CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8920
INPS – Ricalcolo del trattamento pensionistico – Maggiorazione contributiva ex art. 4, d.l. n. 501/1995 conv. in I. n. 11/1996 – Diritto – Spettanza
Rilevato
che con sentenza del 31 ottobre 2012, la Corte d’Appello di Roma, accoglieva, non diversamente dal decisum reso nella decisione del Tribunale di Civitavecchia, di cui riformava esclusivamente la statuizione sulle spese, la domanda proposta da L.P. nei confronti dell’INPS intesa ad ottenere le differenze sui ratei pensionistici derivanti dal computo della maggiorazione contributiva ex art. 4, d.l. n. 501/1995 conv. in I. n. 11/1996, attribuita dall’Istituto sulla base del precedente accertamento giudiziale del diritto, in misura ritenuta, in relazione all’incidenza del riconosciuto diritto sul ricalcolo del trattamento pensionistico, inferiore al dovuto; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, in relazione all’esclusivo oggetto del giudizio, stante il giudicato relativo alla spettanza del diritto alle predette maggiorazioni, oggetto dato dall’utilizzabilità dell’importo ad esse corrispondente ai fini del calcolo della pensione, definibile tale quaestio iuris nel senso della riferibilità di quell’importo al periodo successivo al 31.12.1994 con conseguente applicazione ad esso dell’aliquota del 2% e non del 2,5%; che per la cassazione di tale decisione ricorre il P., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS;
che il ricorrente ha poi presentato memoria;
Considerato
che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, d.l. n. 501/1995 conv. in I. n. 11/1996 in relazione all’art. 12 delle Preleggi, lamenta l’erroneità dell’interpretazione della predetta norma accolta dalla Corte territoriale, in particolare del comma 1, che assume essere in contrasto con il criterio letterale di esegesi della norma legale, da ritenersi prioritario rispetto a quello teleologico, meramente sussidiario, privilegiato dalla Corte stessa, in base al quale “alla data del 31.12.1994” sarebbe da individuarsi il segmento di anzianità contributiva al quale doveva essere imputato l’incremento convenzionale, risultando così inconferente il richiamo operato dalla Corte medesima alla contribuzione figurativa;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del citato art. 4, in relazione, questa volta, all’art. 3, comma 10, d.lgs. n. 414/1996, il ricorrente deduce l’erroneità della qualificazione giuridica della maggiorazione quale accredito figurativo, che determinerebbe, stante la mancata esplicita imputazione dello stesso da parte della norma diretta a disciplinare il passaggio dal Fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto al Fondo pensione per i lavoratori dipendenti (l’art. 3 citato), la collocazione dell’accredito stesso in coda al rapporto e, di conseguenza, l’irrilevanza del silenzio sul punto della stessa norma, che, letta in una con l’art. 4, consentirebbe di ritenere applicabili fino al 31.12.1994^le regole di computo della pensione vigenti presso il Fondo di provenienza compresa l’applicazione della prevista maggiorazione;
che entrambi i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 29.8.2017, n. 20496) secondo cui la prevista maggiorazione, da qualificarsi come accredito figurativo, sulla base di una interpretazione rispondente alla lettera ed alla ratio della norma, andava collocata temporalmente nel momento successivo alla cessazione del rapporto, nella specie intervenuta il 31.7.1995, e liquidata, secondo le regole del Fondo di provenienza, confermate in via transitoria, che prevedevano, ai fini del calcolo della pensione, tre distinte quote, di cui l’ultima relativa al periodo 1.1.1995/31.12.1995, cui risultava applicabile il coefficiente di rendimento del 2%;
– che, pertanto, il ricorso va rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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