CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 marzo 2019, n. 6545
Esposizione all’aminato – Nesso causale tra l’attività lavorativa e il decesso – Colpa del datore di lavoro – Accertamento
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Verona, F. A., F. G. e F. G., marito e figli di T. L. deceduta il 13-3-2005, chiedevano a V. R. s.p.a. il risarcimento dei danni non patrimoniali, iure proprio e iure hereditatis conseguiti al decesso della loro congiunta; sostenevano che l’attività lavorativa svolta da T. L. dal 1970 al 2004 alle dipendenze di V. R. s.p.a. aveva comportato l’inalazione di fibre di amianto e per tale via l’insorgenza del mesotelioma pleurico, diagnosticato nell’estate 2004, che ne aveva provocato il decesso, in quanto all’interno dei locali aziendali, sino ai primi anni novanta, era stato utilizzato in modo significativo e sistematico l’amianto.
Si costituiva la V. R. s.p.a. chiedendo il rigetto della domanda, in quanto T. L. era collaudatrice e le sue mansioni non implicavano l’uso dell’amianto, sicché doveva escludersi l’inquinamento ambientale e comunque non vi era colpa della società datrice di lavoro, che aveva rispettato le norme conosciute tempo per tempo; formulava altresì istanza di chiamata in causa della propria compagnia di assicurazione al fine di essere dalla stessa manlevata.
Dispostane la chiamata in causa, si costituiva A.E.G. Limited eccependo l’inoperatività della polizza e la prescrizione ex art.1956 c.c., nel merito aderendo alla posizione della società resistente.
Il Tribunale ammetteva le prove testimoniali dedotte, disponeva c.t.u. volta ad accertare il nesso causale tra l’attività lavorativa e il decesso; all’esito pronunciava la sentenza n. 541/09, con cui condannava Vetrerie Riunite s.p.a. a corrispondere a ciascun ricorrente, a titolo di danno morale iure proprio la somma di Euro 117.000,00, oltre interessi e rivalutazione e, a titolo di danno iure hereditatis, la somma di Euro 15.840,00 oltre interessi e rivalutazione, condannando altresì A.E.G. Limited a tenere indenne Vetrerie Riunite delle somme che la stessa era tenuta a corrispondere ai ricorrenti in forza della sentenza.
Il giudice, premesso che l’art.2087 c.c. non configurava una ipotesi di responsabilità oggettiva ma incombeva sul lavoratore l’onere di provare il danno alla salute, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso di causa tra l’una e l’altro, rilevava che costituiva fatto pacifico che la T. era deceduta il 13.3.05 a causa di mesotelioma pleurico di tipo epiteliale, trattato con cicli farmacologici e chemioterapici; che seppure le analisi dei tessuti di campione polmonare avevano evidenziato bassa presenza di fibre di amianto, sovrapponibili a quelle rinvenibili nella popolazione in generale, tale dato non era significativo, in quanto era stato dimostrato, dalle prove testimoniali assunte e dall’indagine svolta dall’Azienda ULSS 20, che la lavoratrice era stata esposta in misura consistente all’amianto e le fibre di amianto crisotilo, tipicamente presenti nei materiali di amianto usati nelle vetrerie, che si dissolvono e si frammentano più velocemente, esercitando tuttavia un potente effetto cancerogeno. Il giudice rilevava che l’istruttoria testimoniale e i documenti acquisiti attestavano ampiamente l’esposizione all’amianto della T., che era stata di tipo diretto per la movimentazione dei prodotti utilizzando una paletta di amianto, e di tipo ambientale, perché l’amianto era utilizzato nel reparto presse che non era realmente separato dalla zona in cui operava la lavoratrice; aggiungeva che era stata dimostrata anche la responsabilità del datore di lavoro, in quanto l’elevata pericolosità dell’uso dell’amianto per la salute dei dipendenti era conosciuta da molto tempo e perciò il datore di lavoro avrebbe dovuto a sua volta informare i lavoratori, individuare materiali ^ sostitutivi e, quanto meno, ridurre al minimo il rischio correlato all’uso dell’amianto, mentre tale materiale era stato utilizzato senza approntare idonee misure di prevenzione e non era neppure stata provata in causa la tesi della società datrice di lavoro secondo la quale la malattia era riconducile all’attività extra aziendale svolta dalla lavoratrice.
Il giudice rigettava altresì le eccezioni sollevate dalla compagnia di assicurazione in ordine all’inoperatività della polizza; quantificava il danno biologico e morale subito dalla lavoratrice, dalla diagnosi al decesso, trasmissibile agli eredi, nell’importo complessivo di Euro 47.520,oo, per cui ciascun erede aveva diritto al pagamento di Euro 15.840,00 quantificava il danno morale spettante a ciascun ricorrente per la perdita della congiunta nella somma di Euro 117.000,00, quale misura massima prevista dalla tabella del Triveneto.
Con ricorso del marzo 2009, Vetrerie Riunite s.p.a. appellava la sentenza, censurandola in primo luogo per la nullità ed incompletezza della consulenza medico legale svolta in primo grado.
Resistevano gli appellati F. G., G. ed A., chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale al fine di ottenere una maggiore quantificazione del danno iure proprio. Resisteva altresì l’appellata A.E.G. Limited, chiedendo la riforma della sentenza impugnata e proponendo appello incidentale, avente il medesimo contenuto dell’impugnazione proposta con l’appello che dava atto di avere presentato con ricorso depositato il 20.10.09. Con il proprio ricorso in appello A.E.G. Limited contestava la responsabilità di V. R. s.p.a. e chiedeva altresì che fosse esclusa l’operatività della polizza; si costituiva in questa causa V. R. s.p.a. sostenendo l’improcedibilità dell’appello e comunque chiedendo il rigetto dei motivi riferiti all’inoperatività della garanzia.
La Corte d’appello di Venezia, riunite le cause e disposta nuova c.t.u., ed ulteriormente rinnovandola alla luce delle argomentazioni svolte, con sentenza depositata il 13 marzo 2014 rigettava tutti i gravami, compensando le spese.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società V. R., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.
Resistono con controricorso, poi illustrato con memoria, gli eredi T. nonché la società di assicurazioni, quest’ultima proponendo ricorso incidentale, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 61 e 191 c.p.c. per avere la Corte d’appello disposto una terza c.t.u. al fine di verificare la sussistenza o meno di un nesso causale tra l’attività aziendale e la patologia che colpì la T. causandone il decesso.
Il motivo è infondato, non essendovi alcun divieto, specie nella materia del lavoro e previdenziale in particolare (e plurimis, Cass. n. 8723/07), ove permane un principio della ricerca, eventualmente anche officiosa, della verità materiale, di disporre più di una c.t.u. (Cass. n. 7494/11), tanto più che nella specie la Corte di merito ha motivato logicamente tale scelta con l’esito alterno delle consulenze tecniche d’ufficio già svolte e ritenuta l’opportunità che il nuovo c.t.u. si avvalesse di un ausiliario specialista. La doglianza coinvolge comunque apprezzamenti del giudice di merito che non sono censurabili in questa sede (Cass. n.9461/10), specie alla luce del novellato n. 5 dell’art. 360, co.l, c.p.c.
2. – Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c.
Lamenta che l’art. 2087 c.c. non prevede una responsabilità oggettiva del datore di lavoro per ogni evento dannoso che si verifichi durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, occorrendo la prova, gravante sul lavoratore, dell’esistenza del danno e della sua derivazione dal lavoro svolto, oltre alla nocività dello stesso. Lamenta ancora che sino al 1991 non era ancora nota la pericolosità dell’inalazione di fibre di amianto; che nella specie la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato le numerose precauzioni assunte dalla società.
3. – Con il terzo motivo la società denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. con riguardo al nesso di causalità tra l’esposizioni alle polveri nocive ed il decesso della T.
4. – I motivi, che possono trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, presentano evidenti profili di inammissibilità laddove diretti, nel regime di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, co.l, c.p.c., ad una rivisitazione della complessa istruttoria svolta in sede di merito con escussione di numerosi testimoni ed espletamento di ben tre c.t.u., da cui è risultata una significativa presenza di polveri di amianto sia nell’ambiente di lavoro in generale della società, sia nell’ambiente lavorativo cui era addetta la T., dipendente della società ricorrente per oltre 30 anni, peraltro frequentemente costretta ad utilizzare palette di amianto per il trasporto del vetro; con pareti divisorie tra i vari ambienti di lavoro spesso aperte; spesso vicina ad un nastro trasportatore che trasferiva i prodotti dalle presse al collaudo rivestito in amianto e che veniva frequentemente sostituito provocando molte polveri, etc. Quanto alla presenza del danno è sufficiente constatare che la T. era deceduta il 13.3.05 a causa di mesotelioma pleurico di tipo epiteliale, trattato con cicli farmacologici e chemioterapici; quanto al nesso causale era stato dimostrato, dalle prove testimoniali assunte e dall’indagine svolta dall’Azienda ULSS 20, che la lavoratrice era stata esposta in misura consistente all’amianto e le fibre di amianto crisotilo, tipicamente presenti nei materiali di amianto usati nelle vetrerie, che, come accennato, si dissolvono e si frammentano più velocemente, esercitando un potente effetto cancerogeno. E’ stato poi accertato, e più volte confermato anche da questa Corte, cfr. Cass. n. 24217/17, che la nocività dell’amianto nei posti di lavoro era nota sin dagli anni ’60.
Non risulta pertanto esservi stata alcuna inversione dell’onere probatorio né la dedotta violazione dell’art. 2087 c.c., né una carente indagine circa il nesso causale, essendo stata ampiamente dimostrata la colpevole responsabilità dell’azienda circa la nocività dell’ambiente di lavoro a causa dell’utilizzo dell’amianto e la mancanza di adeguate misure protettive.
5. – Il ricorso della società V. R. deve essere pertanto rigettato.
6. – Col primo motivo di ricorso incidentale (da ritenersi ammissibile anche se tardivo e su capo autonomo della sentenza, cfr. da ultimo Cass. ord. n. 18415/18, n.l3651/18) la società A.E.G. LIMITED denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c. e 111 Cost., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, per non aver esaminato l’eccezione, da essa sollevata, circa operatività della garanzia solo per i fatti verificatisi durante il periodo di validità della polizza (operativa dal 31.10.2000), e dunque non applicabile nel caso di specie in cui il mesotelioma venne contratto nel 2004 (pag. 8 controricorso società).
Il motivo risulta, già prima facie, infondato in base alle date riportate dalla stessa società. Essa tuttavia fa leva sul periodo di latenza e di contrazione della malattia verosimilmente databile a molti anni prima, senza tuttavia offrire alcun concreto elemento a conforto dell’assunto. Inoltre, e decisivamente, come notato dalla Corte di merito ed ammesso dalla stessa controricorrente incidentale (pag. 12 controricorso), l’art. 1.4 della polizza prevedeva l’estensione della stessa alle malattie che si manifestassero durante il tempo dell’assicurazione, purché denunciate (come nella specie avvenuto) entro 24 mesi dalla cessazione della garanzia, così come peraltro deciso dal Tribunale, la cui relativa statuizione non era stata impugnata dalla società assicuratrice (come peraltro ammesso dalla ACE EGL sempre pag.12 controricorso).
7. – Col secondo motivo di ricorso incidentale la società A.E.G. LIMITED denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c. e 111 Cost., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, per non avere la sentenza impugnata correttamente valutato che la polizza non copriva i danni derivanti dall’amianto.
Il motivo, così come formulato, è inammissibile non avendo la sentenza impugnata né omesso di esaminare l’eccezione né di motivare sul punto. La stessa ACE EGL espone (pag. 15 controricorso) che la Corte di merito ha al riguardo evidenziato la necessità di coordinare la previsione dell’articolo 1.4 e la previsione dell’appendice 6 del luglio 2004 (con effetto dal 29.6.04), che aveva escluso tutti danni comunque correlati all’esposizione all’asbesto, osservando che poiché l’articolo 1.4 prevedeva la copertura assicurativa per le malattie che si manifestavano (e non contraevano) durante il tempo dell’assicurazione o entro 18 mesi dalla data di cessazione della garanzia e l’appendice 6 aveva escluso dalla garanzia i danni da asbesto, prima ricompresi, l’appendice 6 comportava la cessazione della garanzia, e tuttavia, ai sensi dell’articolo 1.4, rimanevano da essa coperte le malattie causate dall’esposizione all’asbesto manifestatesi entro 18 mesi dalla stipulazione dell’appendice 6, come nel caso di specie.
Trattasi di interpretazione logicamente corretta e non adeguatamente censurata in punto di diritto dalla società assicuratrice.
A ciò, e nel merito, deve aggiungersi che secondo la stessa ACE EGL (pag. 16 controricorso) con la ridetta appendice 6 le parti convennero che a partire dal 31.12.04 non vi fosse più alcuna garanzia per i danni correlati all’amianto-asbesto, laddove la diagnosi del mesotelioma della T. era avvenuta nell’estate 2004.
8. In conclusione debbono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale. Condanna le società ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore degli eredi T., che liquida, per ciascuna delle ricorrenti, in €.200,00 per esborsi, €.5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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