CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2019, n. 6123
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Rettifica costi indeducibili – Fatture pagate in contanti di fornitori evasori totali
Fatti di causa
1. La Commissione Tributaria Regionale per il Lazio in Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione proposta dalla F. di F. G. & C. S.a.s., nonché dai soci F. G. e D.M.T., avverso tre avvisi di accertamento notificati per l’anno di imposta 2003 a titolo rispettivamente di maggior reddito di impresa e personale.
2. Ha rilevato il giudice di appello che le componenti negative del reddito debbono essere provate dal contribuente e che tale onere nella specie non è stato assolto, posto che le fatture prodotte erano state pagate in contanti, dunque in modo non rintracciabile, peraltro in favore di terze parti evasori totali; il contratto di sponsorizzazione in favore di un’associazione sportiva dilettantistica non era parimenti idoneo allo scopo, posto che, da un lato, il presidente dell’associazione era lo stesso accomandatario F. e, dall’altro, che alcun riscontro contabile vi era agli atti dell’associazione del relativo introito economico conseguente all’ipotizzata conclusione del contratto.
3. Per la cassazione della citata sentenza la F. di F.G. & C. S.a.s., nonché F.G. e D.M.T. ricorrono con un motivo; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso lamenta: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del D.P.R. n. 917/1986, degli artt. 2697 e 2729 c.c. in riferimento all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. (come modificato dall’art. 54, comma 1, lett. b) d.l. 22.06.2012, n. 83) – Violazione degli articoli predetti in relazione all’omesso esame di fatti, adeguatamente documentati, decisivi per il giudizio e già oggetto di discussione tra le parti.
2. Il ricorso è infondato.
3. L’unico motivo di ricorso si articola in realtà in due diverse censure:
a. da un lato contesta la falsa applicazione dell’art. 109 del T.u.i.r. ove sarebbe stato erroneamente ripartito l’onere probatorio in tema di componenti negative del reddito di impresa e comunque erroneamente applicato il procedimento presuntivo di valutazione delle prove;
b. d’altro lato lamenta il vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata omesso di considerare fatti decisivi, quali l’omessa contestazione dell’effettivo pagamento per cassa delle fatture e la reale effettuazione delle prestazioni ivi indicate, come riconosciuto dallo stesso ufficio impositore, laddove in relazione alla sponsorizzazione sarebbe stata omessa la circostanza che le associazioni sportive non hanno alcun obbligo di rendicontazione.
4. In relazione a quanto lamentato sub a), rileva la Corte che il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis cod. proc. civ. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017), atteso l’affermazione che l’onere della prova delle componenti negative di reddito incomba sul contribuente costituisce affermazione perfettamente aderente al persistente orientamento di legittimità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28671 del 09/11/2018; id. Sentenza n. 20521 del 22/09/2006).
Quanto alla valutazione dei documenti prodotti al fine di ritenere assolto tale onere, il motivo si palesa comunque inammissibile, pretendendo da questa Corte, sotto l’apparente deduzione di una falsa applicazione dei criteri interpretativi delle prove, di ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio. Il tutto peraltro senza contrastare la ragionevolezza di tutte le argomentazioni utilizzate dalla sentenza (pagamento verso evasori totali e coincidenza soggettiva tra l’accomandatario F. e il presidente dell’associazione destinataria della presunta sponsorizzazione).
5. Alla censura sub b), che deduce il vizio di motivazione, si applica l’art. 348-ter, penultimo e ultimo comma, cod. proc. civ., posto che l’atto di appello è stato notificato dopo l’11 settembre 2012; ne deriva che essa è inammissibile posto che vi è stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito sulle medesime questioni di fatto. La censura è poi inammissibile anche perché, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., il vizio è denunciabile in cassazione solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018). A ciò si aggiunga che i ricorrenti affermano, ma non specificano ai sensi del combinato disposto degli articoli 366, primo comma n. 6 e 369, secondo comma. n. 4 cod. proc. civ., che agli atti sarebbe pacifico che le operazioni fatturate sarebbero esistite.
In ogni caso l’unico dato storico sarebbe quello dell’effettiva esecuzione delle opere, rilevabile nel PVC trascritto in ricorso (pagg. 4-8) sulla scorta delle dichiarazioni degli esecutori; ma sul punto va rilevato che tale accertamento non riveste il carattere delle decisività per le ragioni accertate, seppur sinteticamente, nella sentenza impugnata e relative alla circostanza che del rapporto commerciale tra i fornitori e la ricorrente non vi sarebbe documentazione alcuna, né vi sarebbe traccia di effettiva esecuzione, tantomeno nella disponibilità dei fornitori che, quali evasori totali, hanno dichiarato di aver mai istituito le scritture contabili. In ogni caso va rilevato che, come eccepisce la controricorrente (pag. 8, penultimo cpv. del controricorso), relativamente ai costi di sponsorizzazione, la documentazione evidenziata dalla contribuente è del tutto irrilevante, posto che riguarda pagamenti effettuati negli anni 2004 e 2005, laddove il thema probandum riguarda la deducibilità di costi sostenuti nell’anno di imposta 2003. Senza dimenticare che sull’affermazione della inverosimiglianza delle affermazioni del F. inerenti alla sponsorizzazione, la CTR ha argomentato sulla base della identità soggettiva del F. in entrambe le compagini, circostanza altrettanto decisiva, su cui il motivo tace.
La soccombenza regola le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la F. di F. G. & C Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché F. G. e D.M.T. al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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