CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5108
Imposte dirette – IRPEF- Redditi di lavoro – Lavoro dipendente – Somme percepite a titolo di risarcimento del danno – Tassabilità – Criteri – Fattispecie
Ritenuto in fatto
1. S.S. riceveva la somma di € 391.539,00 e la indicava nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2003 alla voce “redditi percepiti” “compensi arretrati”. A seguito di controllo formale la S. s.p.a. notificava al contribuente una cartella di pagamento per la somma di € 35.028,78, ritenendo tali redditi soggetti a tassazione separata ai sensi dell’art. 16 lettera b d.p.r. 917/1986 all’epoca vigente.
2. Il contribuente proponeva ricorso, rilevando che la cartella era inesistente perché non adottata secondo il modello ministeriale, che vi era stata violazione dell’art. 7 della legge 212/2000 per difetto di motivazione, che la cartella non era munita di relata di notifica, che era stato erroneamente applicato l’art. 48 del d.p.r. 917/1986, non essendo le somme assoggettabili a tassazione separata, ma costituenti solo risarcimento del “danno emergente”.
3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo inesistente la notifica.
4. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla S. s.p.a., in quanto risultava dai documenti prodotti che la relata era stata sottoscritta dall’ufficiale e che l’atto era stato consegnato ad una “impiegata addetta alla ricezione”. Nella cartella erano indicati tutti gli elementi necessari a comprendere le ragioni della richiesta.
5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente (proc. 10688/2012).
6. Resisteva con controricorso la S. s.p.a.
7. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate, ma nell’ambito di un diverso procedimento (proc. 13135/2012), sempre in relazione alla impugnazione della medesima pronuncia della Commissione tributaria regionale.
Considerato in diritto
1. Anzitutto, si procede, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., alla riunione del procedimento n. 13135/2012 a quello n. 10688/2012, in quanto trattasi della impugnazione avverso la medesima sentenza impugnata.
1.1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 212/2000. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 3 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 e dell’art. 156 c.p.c.”, in quanto la cartella di pagamento è affetta da “inesorabile inesistenza giuridica”, non essendo stato utilizzato il modello di cartella di cui al d.l. 223/2006, a decorrere dal 25-3-2007. Inoltre, non è indicato nella cartella il responsabile del procedimento e la relata di notificazione della cartella è del tutto “in bianco”.
2.Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 148, 156, 160 c.p.c.. Violazione dell’art. 26 del d.p.r. 602/1973. Violazione per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti controverso e decisivi per il giudizio in violazione dell’art. 132 commi 2 e 5. Violazione falsa applicazione art. 360 commi 3 e 5”, in quanto nella motivazione della sentenza pronunciata dalla Commissione regionale si fa riferimento all’udienza del 16-11-2011, mai tenuta, in quanto l’udienza si è tenuta l’11-5-2011, come pure errato è il riferimento all’udienza del 23-2-2011.
2.1.Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
Invero, la cartella è stata emessa in conformità con il modello ministeriale di cui al D.M. 28-6-1999, mentre il modello successivo è stato adottato con D.M. 20-3-2010. Non v’è stata alcuna modifica di modello di cartella a seguito del d.l. 223/2006.
Inoltre, la cartella è stata emessa il 14-5-2007, quando non era stata ancora prevista l’ipotesi di nullità della cartella per mancata indicazione del responsabile del procedimento. Infatti, la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 1° giugno 2008, non è affetta da nullità, atteso che l’art. 36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007 – convertito dalla legge n. 31 del 2008 – ha previsto tale sanzione solo in relazione alle cartelle di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 riferite ai ruoli consegnati a decorrere dalla predetta data (Cass.Civ., 2018/27856).
Quanto alla relata di notifica della cartella, consegnata al contribuente, che si presenta “in bianco”, si rileva che, invece, nell’originale della relata sono presenti tutti gli elementi, comprese la sottoscrizione dell’ufficiale e l’indicazione la persona che ha ricevuto l’atto.
Per consolidato orientamento di questa Corte, cui si intende dare seguito, l’omessa apposizione, da parte dell’ufficiale giudiziario, della relazione di notificazione anche sulla copia consegnata al destinatario, integra, in mancanza di contestazioni circa l’effettuazione della notificazione come indicata nella detta relazione, una mera irregolarità, non essendo la nullità prevista in modo espresso dalla legge e non difettando un requisito di forma indispensabile per il raggiungimento dello scopo, che si consegue con il portare a conoscenza dell’interessato la “vocatio in jus” per il tramite indefettibile dell’ufficiale giudiziario (Cass.Civ., 4 luglio 2014, n. 15327), essendo la nullità prevista nella diversa ipotesi di difformità del contenuto delle due relate (Cass.Civ., 5 maggio 2017, n. 11134; Cass.Civ., 5 febbraio 2002, n. 1532).
Nella specie, mentre sull’originale della relata di notificazione della cartella sono presenti sia la sottoscrizione dell’ufficiale che ha curato l’adempimento, sia l’indicazione della persona che ha ricevuto l’atto, nella copia della relata consegnata al destinatario la relata è “in bianco”.
Va, anzitutto, rilevato che il contribuente, “pensionato dell’Arma dei Carabinieri” (cfr. pagina 9 del ricorso per cassazione), contesta la ricezione della cartella, in quanto non è titolare di uno studio o di una impresa, sicché non si comprende come mai la cartella sia stata notificata all’addetta alla ricezione atti dello studio.
Tuttavia, si è dinanzi ad una palese difformità del contenuto delle due relate, sicché si profila una nullità della cartella, ma non di certo l’inesistenza della stessa, anche tenendosi conto dell’insegnamento di questa Corte a sezioni unite (Cass.Civ., Sez.Un, 20 luglio 2016, n. 14916).
La presentazione tempestiva del ricorso da parte del contribuente, con censure anche nel merito della cartella, con riguardo al modello ministeriale utilizzato ed anche nel merito dell’assoggettamento ad imposta, nonostante la nullità della cartella, ne ha comportato la sanatoria ai sensi dell’art. 156 comma 3 c.p.c. (Cass.Civ., 9 maggio 2018, n. 11043; Cass.Civ., 24 agosto 2018, n. 21071), applicabile anche agli atti di natura sostanziale e non solo agli atti processuali.
Tra l’altro, l’erronea indicazione in motivazione delle date di udienza costituisce mero errore materiale e non incide in alcun modo sulla motivazione della decisione.
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.p.r. 917/1986. Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 del c.p.c., in relazione all’art. 360 commi 3 e 5 non avendo i Giudici preso in esame tutti i motivi di merito riproposti in appello ovvero difformità tra il chiesto e pronunciato ovvero per omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione.”
3.1. Tale motivo è fondato.
Invero, il contribuente ha proposto impugnazione per la non assoggettabilità a tassazione di quanto ricevuto, a seguito di ingiustificato licenziamento, con sentenza divenuta definitiva, a titolo di risarcimento danni, da considerarsi quale “danno emergente” e non lucro cessante, in quanto “il contribuente, non avendo potuto raggiungere, all’atto dell’ingiusto licenziamento, i requisiti di legge per godere della pensione di vecchiaia, ha sopportato un danno sotto il profilo patrimoniale professionale, come stabilisce la sentenza del Pretore di Siracusa in data 12-7-1993 (così come confermato dal Giudice d’Appello e definitivamente dalla Corte di Cassazione)”, oltre interessi e rivalutazione ai sensi dell’art. 429 ultimo comma c.p.c..
La Commissione regionale non si è pronunciato su tale domanda presentata dal contribuente, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 429 c.p.c..
4. La sentenza deve essere, dunque, cassata, ma, trattandosi di questione di puro diritto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso originario del contribuente.
S.Invero, per questa Corte, in adesione ad un orientamento cui si intende dare seguito, ha affermato che, tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e quindi tutte le indennità aventi causa o che traggano comunque origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente, come tali assoggettati a tassazione separata e a ritenuta d’acconto – fattispecie relativa a risarcimento del danno liquidato, ex art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, a seguito di licenziamento illegittimo – (Cass.Civ., 6 settembre 2013, n. 20482; per le indennità risarcitorie conseguenti a risoluzione del rapporto di lavoro v. Cass.Civ., 3582/2003; Cass Civ., n. 22803/2006; Cass.Civ., n. 10972/2009).
5.1. Tali principi erano già stati affermati in precedenza (Cass.Civ., 24 novembre 2010, n. 23795), con l’affermazione per cui, in tema di imposte sui redditi di lavoro dipendente, dalla lettura coordinata degli artt. 6, comma secondo, e 46 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (sul primo dei quali nessuna innovazione deve ritenersi abbia apportato l’art. 32 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41 – convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85), si ricava che, al fine di poter negare l’assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che la stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro e, se ciò non viene positivamente escluso, che tale erogazione, in base all’interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà né in redditi sostituiti, né nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all’interruzione del rapporto di lavoro. In quel caso la Corte ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva riconosciuto il diritto al rimborso dell’IRPEF ad un lavoratore per una somma erogatagli dal datore di lavoro, a seguito di transazione giudiziale, a titolo di danno morale e di danno all’immagine derivanti dalle particolari modalità con le quali era stato svolto e poi interrotto il rapporto di lavoro, trattandosi di ristoro di danno emergente relativo alla integrità psicofisica del lavoratore e alla sua reputazione professionale. Allo stesso modo non è assoggettabile a tassazione il pregiudizio subito dal lavoratore, a seguito della anticipata risoluzione del rapporto di lavoro, per la propria immagine professionale, rientrante, dunque, nel danno emergente (Cass., 12789/2003; 7043/2004; 30433/2008).
Pertanto, sono esclusi dalla tassazione di cui all’art. 6 del d.p.r. 917/1986 quegli importi che il lavoratore percepisca a titolo di ristoro del danno emergente, diverso dalla mancata percezione dei redditi, e non anche tutti gli indennizzi, originati dal rapporto di lavoro, volti a ristorare un lucro cessante (Cass.Civ., 12 ottobre 2018, n. 25471), quindi “concretatosi” nella mancata percezione dei redditi (Cass.Civ., 29 dicembre 2011, n. 29579; Cass.Civ., 26 aprile 2017, n. 10244, ave sono state ritenute tassabili le somme corrisposte dal Comune in esecuzione della condanna dell’ente al risarcimento dei danni, a seguito dell’annullamento della delibera di esclusione da un concorso pubblico, nel periodo tra la data di ipotetica assunzione e quella di assunzione ad altro impiego pubblico, in quanto somme dirette a reintegrare un danno consistente nella mancata percezione dei redditi).
5.2. E’ stato, quindi, ritenuto non tassabile il risarcimento del danno ottenuto da un dipendente da “perdita di chance”, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera (Cass.Civ., 29 dicembre 2011, n. 29579).
Pertanto, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a tassazione solo se, e nei limiti in cui risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non sono assoggettabili a tassazione i risarcimenti intesi a riparare un pregiudizio di natura diversa.
5.3. Inoltre, ai sensi dell’art. 6 d.p.r. 917\1986 gli interessi moratori e quelli corrispettivi, maturati su somme liquidate per crediti di lavoro dipendente, sono assoggettabili ad Irpef in quanto costituiscono redditi della medesima categoria di quello da cui derivano i crediti tardivamente adempiuti (Cass.Civ., 11 giugno 2004, n. 11178).
5.4. Nella specie, il risarcimento riconosciuto, a seguito di licenziamento illegittimo, per non aver potuto il contribuente godere della pensione di vecchiaia (fermo restando che il contribuente, a pagina 9 del ricorso, si definisce nel ricorso “pensionato dell’Arma dei Carabinieri”), è strettamente collegato alla mancata percezione dei redditi, quindi al lucro cessante, e non alla perdita di chance (danno emergente).
È lo stesso ricorrente ad affermare che trattasi di “sentenza di condanna del datore di lavoro, passata in giudicato statuita dalla Corte di Cassazione che conferisce ampia vittoria al contribuente circa l’ingiusto licenziamento, nonché il riconoscimento del risarcimento del danno patrimoniale” (cfr. pagina 24 del ricorso per cassazione).
6. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del contribuente in ossequio al principio della soccombenza. Le spese dei giudizi di merito devono essere compensate integralmente tra le parti, stante la peculiarità della controversia.
P.Q.M.
In accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.
Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Condanna il contribuente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate e della S. s.p.a. le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 3.000,00, per ciascuna, oltre spese prenotate a debito per l’Agenzia delle entrate, ed oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e rimborso delle spese generali nella misura del 15 % per la S. s.p.a..
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