CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2019, n. 3400
Tributi – IRPEF – Corrispettivo di cessione di studio professionale – Concorrenza alla formazione del reddito di lavoro autonomo professionale – Legittimità
Ritenuto che
1. con sentenza n. 5/20/11 la Commissione Tributaria Provinciale di Torino rigettava il ricorso proposto da L. S. avverso gli avvisi di accertamento e la cartella esattoriale emessi nei suoi confronti per l’omessa dichiarazione fra i redditi diversi, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. I), del d.P.R. n. 917 del 1986, dei corrispettivi da lei ricavati negli anni 2002/2006 dalla cessione della sua attività professionale;
2. la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con sentenza n. 30/26/13, depositata il 26/3/2013, dichiarata definita la lite fiscale in relazione alle altre annualità, ha, per ciò che in questa sede ancora interessa, respinto l’appello della contribuente in relazione all’annualità 2005;
3. il giudice ha affermato che in base alle clausole del contratto oggetto di accertamento – che prevedevano l’obbligo della cedente di svolgere attività per il mantenimento della clientela, l’attribuzione di un valore al portafoglio clienti, il divieto di concorrenza, la cessione di un complesso di beni idoneo allo svolgimento dell’attività – dovevano ritenersi sussistenti i presupposti per configurare un trasferimento di attività professionale svolta in forma di impresa, che giustificava l’attrazione del corrispettivo nell’ambito dei redditi diversi, e che l’assenza di indicazione distinta dei valori attribuiti ad ogni singolo elemento della cessione costituiva una carenza imputabile alla contribuente;
4. avverso la sentenza di appello L. S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e illustrato da memoria, cui l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. I), del d.P.R. n. 917 del 1986, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta che la CTR abbia incluso fra i redditi diversi i proventi derivanti dalla cessione della sua attività professionale, che ne andavano invece esclusi, come confermato dall’art. 36, comma 29, del d.l. n. 223 del 2006 che, disciplinando per la prima volta la fattispecie, ha inserito i corrispettivi per la cessione della clientela tra i redditi riferibili all’attività professionale, aggiungendo il comma 1 quater all’art. 54 del d.P.R. n. 917 del 1986; osserva inoltre che il giudice ha erroneamente qualificato come reddito diverso l’intero corrispettivo della cessione, senza tener conto che il trasferimento aveva ad oggetto lo studio nel suo complesso, e quindi una pluralità di elementi – quali attrezzature, arredi, procedure, personale – cui non può riconnettersi l’assunzione degli obblighi di fare, non fare o di permettere, solo in presenza dei quali, ai sensi dell’art. 67 lett. I) cit., l’attività di lavoro autonomo può generare detto reddito; sostiene infine l’impossibilità di individuare il ragionamento logico- giuridico posto a fondamento della decisione;
2. con il secondo motivo deduce la violazione a falsa applicazione dell’art. 23 della Cost. per aver la CTR ritenuto tassabile un provento pur in assenza di una disposizione normativa che lo prevedesse;
Osserva che
1. Il primo motivo di ricorso va accolto nei limiti che di seguito si precisano.
1.2 Questa Corte ha già affermato che “anche gli studi professionali possono essere organizzati in forma di azienda, ogni qualvolta al profilo personale dell’attività svolta si affianchino un’organizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e dipendenti ed un’ampiezza di locali adibiti all’attività, tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività professionale del titolare, o quanto meno si pongano, rispetto ad essa, come entità giuridica dotata di una propria rilevanza strutturale e funzionale che, seppure non separata dall’attività del titolare, assuma una rilevanza economica.” (Cass. n. 11896 del 2002; n. 10178 del 2007; n. 2860 del 2010 e già in Cass. n. 5848 del 1979).
Seppure non sia configurabile una prevalenza del momento organizzativo e la persona del professionista rimanga predominante, in base al principio di autonomia negoziale, si è ritenuto validamente stipulato il contratto avente ad oggetto il trasferimento, verso corrispettivo, dello studio professionale ad altro soggetto, intenzionato a proseguire l’attività avvalendosi del complesso dei beni, materiali ed immateriali, appartenenti al proprio dante causa.
In tal caso si verifica un vero e proprio trasferimento dell’attività: accanto agli arredi, al complesso dei beni strumentali e dei rapporti contrattuali di fornitura, l’alienante “cede” per via indiretta, al professionista che subentra, la clientela, nel senso che assume a tal fine obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la stessa attività nello stesso luogo), volti a consentire al successore che ne abbia le qualità di mantenere la clientela, previo conferimento di un nuovo incarico.
Un regime di tassazione specifico per i corrispettivi di tali cessioni è stato introdotto solo dall’art. 36, comma 29, del d.l. n. 223 del 2006, che, nell’inserire il comma 1-quater, all’art. 54 del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al d.P.R. n. 917 del 1986, norma che disciplina il reddito da lavoro autonomo, ha previsto espressamente che “concorrono a formare il reddito (di lavoro autonomo) i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.
In presenza di una cessione avvenuta nel 2005, e quindi non soggetta temporalmente a tale normativa innovativa, l’Agenzia delle Entrate ha egualmente sottoposto a tassazione il provento dell’ operazione economica riconducendolo ad un reddito diverso ex art. 67, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, in quanto “non conseguito nell’esercizio di arti o professioni”, e rientrante nella lett. I) che ricomprende ” i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
La correttezza della motivazione va dunque verificata in riferimento esclusivo a tale disposizione.
L’art. 67 cit., all’incipit del comma 1, esclude in termini generali dalla qualificazione come redditi diversi solo quelli che siano conseguiti nell’esercizio dell’attività professionale, e non tutti quelli che trovino occasione o comunque origine in tale attività, per cui va ritenuto che il provento della cessione dell’attività professionale, in quanto non costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione professionale resa ad un cliente, non rientri nell’ esenzione, e che la norma ben possa essere applicata per sottoporre a tassazione detto provento in presenza delle altre condizioni ivi previste.
Ai sensi della lett. I) suindicata sono, tuttavia, redditi diversi tassabili esclusivamente quelli derivanti dall’assunzione di un obbligo di fare, non fare o permettere, e non, complessivamente, tutti quelli derivanti dalla cessione di attività imprenditoriale in forma di impresa, che ontologicamente ricomprende una pluralità di elementi materiali ed immateriali.
La CTR non ha fatto corretta applicazione della norma in questione laddove, pur avendo accertato che il contratto prevedeva il trasferimento al cessionario non solo della clientela, con i connessi obblighi di fare, non fare o permettere, ma anche il complesso di beni idonei allo svolgimento dell’attività (quali organizzazione, conoscenze, procedure, contratti, personale e comunque il know-how della struttura ceduta) ha ritenuto tassabile l’intero importo ricevuto dalla cedente in corrispettivo, anziché unicamente quello imputabile al trasferimento della clientela, senza chiarire se ricorressero ragioni per ritenere che il valore di detto specifico trasferimento dovesse ritenersi assorbente e prevalente rispetto ad ogni altra componente ceduta.
Contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello, non spettava infatti alla contribuente di specificare il valore contrattualmente attribuito ad ogni singolo elemento oggetto di cessione, atteso che l’onere della prova del presupposto impositivo gravava sull’amministrazione.
D’altro canto, atteso il potere della CTR di provvedere ad una nuova determinazione dell’importo tassabile (cfr. Cass. n. 19750 del 2014; n. 24611 del 2014; n. 26157 del 2013), il valore (più o meno preponderante) attribuito dalle parti alla cessione della clientela rispetto agli altri beni materiali e immateriali ceduti, seppure non espressamente indicato nel contratto, ben poteva essere desunto presuntivamente dall’esame complessivo del testo negoziale.
Per le suesposte considerazioni, assorbito il secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo accertamento, valutando se, ed in quale misura, il corrispettivo pattuito in contratto possa ritenersi imputabile alla cessione della clientela e debba pertanto essere tassato quale “reddito diverso” ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. I) del d.P.R. n. 917 del 1986. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Piemonte in diversa composizione.
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