CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 gennaio 2019, n. 356
Tributi – Agevolazioni fiscali – Contratto di apertura di credito con garanzia ipotecaria – Contenzioso tributario
Ritenuto che
1. L’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 18/26 del 18 aprile 2011 con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto, a conferma della decisione della Commissione tributaria provinciale di Treviso, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato a Banca P.V. coop. p. a. ed alla società da questa finanziata, B. s.r.I., in conseguenza della revoca dei benefici dalle stesse fruiti ai sensi degli artt.15 e 17 d.P.R. 601/73, in relazione ad un contratto di apertura di credito con garanzia ipotecaria, regolato su conto corrente acceso con contratto allegato al primo affinché ne formasse parte integrante e sostanziale.
Le contribuenti si sono costituite in giudizio con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in quanto la CTR ha ritenuto spettante l’agevolazione per il fatto che il contratto di finanziamento non prevedeva alcuna facoltà di recesso ad nutum a favore della banca, ma non ha considerato che a detto contratto era allegato, affinché ne formasse parte integrante e sostanziale, quello di conto corrente, il cui art. 13 riconosceva ad ognuna delle parti il diritto di esigere l’immediato pagamento di quanto dovuto nonché di recedere dal contratto medesimo con il preavviso di un giorno.
2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., lamentando che sia stato riconosciuto il diritto al pagamento dell’imposta sostitutiva, in luogo delle ordinarie imposte di registro, bollo ed ipotecarie, nonostante che l’operazione, unitariamente considerata, fosse connotata, in forza della clausola contenuta nel contratto di conto corrente, dalla facoltà di recesso ad nutum della banca, e dunque non prevedesse una durata minima del finanziamento di 18 mesi, richiesta dall’ultimo comma dell’articolo 15 d.P.R. 601/73 per usufruire dei benefici fiscali sulle operazioni di credito a medio e lungo termine.
3. I motivi, che sono fra loro strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili perché non censurano adeguatamente la ratio decidendi sulla quale si fonda la sentenza impugnata. La CTR ha infatti ritenuto che la clausola di recesso ad nutum del c/c non si estendesse al finanziamento (per il quale era stata stabilita dalle parti una durata minima superiore ai 18 mesi, senza facoltà di recesso) in quanto il contratto in questione era regolato dalle norme del c/c solo “per tutto quanto in esso non previsto” ed ha espressamente affermato che, in virtù di tale specifica previsione negoziale, l’eventuale risoluzione del c/c non avrebbe potuto interferire sulla durata del finanziamento.
Ora, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di interpretazione dei contratti, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata, ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 19507 del 16/09/2014; Cass. n. 9054 del 15/04/2013 ).
La ricorrente si è invece limitata a dedurre (del tutto infondatamente) che i giudici di appello non avrebbero considerato che il contratto di c/c costituiva parte integrante di quello di apertura di credito, ma non ha censurato specificamente l’affermazione della CTR secondo cui l’inciso “per tutto quanto in esso non previsto” valeva a mantenere ferma la clausola del finanziamento impeditiva del recesso prima dei 18 mesi.
I motivi si risolvono pertanto nella richiesta di un nuovo sindacato di merito sulla decisione, ma non la contrastano mediante la precisa indicazione dei canoni ermeneutici violati dal giudice d’appello o delle ragioni per le quali la motivazione censurata risulterebbe palesemente illogica e/o inadeguata.
4. Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, in euro 1.400,00, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
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