CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2019, n. 4951
Società cooperativa – Trattamento economico – Contratto collettivo nazionale applicabile
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 232 pubblicata il 10.6.2016, in accoglimento dell’appello proposto da C.D. e in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il diritto della predetta (già dipendente della cooperativa II F. e transitata dall’1.1.11, con passaggio diretto, alle dipendenze di S.S.F. soc. coop., aggiudicataria dell’appalto di vigilanza e guardianato presso la M. di La Spezia) ad essere retribuita in ragione delle tariffe salariali contenute nel c.c.n.l. “Pulizie Multiservizi”, livello III, con conseguente diritto alle differenze retributive maturate, anziché in base al c.c.n.l. Portieri e Custodi richiamato nel regolamento della cooperativa.
2. La Corte di merito, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che l’obbligo per la società cooperativa di applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo nazionale del settore o della categoria affine a quella in cui la stessa opera, derivasse dalla legge (art. 3, L. n. 142 del 2001) e non dall’adesione della cooperativa ad una determinata associazione sindacale e che tale obbligo, in quanto posto da una norma imperativa, dovesse prevalere sui diversi accordi eventualmente stipulati con il singolo socio lavoratore.
3. Ha sostenuto che, in base al settore in cui opera S. secondo il suo oggetto sociale (servizi per la conservazione e tutela del patrimonio mobiliare e immobiliare di operatore logistico di controllo degli accessi) e alle prestazioni rese dalla C., la contrattazione collettiva di riferimento non potesse essere il c.c.n.l. Portieri e Custodi, relativo ai rapporti di lavoro dei dipendenti di proprietari di fabbricati, bensì quello per il settore Pulizia Multiservizi, concernente i rapporti di lavoro degli addetti alle pulizie, alla manutenzione, al controllo degli accessi degli immobili e, in generale, ai servizi integrati svolti a favore di terzi da imprese del settore pulizie o altre imprese di servizi.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la S., affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso la sig.ra C..
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la S. ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito adottato una motivazione apparente nel respingere l’eccezione sollevata dalla società riguardo alla inammissibilità del ricorso in appello della sig.ra C..
2. Col secondo motivo la società ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. per non avere la Corte d’appello dichiarato inammissibile il ricorso della C. in quanto privo dei requisiti richiesti dalla disposizione citata, nel testo introdotto dal D.L. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis.
3. Col terzo motivo la società ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 3, L. n. 142 del 2001, 2070 c.c. e dell’art. 39 Cost., per avere la Corte di merito fatto discendere dall’art. 3 citato l’obbligo per parte datoriale di applicare il c.c.n.l. Multiservizi, anziché il c.c.n.l. Portieri e Custodi.
Ha sottolineato come, al contrario, l’art. 3 imponesse alle società cooperative solo di applicare un trattamento economico complessivo “non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine”, lasciando alle stesse la facoltà di scegliere i parametri retributivi anche di categorie affini a quelle in cui la cooperativa medesima opera, come nel caso di specie il c.c.n.l. Portieri e Custodi, applicato da S.. Ha affermato come il c.c.n.l. Portieri e Custodi soddisfacesse il requisito richiesto dall’art. 7, D.L. n. 248 del 2007, in quanto stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria e che semmai, in base all’oggetto sociale della società datoriale e alle mansioni della C., si sarebbe dovuto applicare il c.c.n.l. Servizi Fiduciari stipulato l’8.4.2013.
4. Col quarto motivo S. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. Proprietari di Fabbricati – Aziende di servizi e del c.c.n.l. Multiservizi nonché degli artt. 36 e 39 Cost..
5. In particolare, ha sostenuto come, ai sensi dell’art. 1 del c.c.n.l. Multiservizi, quest’ultimo contratto dovesse trovare applicazione solo in mancanza di altro c.c.n.l. più aderente all’attività effettivamente svolta da una determinata impresa e come le mansioni svolte dalla C. fossero coincidenti con le previsioni dell’art. 17, c.c.n.l. Portieri e Custodi.
6. Col quinto motivo la società ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto applicabile il trattamento previsto dal c.c.n.l. Multiservizi benché la C. non avesse allegato e dimostrato la non attinenza del c.c.n.l. Portieri e Custodi alle mansioni dalla stessa svolte e all’attività di S., nonché l’inidoneità ai fini dell’art. 36 Cost. del trattamento previsto dal citato contratto collettivo.
7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
8. Occorre considerare che al ricorso in esame è applicabile ratione temporis (sentenza d’appello del 2016) il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
9. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato come, per effetto della novella del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione debba intendersi limitato al minimo costituzionale, con la conseguenza che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
10. Si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016). Il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale nell’accoglimento dell’appello della lavoratrice.
11. Inammissibile risulta anche il secondo motivo di ricorso che denuncia la genericità dei motivi di appello senza, tuttavia, trascrivere neanche in parte o per estratto i motivi medesimi (cfr. Cass., S.U., n. 8077 del 2012).
12. Il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto investono, da diversi punti di vista, l’interpretazione e l’applicazione della disciplina dettata sul trattamento economico dei soci lavoratori di cooperativa.
13. Al riguardo sono necessarie alcune premesse.
14. La L. n. 142 del 2001, nell’ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele proprie del lavoro subordinato, ha disposto all’art. 3, comma 1, che: “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”.
15. Sulla stessa linea si colloca la previsione dell’art. 6, comma 2, della medesima legge che, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 9, lett. f), L. n. 30 del 2003, ha stabilito come il rinvio ai contratti collettivi nazionali operasse solo per il “trattamento economico minimo di cui all’articolo 3, comma 1”, escludendo che il regolamento cooperativo potesse contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto a tale trattamento minimo.
16. In questo contesto è intervenuto il D.L. n. 248 del 2007, convertito in L. n. 31 del 2008, che all’art. 7 comma 4 ha previsto: “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito dì applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.
17. Tale previsione, come si legge in Corte Cost. n. 51 del 2015, è stata adottata all’indomani del Protocollo d’intesa, sottoscritto il 10 ottobre 2007 da Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL, in cui il Governo assumeva l’impegno di avviare «ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato, previsti dall’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto dalle associazioni del movimento cooperativo e dalle organizzazioni sindacali per ciascuna parte sociale comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore di riferimento» (punto C). L’obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo è di contestare l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all’art. 36 Cost., secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l’art. 2099 cod. civ.”.
18. L’art. 7 in esame, al pari dell’art. 3, L. n. 142 del 2001, richiama i trattamenti economici complessivi minimi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno e indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo ai criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti dall’art. 36 Cost., di cui si impone l’osservanza anche al lavoro dei soci di cooperative.
19. Il fatto che nel tempo sia stata attribuita alla contrattazione collettiva, nel settore privato e poi anche nel settore pubblico, il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della garanzia costituzionale di cui all’art. 36 Cost., non impedisce al legislatore di intervenire a fissare in modo inderogabile la retribuzione sufficiente, attraverso, ad esempio, la previsione del salario minimo legale, suggerito dall’OIL come politica per garantire una “giusta retribuzione” (ed oggetto dell’art. 1, comma 7, lett. g) delle legge delega n. 183 del 2014, in questa parte rimasta inattuata) oppure, come avvenuto nella materia in esame, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva.
20. L’attuazione per via legislativa dell’art. 36 Cost., nella perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost., non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma l’utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con effetti vincolanti (cfr. Corte Cost. n. 51 del 2015).
21. L’art. 7, L. n. 31 del 2008 presuppone un concorso tra contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito (“in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria”) e attribuisce riconoscimento legale ai trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria e quindi presumibilmente capaci di realizzare assetti degli interessi collettivi più coerenti col criterio di cui all’art. 36 Cost., rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie nella categoria.
22. Come si legge nella sentenza della Corte Cost. n. 51 del 2015, “nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato (art. 7, D.L. n. 248 del 2007, ndr. ) si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative”, (in tal senso anche Cass. n. 17583 del 2014; n. 19832 del 2013).
23. Dall’assetto come ricostruito non deriva alcun rischio di lesione del principio di libertà sindacale e del pluralismo sindacale. La scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost., fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, a tal fine generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.
24. Nella fattispecie oggetto di causa, il regolamento della società cooperativa faceva riferimento, al fine di individuare il trattamento economico dei soci lavoratori, al c.c.n.l. Portieri e Custodi.
25. La Corte d’appello, tenuto conto del settore in cui opera S., in base all’oggetto sociale, nonché della prestazioni rese dalla sig.ra C. nell’ambito dell’appalto per il servizio di vigilanza e guardianato presso la sede di La Spezia della M. Italia s.p.a., ha individuato quale parametro del trattamento economico minimo obbligatoriamente applicabile ai soci lavoratori della cooperativa S., quello previsto dal c.c.n.l. Multiservizi.
26. La Corte di merito ha escluso l’utilizzabilità del c.c.n.l. Portieri e Custodi (esattamente “contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da proprietari di fabbricati”), quale parametro ai fini del trattamento economico minimo, in quanto relativo ad un settore non sovrapponibile a quello oggetto dell’appalto. L’ambito di applicazione del c.c.n.l. Portieri e custodi è espressamente definito come relativo ai rapporti dei lavoratori dipendenti da proprietari di fabbricati e da quelli addetti ad amministrazioni immobiliari o condominiali. Tale contratto, se pure sottoscritto dalle sigle sindacali confederali dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil), risulta stipulato, per parte datoriale, da un’unica organizzazione sindacale, la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia), il che rende evidente il ristretto ambito applicativo della stesso e, nel contempo, non soddisfa il requisito previsto dall’art. 7, L. n. 31 del 2008 che fa riferimento al contratto collettivo sottoscritto, anche per parte datoriale, dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.
27. La decisione d’appello si fonda su una corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni sopra richiamate e dei contratti collettivi esaminati e si sottrae pertanto alle censure di violazione di legge mosse dalla società ricorrente.
28. Non possono trovare ingresso in questa sede censure che investono accertamenti in fatto, ad esempio, sull’oggetto dell’attività di S. e sulla coincidenza tra questo e il settore dei contratti collettivi esaminati, e che si collocano al di fuori del vizio di violazione di legge e nell’ambito del vizio motivazionale, nel caso di specie neanche articolato secondo lo schema del nuovo art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014), applicabile ratione temporis.
29. Né vi è spazio per una comparazione col c.c.n.l. Vigilanza Servizi Fiduciari dell’8.4.13, quindi successivo ai fatti di causa, che non risulta allegato nei precedenti gradi di merito e di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata.
30. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.
31. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
32. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarre in favore dell’avv. L. M..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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