CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 febbraio 2019, n. 3896
Autista di linea – Sanzioni disciplinari – Art. 42 del c.c.n.I. autoferrotranvieri – Illegittimità
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Milano ha riformato la sentenza del Tribunale di Como ed ha dichiarato illegittime le sanzioni disciplinari (sospensione per cinque giorni dal lavoro e dalla retribuzione ridotti a due dalla sentenza di primo grado) irrogate dalla A.S.F. A. s.r.l. a F. F., P. M., B. T. e P. V., tutti dipendenti della società con la qualifica di operatore di esercizio del c.c.n.I. autoferrotranvieri e mansioni di autista di linea.
2. La Corte territoriale, nel richiamarsi alla giurisprudenza di questa Corte, ha rammentato che esula dai poteri del giudice ridurre la sanzione ritenuta sproporzionata che dunque può solo essere annullata. Ha quindi accertato che la sospensione sino a cinque giorni dal lavoro e dalla retribuzione può essere irrogata, ai sensi dell’art. 42 del c.c.n.I. autoferrotranvieri nel caso di “volontario inadempimento dei doveri d’ufficio o per negligenza la quale abbia apportato danni al servizio o agli interessi dell’azienda”. Ha poi accertato che la condotta contestata ai lavoratori (di non aver effettuato volontariamente, in una giornata lavorativa, sul mezzo condotto, il servizio di controllo e strappo dei biglietti causando un danno all’azienda defraudata dei suoi averi), che non era stata da questi contestata nella sua materialità, doveva essere valutata nell’ambito dell’ aspro conflitto sindacale esistente, nel cui contesto si era manifestato anche un dissenso tra le stesse organizzazioni sindacali, e perciò l’inadempimento, pur volontario, esulava dalla sfera di valutazione dei singoli lavoratori. Ha poi evidenziato che la mansione prevalente cui erano addetti i lavoratori era la guida e che perciò, nell’economia del sinallagma contrattuale, la condotta tenuta non era connotata da una gravità tale da giustificare la misura massima della sanzione applicata.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la ASF Autolinee s.r.l. sulla base di due motivi cui resistono con controricorso F. F., P. M., B. T. e P. V..
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 41 Cost. e degli artt. 2086, 2106 cod. civ. e 36, 112 e 113 cod. proc. civ.. Osserva la società ricorrente che la Corte non avrebbe considerato che nel corso del primo grado di giudizio la società, nel replicare alla domanda riconvenzionale dei lavoratori, che costituendosi nel giudizio avevano chiesto che fosse accertata l’illegittimità delle sanzioni irrogate, aveva chiesto al giudice di procedere ad una diversa e congrua sanzione. Erroneamente, perciò, la Corte, una volta ritenuta sproporzionata la sanzione nella misura massima, non avrebbe confermato, come chiesto sin dal primo grado e disposto dal Tribunale, la minore sanzione individuata dal Tribunale.
5. Con il secondo motivo di ricorso è censurata la sentenza per avere, in violazione dell’art. 2106 cod. civ., 37 all. A R.D. n. 148 del 1931 e dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970 ritenuto applicabile al caso concreto il c.c.n.I. degli autoferrotranvieri invece che il r.d. n. 148 del 1931 che non è stato mai abrogato nella parte relativa ai procedimenti disciplinari.
6. Le censure sono entrambe infondate e devono essere rigettate.
6.1. Questa Corte ha più volte affermato che il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., onde è riservato esclusivamente al titolare di esso. Ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della stessa riducendone la misura (Cass. 16/08/2004 n. 15932, 21/05/2002 n. 7462 e 16/11/2000 n. 14841). Solo nel caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione, è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione minore poiché in tal modo non è sottratta autonomia all’imprenditore e si realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima (cfr. Cass. 13/04/2007 n. 8910).
6.2. Nel caso in esame è la stessa società oggi ricorrente ad aver agito in giudizio per sentir accertare e dichiarare che le sanzioni irrogate erano legittime e solo a seguito della costituzione in giudizio dei lavoratori che in via riconvenzionale ne avevano chiesto, invece, l’annullamento, ha genericamente sollecitato il giudice ad una “valutazione anche diversa della congruità della sanzione rispetto al fatto” ma non ha precisato affatto quale, secondo la sua valutazione sarebbe stata la sanzione irrogabile in via alternativa.
6.3. In tal modo ha demandato al giudice non solo una valutazione discrezionale di proporzionalità tra condotta e sanzione da irrogare ma anche, in concreto, la scelta della misura disciplinare da adottare. Ha sollecitato l’esercizio di quel potere disciplinare che invece è precluso al giudice.
7. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato atteso che la Corte di merito ha attinto al contratto collettivo solo per verificare il contenuto delle mansioni degli operatori di esercizio quale presupposto indefettibile per verificare l’esistenza di una condotta disciplinarmente rilevante.
8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della società soccombente. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 4000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
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