CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2019, n. 3431
Tributi – ICI – Immobili dell’ente Comune destinati ad edilizia popolare pubblica – Omesso pagamento – Sanzioni amministrative – Esimente per oggettiva incertezza normativa – Oscillazioni nella giurisprudenza di merito – Esclusione
Premesso che
1) con la sentenza n. 3863, dell’11 luglio 2104, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, decidendo della controversia avente ad oggetto la legittimità dell’avviso di accertamento e di irrogazione sanzioni, notificato nell’ottobre 2010 dal Comune di Cinisello Balsamo al Comune di Milano per mancato pagamento di ICI relativa al 2006 e ad immobili destinati ad edilizia popolare pubblica, statuiva, per quanto ancora interessa, che il Comune di Milano non poteva sottrarsi alle sanzioni sostenendo, in riferimento all’esimente di cui agli artt. 8 del d.lgs. 546/92, 6, comma 2, del d.lgs. 472/97, 10, comma 3, della L. 212/2000, di aver avuto ragione di ritenere che, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 504/92, non vi fosse obbligo di pagare l’imposta per immobili con tale destinazione, sul motivo che “nessuna buona fede può essere individuata nel fatto omissivo avendo il Comune di Milano, già in sede di ricorso introduttivo, avuto piena conoscenza dell’orientamento della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale nella subjetta materia a lei sfavorevole”;
2) il Comune di Milano ricorre per la cassazione della suddetta sentenza con un unico motivo con cui lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e n.5, c.p.c., “falsa applicazione degli artt.8 del d.lgs. 546/92, 6, comma 2, del d.lgs. 472/97, 10, comma 3, della L. 212/2000, dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione ed omesso esame delle pronunce della Commissioni Tributarie, della Cassazione e della Corte Costituzionale, favorevole alla interpretazione del Comune di Milano, decisive per l’annullamento delle sanzioni”;
3) il Comune di Cinisello Balsamo resiste con controricorso;
4) il Comune di Milano ha depositato memoria;
Considerato che
1) il Comune di Milano invoca il principio sancito dagli artt. 8 del d.lgs. 546/92, 6, comma 2, del d.lgs. 472/97 e 10, comma 3, della L. 212/2000, secondo cui le sanzioni amministrative stabilite per la violazione di norme tributarie non sono applicate quando la violazione è causata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria, sostenendo che, in merito alla debenza dell’Ici su alloggi destinati ad edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett.a) e lett.i) del d.lgs. 504/92, vi era un’obiettiva incertezza causata da orientamenti in senso negativo della giurisprudenza di merito, da contrasti nella giurisprudenza di questa Corte, da affermazioni contenute nelle sentenze della Corte Costituzionale n.135/1998 e 15971969, che potevano indurre ad escludere tale debenza, nonché dal fatto che lo stesso legislatore, modificando l’art. 7, comma 1, lett.i) una prima volta nel dicembre 2005 con legge 248 e poi con d.l. 223 del 2006, aveva “dato prova di incertezza su come doveva essere applicato” quell’articolo;
2) in realtà, questa Corte, a cui unicamente spetta assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge (art. 65 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) ed alle cui decisioni -non a quelle di merito- il contribuente deve prioritariamente guardare allorché ritenga o ipotizzi sussistere un contrasto tra interpretazioni giurisprudenziali, suscettivo di dar luogo ad una obiettiva incertezza sulla portata della norma da interpretare, aveva da ben prima (non solo e non tanto del momento, considerato dalla commissione tributaria della Lombardia, della proposizione del ricorso originario, nel dicembre 2010, bensì) del momento (davvero rilevante) in cui l’Ici a cui si riferisce l’avviso impugnato doveva essere pagata e la violazione fu commessa (2006), un orientamento che non giustificava incertezza (Cass. n. 8054 del 18/04/2005; Cass. n. 142 del 09/01/2004: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione dall’imposta che l’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prevede per gli immobili posseduti – fra l’altro – dai comuni (al di fuori del loro territorio), purché “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”, presuppone la destinazione diretta ed immediata dell’immobile allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ente locale, mentre non spetta nel caso di semplice utilizzazione indiretta, con la conseguenza che il beneficio non compete nel caso di alloggi di edilizia residenziale pubblica concessi in locazione a privati cittadini, non assumendo, peraltro, alcun rilievo, ai fini dell’esenzione in esame, il fatto che l’attività di locazione di detti alloggi, avente connotati di economicità, sia assistita da una finalità di pubblico interesse”);
3) né in senso contrario vale il richiamo effettuato dal ricorrente a Cass. n. 20577 del 24/10/2005, la quale, anzi, si riporta all’orientamento consolidato e lo rafforza (nella motivazione della sentenza si legge infatti: “Passando ad esaminare il merito della vicenda relativo agli immobili dati in locazione a famiglie bisognose ed al Comune di Bagno a Ripoli, la Corte ritiene che non sussistono le condizioni per riconoscere l’esenzione richiesta dal Comune di Firenze sia perché gli immobili si trovano in un Comune diverso e sia perché, secondo un orientamento consolidato, l’esenzione ICI opera solo se l’immobile è direttamente ed immediatamente destinato allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ente locale, cosa che non si verifica quando il bene venga utilizzato per attività di carattere privato (Cass. sent. nn. 142/04 e 21571/04). Si può aggiungere che in linea di massima, in tutti i casi in cui per l’uso del bene si paga un canone, si è al di fuori della norma che prevede l’esenzione e si è nel campo del diritto privato, sicché non sussistono valide ragioni per riconoscere un trattamento di favore. I compiti istituzionali svolti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni possono anche prevedere la possibilità che il privato paghi una somma per un servizio o un beneficio ricevuto, ma in questi casi normalmente le somme hanno una chiara natura pubblicistica ed il rapporto è caratterizzato da elementi di obbligatorietà e di vincolatività”);
4) per completezza merita sottolineare l’inconferenza del richiamo effettuato dal Comune di Milano (p.11 del ricorso per cassazione) alle sentenze della Corte Costituzionale n. 135/1998 e n. 169/1969 (la prima ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5-sexies, commi 1, 4, 5, 7 e 11, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), introdotto dall’art. 1, comma 777, lettera I), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sollevate dal Tribunale regionale amministrativo per la Liguria – in riferimento agli artt. 3, 24, 111, primo e secondo comma, 113, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo – con le ordinanze indicate in epigrafe”; la seconda ha dichiarato l’illegittimità “dei commi terzo e settimo dell’art. 32 del testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, nelle parti in cui per il pagamento dei canoni scaduti e per l’opposizione al decreto ingiuntivo fissano termini diversi da quelli previsti dall’art. 641 del Codice di procedura civile per l’ordinario procedimento ingiuntivo”);
5) inconsistente è l’argomento per cui lo stesso legislatore, modificando l’art. 7, comma 1, lett.i) una prima volta nel dicembre 2005 con legge 248 e poi con d.l. 223 del 2006, aveva “dato prova di incertezza su come doveva essere applicato” quell’articolo;
6) il ricorso deve essere rigettato;
7) le spese seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna il Comune di Milano a rifondere al Comune di Cinisello Balsamo le spese del giudizio, liquidate in € 3700,00, oltre spese forfetarie e accessori di legge;
dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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