capogruppo delle funzioni dirigenziali, con contestuale licenziamento di tre dirigenti in servizio presso la A. s.r.l.; dall’altro lato, nella richiesta di cassa integrazione per 48 lavoratori, di cui 28 addetti alla sede amministrativa e legale di Genova e 20 addetti allo stabilimento di Castelnuovo di Garfagnana;
4. ha ritenuto come tale ricostruzione trovasse supporto documentale nel contratto di servizi stipulato fra la capogruppo e A. s.r.l. e nella lettera del 23.5.2012 di comunicazione del ricorso alla C.i.g.s. in cui era esplicitato come “gli uffici amministrativi e direzionali della Società hanno un numero di posizioni organizzative e di dipendenti sovradimensionato rispetto all’effettivo fabbisogno aziendale”;
5. il processo di ristrutturazione e riorganizzazione doveva condurre, secondo quanto ricostruito nella sentenza impugnata, all’obiettivo unitario di realizzare una fusione delle due imprese, a cui era funzionale la previa eliminazione del personale dirigente e dei servizi amministrativi e direzionali della A. s.r.l. che rappresentavano un doppione rispetto all’organigramma della capogruppo;
6. lo sfasamento temporale tra il licenziamento del sig. B. (13.2.2012) e la procedura per la autorizzazione della cassa integrazione (sottoscrizione del verbale di accordo presso il Ministero del Lavoro il 27.6.12; collocazione in Cigs dal 2.7.12), spiegabile in ragione della diversità degli strumenti legali adoperati (contratto di servizio e ricorso alla C.i.g.s.), non smentiva l’unicità del progetto riorganizzativo;
7. l’accesso alla C.i.g.s., condizionato all’elaborazione di un piano di ristrutturazione globale dell’assetto societario, per cui era necessaria l’individuazione delle professionalità da conservare e di quelle in esubero, aveva richiesto tempi più lunghi;
8. dalla accertata unitarietà del processo di riorganizzazione e ristrutturazione, la Corte territoriale ha fatto discendere il diritto del sig. B. al pagamento dell’indennità di cui all’Accordo Interconfederale del 27.4.1995, attribuendo rilievo essenziale al fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro del predetto trovasse di fatto causa in una delle fattispecie contemplate dall’Accordo medesimo, a prescindere dai motivi in concreto addotti dal datore;
9. ha sostenuto che se fosse preclusa una indagine sulle effettive ragioni del licenziamento, si finirebbe per attribuire all’arbitrio del datore di lavoro l’applicabilità dell’Accordo Interconfederale e degli obblighi dallo stesso posti nel contemperamento degli interessi delle parti, in contrasto con la ratio dell’Accordo di garantire un sostentamento economico al personale dirigente estromesso dall’azienda in forza di radicali riassetti strutturali, a cui non spetterebbe l’indennità supplementare di cui all’art. 19 c.c.n.I. e neanche la C.i.g.s. riservata, in ragione proprio dei processi riorganizzativi, al restante personale;
10. inoltre, secondo la Corte di merito, l’asseverazione ministeriale, necessaria al perfezionamento della fattispecie legale, non deve necessariamente precedere il licenziamento, richiedendo l’Accordo unicamente radicali mutamenti dell’assetto aziendale di cui alle fattispecie giuridiche specificamente individuate attraverso richiami alle fonti legislative, che abbiano ottenuto il riconoscimento di un organo tecnico qualificato;
11. in sostanza, i processi di riorganizzazione e ristrutturazione, già esistenti all’atto del licenziamento, hanno valore costitutivo del diritto del dirigente all’indennità che le parti dell’Accordo hanno condizionato all’asseverazione ministeriale, di contenuto ricognitivo della situazione fattuale; ciò si ricava anche dal tenore letterale della clausola pattizia che fa riferimento a “specifiche fattispecie di ristrutturazione, riconversione e crisi riconosciute con il decreto del Ministero del Lavoro … nonché alle situazioni aziendali accertate dal Ministero del Lavoro”;
12. la Corte di merito ha rideterminato l’importo dell’indennità rilevando come il parametro utilizzato dall’accordo collettivo, riferito all’indennità sostitutiva del preavviso, dovesse essere diviso per 12 in quanto quest’ultima voce era corrisposta in ragione della retribuzione globale di fatto, come tale comprensiva della tredicesima e quattordicesima mensilità;
13. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la L. s.p.a., affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, il lavoratore.
Considerato che
14. col primo motivo di ricorso la L. s.p.a. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’Accordo Interconfederale del 27.4.1995, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.;
15. ha sostenuto come, in base al tenore letterale della norma contrattuale e alla dichiarazione a verbale delle parti stipulanti l’Accordo, l’asseverazione ministeriale dovesse precedere il licenziamento, come confermato dalle sentenze di legittimità n. 16498 del 2009 e n. 21444 del 2013;
16. la sentenza di appello, dando un’interpretazione estensiva, avrebbe violato i più basilari canoni interpretativi e l’Accordo medesimo;
17. col secondo motivo di ricorso la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’Accordo Interconfederale del 27.4.1995 in relazione all’art. 1362 c.c.;
18. ha sostento come le parti stipulanti avessero individuato in modo tassativo i requisiti per l’indennità in oggetto e cristallizzato la loro volontà attraverso la nota a verbale e come la Corte territoriale, interpretando la clausola in contrasto con la volontà delle parti, avesse violato l’art. 1362 c.c.;
19. col terzo motivo, la società ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.;
20. ha affermato come la clausola pattizia tenda a fornire all’azienda e al dirigente una alternativa al contenzioso, che quindi l’azienda può offrire l’indennità facendo riferimento ad una delle ipotesi tassativamente indicate così come il dirigente può accettarla o rifiutarla, e in quest’ultimo caso agire per ottenere l’indennità supplementare. Ha aggiunto come in questo quadro è logico che l’azienda sia libera di utilizzare o meno la norma in questione, citando le specifiche e tassative fattispecie ivi previste o non facendo riferimento alle stesse;
21. col quarto motivo di ricorso la L. s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’Accordo Interconfederale 27.4.1995, in relazione alla L. n. 223 del 1991 e al D.P.R. n. 218 del 2000;
22. ha censurato la sentenza per aver erroneamente attribuito al provvedimento di concessione della C.i.g.s. valore ricognitivo anziché costitutivo. Ha argomentato come proprio la natura costitutiva del provvedimento impedisce di considerare giuridicamente sussistenti, per i periodi antecedenti alla concessione, i presupposti dallo stesso asseverati. Che, inoltre, la efficacia retroattiva del provvedimento di concessione della C.i.g.s. (nel caso di specie asseverazione del 27.2.13) non può mai andare oltre il momento di presentazione della richiesta di esame congiunto con cui si apre la procedura, nel caso di specie datata 23.5.12, mentre il licenziamento in oggetto risaliva al 13.2.12;
23. col quinto motivo di ricorso la società ha censurato la sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.;
24. ha sottolineato come la sentenza avesse omesso di considerare un fatto essenziale, cioè il mancato avvio, al momento del licenziamento del sig. B., della procedura per l’autorizzazione della C.i.g.s.. Ha aggiunto come la sentenza avesse peraltro omesso qualsiasi motivazione su come una situazione di generica crisi potesse essere considerata di per sé rientrante nell’Accordo;
25. a parere della società ricorrente, ove anche si ritenesse non necessaria l’esistenza dell’asseverazione ministeriale al momento del licenziamento, non potrebbe tuttavia prescindersi dall’avvio, alla data suddetta, della procedura per l’autorizzazione della C.i.g.s.;
26. i primi quattro motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti relativi all’interpretazione dell’Accordo interconfederale del 27.4.95 (riprodotto col ricorso in cassazione) e sono infondati, richiamandosi le motivazioni di cui alla sentenza di questa Corte n. 23039 del 2017, resa su fattispecie analoga;
27. l’Accordo interconfederale prevede che “in presenza delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale di cui alla legge 23 luglio 1991 n. 223, riconosciute con il decreto del Ministero del lavoro di cui all’art. 1, comma tre, della legge 19 luglio 1994 n. 451, nonché delle situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi dell’art. 1 della legge 19 dicembre 1984 n. 863, l’azienda che risolve il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato”;
28. la sentenza d’appello ha accertato, in fatto, come il licenziamento del sig. a B. fosse conseguenza “dell’unitario processo di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale avviato da A. s.r.l. a far data dal gennaio 2012 … e concretizzato, da un lato, nella avocazione alla capo gruppo delle funzioni dirigenziali con contestuale licenziamento di tre dirigenti in servizio presso la sede di A. s.r.l., dall’altro nella messa in cassa integrazione di complessivi 48 lavoratori”;
29. ha desunto l’esistenza di un unico processo riorganizzativo dal contratto di servizi concluso l’1.3.12 tra A. s.r.l. e la capogruppo, per effetto del quale venivano accorpate in capo a quest’ultima le funzioni dirigenziali, eliminando le relative duplicazioni ed i connessi costi; inoltre, dal contenuto della lettera di comunicazione del ricorso alla C.i.g.s. del 23.5.12, che descriveva la condizione degli uffici amministrativi e direzionali di A. s.r.l. come sovradimensionata, con conseguente esigenza di eliminare le sovrapposizioni, anche attraverso la centralizzazione presso la capogruppo, a costi ridotti, di una serie di compiti e servizi;
30. la Corte di merito ha inoltre argomentato come la stessa società, nella memoria difensiva in primo grado, avesse descritto il licenziamento del sig. B. e degli altri due dirigenti come “il punto di partenza di un progetto più ampio che, dopo il licenziamento del ricorrente, ha prodotto … il ricorso alla cassa integrazione guadagni”;
31. sulla base di tale ricostruzione in fatto, la Corte di merito ha ritenuto applicabile alla fattispecie in esame l’Accordo interconfederale del 27.4.95 secondo un’interpretazione del tutto coerente al dato letterale e logico della previsione contrattuale e conforme ai precedenti di legittimità;
32. questa Corte infatti (Cass. n. 12628 del 2000; Cass. n. 5371 del 1998, sentenze richiamate nella pronuncia impugnata) ha più volte statuito (seppure con riferimento all’Accordo interconfederale 16.5.85, testo sovrapponibile sia a quello precedente del 13.4.81 e sia a quelli successivi del 3.10.89 e del 27.4.95) che “il riferimento alle situazioni specificamente previste non deve necessariamente aver luogo con l’uso di formule sacramentali ma può sussistere nel caso in cui la soppressione del posto di lavoro rappresenti la naturale e diretta conseguenza della cessazione di ogni attività produttiva o dovuta alla riconosciuta crisi aziendale” Ha poi aggiunto: “Vero è che, in base all’accordo, è necessario che l’azienda motivi il recesso con riferimento alle situazioni indicate dalla legge e quindi alla situazione di crisi aziendale mentre l’odierna controricorrente ha fatto riferimento alla circostanza che l’attività di preventivazione era divenuta “irrisoria” al punto di non giustificare una posizione di dirigente, con ingenti oneri per la datrice di lavoro “che trovasi in amministrazione straordinaria, senza commesse e in grave carenza di liquidità”, ma non è possibile prendere atto sic et simpliciter del dato letterale, per vero sfuggente e non univoco, senza verificare se in realtà la soppressione della posizione di lavoro non sia una conseguenza automatica della crisi aziendale.
Ed invero se fosse preclusa un’indagine in ordine alle effettive ragioni del licenziamento, al di là della formulazione letterale adottata, il contemperamento degli interessi realizzato dall’accordo sarebbe rimesso al mero arbitrio del datore di lavoro il quale potrebbe a suo piacimento sottrarsi agli obblighi posti a suo carico dal menzionato accordo, con la mera dichiarazione che il licenziamento è dovuto alla cessazione di una unità produttiva e non piuttosto alla situazione di crisi aziendale che comportava la contrazione dell’attività produttiva per mancanza di commesse”;
33. né in senso contrario depongono le sentenze di legittimità richiamate nel ricorso in esame. La n. 21444 del 2013 ribadisce i medesimi principi appena enunciati, richiama espressamente i precedenti n. 12628 del del 2000 e n. 5371 del 1998 e l’esigenza di avere riguardo alle “effettive ragioni del recesso, in caso contrario rimettendosi il contemperamento degli interessi realizzato dalle parti sociali al mero arbitrio del datore di lavoro che potrebbe attrarre a suo piacimento il licenziamento nell’ambito della disciplina generale dei licenziamenti”. È vero che nella fattispecie oggetto della sentenza n. 21444 del 2013 il licenziamento del dirigente era avvenuto in epoca successiva al decreto di concessione del trattamento straordinario di cassa integrazione ma ciò che rileva, sul piano del diritto, è l’effettiva ragione del recesso e il nesso di derivazione causale dello stesso rispetto alle fattispecie giuridiche, di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, individuate dall’Accordo interconfederale, al di là della motivazione formalmente adottata o da parte datoriale;
34. anche l’altra sentenza (Cass. n. 16498 del 2009) richiamata nel ricorso in esame, non contraddice la tesi accolta dalla Corte di merito. La pronuncia del 2009 ha tracciato la linea di demarcazione tra l’art. 19 del c.c.n.I. Dirigenti e l’Accordo interconfederale del 27.4.95 e, riguardo a quest’ultimo, ha rilevato come esso faccia riferimento “a casi speciali, ai casi cioè in cui l’assetto aziendale, per le varie causali indicate, viene così radicalmente modificato da coinvolgere una pluralità di dirigenti della stessa impresa, con conseguente necessità di sopperire alle relative emergenze occupazionali, giacché, come è noto, i dirigenti non rientrano nell’ambito di operatività né della cassa integrazione né dell’indennità di mobilità…”. La sentenza n. 16498 ha focalizzato l’attenzione non sulle motivazioni formalmente addotte a base del licenziamento bensì sul duplice aspetto della effettività della ristrutturazione, riorganizzazione o crisi aziendale, che deve essere non solo allegata ma anche asseverata dal Ministero, e del coinvolgimento in tale ristrutturazione di una pluralità di appartenenti al personale dirigenziale, quale indizio del diretto legame del licenziamento dei dirigenti al fenomeno generatore delle emergenze occupazionali;
35. in tale contesto giurisprudenziale, la Corte di merito ha correttamente superato il dato formale della esplicita motivazione del licenziamento come riferito o meno alle fattispecie contemplate dall’Accordo 27.4.95, indagando sulla effettiva causale dello stesso; ha del pari correttamente ritenuto irrilevante la posteriorità, rispetto a tale licenziamento, della verifica operata dal Ministero del lavoro sulla effettività della crisi aziendale e delle connesse esigenze di riorganizzazione, idonea comunque a confermare la causale del recesso come ricostruita;
36. sulla base dell’accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità, l’interpretazione e l’applicazione dell’Accordo interconfederale, come effettuate nella sentenza impugnata, si sottraggono a tutte le censure di violazione di legge formulate dalla società ricorrente;
37. ai fini dell’Accordo 27.4.95, deve ritenersi sufficiente che il licenziamento del dirigente abbia causa concreta nella riorganizzazione, ristrutturazione o crisi aziendale, anche se asseverate dal Ministero del Lavoro in data successiva nell’ambito della procedura per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria;
38. non è necessario che la motivazione del licenziamento del dirigente faccia esplicito riferimento alle fattispecie indicate nell’Accordo medesimo perché in tal modo di rimetterebbe nelle mani del datore di lavoro la scelta della operatività dell’Accordo, in contrasto con la finalità e la ratio dello stesso che è quella di far fronte alla perdita del posto di lavoro dei dirigenti che, in ipotesi di crisi aziendale legittimante il ricorso alla C.i.g.s., ricevono tutela non dallo Stato o dall’ente previdenziale, bensì dal datore attraverso l’indennità in oggetto;
39. quanto all’ulteriore rilievo della società ricorrente sulla natura del decreto di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria, non vi è dubbio che tale provvedimento abbia valore costitutivo del diritto dei lavoratori all’integrazione salariale ma altra cosa è la portata ricognitiva che il medesimo decreto ministeriale assume riguardo alla situazione di crisi o di riorganizzazione che necessariamente preesiste ad esso, e in tal senso depone l’uso del verbo “riconosciute”, che suggerisce l’asseverazione ex post di situazioni preesistenti;
40. infondato è anche il quinto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., applicabile alla fattispecie in esame nella nuova formulazione introdotta nel 2012;
41. nel caso di specie, deve anzitutto escludersi l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, come dedotto dalla società ricorrente, atteso che la Corte d’appello ha tenuto conto della sequenza temporale e, specificamente, del fatto che, al momento del licenziamento del dirigente, la procedura per ottenere la concessione della C.i.g.s. non era ancora iniziata, ed ha fornito una motivazione logica e coerente, sottolineando come “l’asseverazione ministeriale, certo necessaria al perfezionamento della fattispecie legale, non deve necessariamente precedere il licenziamento” e che la stessa “assume valore ricognitivo di una situazione fattuale preesistente e già in atto al momento del licenziamento, e a detta situazione fattuale le parti hanno inteso riconoscere valore costitutivo del diritto, ancorché condizionandolo … all’asseverazione ministeriale”;
42. l’interpretazione data dalla sentenza impugnata non reca con sé il rischio di far retroagire gli effetti del provvedimento di autorizzazione della C.i.g.s. ma comporta soltanto la possibilità di un accertamento ex post della effettività delle riorganizzazioni, ristrutturazioni, crisi aziendali, ritenute quali fattori causali determinanti del licenziamento intimato al dirigente;
43. le considerazioni svolte portano al rigetto del ricorso per infondatezza di tutti i motivi;
44. la regolazione delle spese di lite avviene secondo il criterio di soccombenza, con condanna della società datoriale al pagamento di quanto liquidato in dispositivo;
45. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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