CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 aprile 2019, n. 9877
Prestazione assistenziale – Invalidità – Riduzione permanente della capacità lavorativa – Accertamento dello status invalidante
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 8723 del 2015, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava, in contraddittorio con I’Inps ed ai fini dei benefici previsti dall’art. 80 della l. n. 388/2000, M.G. invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa superiore al 74 % dall’1/9/2012.
2. La Corte territoriale, nel respingere l’eccezione di inammissibilità dell’azione di mero accertamento sollevata dall’Inps, ha affermato di condividere l’opzione interpretativa che ammette l’azione di mero accertamento dello status invalidante, ben potendo configurarsi l’interesse ad agire in relazione ad uno status, quale quello di invalidità totale o in misura superiore al 74% potenzialmente produttivo di una serie indeterminata di diritti ricollegata dall’ordinamento alla condizione fisica dell’invalido.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione I’Inps sulla base di due motivi. Resiste M.G. con controricorso.
4. La Sezione sesta di questa Corte di cassazione ha rimesso la causa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 17120 del 2018.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 80, comma terzo, I. 23/12/2000 n. 388, dell’art. 8 I. 533/1973, degli artt. 100 e 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n.3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibile l’azione di mero accertamento dello stato invalidante, come tale, non strettamente funzionale al riconoscimento di una prestazione.
2. Il ricorrente ricorda che con il ricorso del 5/10/2010 M.G. aveva chiesto dichiararsi la sua invalidità nella misura di almeno il 74%, o in subordine nella misura del 67%, a decorrere dalla data della domanda amministrativa (16/2/2010). Solo in appello era stato richiesto dichiararsi l’invalidità nella misura del 74 % al fine di ottenere i benefici di cui all’art. 80 I. 388/00 e, in subordine, nella misura del 67% al fine della concessione dei benefici socio-sanitari di cui all’art 5, comma 4, l. n. 407/90 a far data dalla domanda amministrativa, ponendo così in relazione, con violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., le generiche domande contenute nel ricorso introduttivo agli indicati benefici.
Si duole, dunque, il ricorrente che la Corte d’appello abbia ritenuto <ammissibile l’azione di mero accertamento dello stato invalidante, ben potendo configurarsi l’interesse ad agire in relazione ad uno status, quale quello di invalidità totale o in una percentuale superiore al 74 %, potenzialmente produttivo di una serie indeterminata di diritti ricollegata dall’ordinamento alla condizione fisica dell’invalido.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. in ragione della condanna rivolta all’INPS di pagamento delle spese di consulenza dei due gradi del giudizio, nonostante la parte privata non si trovasse nelle condizioni, richieste dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. per fruire dall’esonero dalle spese in caso di soccombenza.
4. La sesta sezione di questa Corte di cassazione ha rilevato che il primo motivo sottende la questione, ritenuta di valenza nomofilattica, della configurabilità, nei casi di esclusiva funzionalità di un beneficio contributivo al conseguimento e/o alla misura del diritto a pensione, di un autonomo diritto avente ad oggetto la posizione assicurativa, tale da sostanziare l’interesse alla relativa azione di accertamento o – piuttosto – di una fattispecie di fatto, frazionaria rispetto al diritto a pensione, non autonomamente accertabile in giudizio.
5. La questione va affrontata e risolta nel solco della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., fra le tante, Cass., S.U. n. 27187 del 2006; Cass. 27 gennaio 2011, n. 2051 del 2011; Cass. 12 dicembre 2016, n. 25395; Cass. n. 22 del 2019).
6. Si è affermato che l’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire.
Va, quindi, riaffermato il principio espresso dalle Sezioni Unite n. 27187 del 2006 sopra ricordate, secondo cui < […] La tutela giurisdizionale è tutela di diritti (art. 24 Cost., art. 2907 c.c., artt. 99 e 278 c.p.c.). I fatti […] possono essere accertati dal Giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio (art. 2697 cod. civ.) e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Solo in casi eccezionali predeterminati per legge possono essere accertati dei fatti separatamente dal diritto che l’interessato pretende di fondare su di essi (lo stato dei luoghi, per urgenti esigenze probatorie: art. 696 c.p.c.; la verità di un documento: art. 220 c.p.c., sulla verificazione di scrittura privata; art. 221 c.p.c., sulla querela di falso).
Non sono perciò proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti pur giuridicamente rilevanti, ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva del diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella sua funzione genetica del diritto azionato, e cioè nella sua interezza […]>.
7. In continuità con questo arresto va ricordato che questa Corte di legittimità si è pronunciata in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente affermando che in tema di benefici contributivi riconosciuti ai lavoratori con invalidità superiore al 74%, ai sensi dell’art. 80, comma 3, della l. n. 388 del 2000, in assenza di un’espressa domanda amministrativa all’INPS per il riconoscimento dei relativi contributi figurativi ai fini pensionistici, non è proponibile un’azione di mero accertamento del grado di invalidità richiesto, che costituisce solo un elemento frazionistico del diritto alla maggiorazione da accertarsi, invece, nella sua interezza (cfr Cass. ord. N. 9013/2016, n. 25395/2016, n. 9960/2005).
8. La l. n. 388 del 2000, art. 80, comma 3, prevede che “A decorrere dall’anno 2002, ai lavoratori sordomuti di cui alla I. 26 maggio 1970, n. 381, art. 1, nonché agli invalidi per qualsiasi causa, ai quali è stata riconosciuta un’invalidità superiore al 74 % o ascritta alle prime quattro categorie della tabella A allegata al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, e successive modificazioni, è riconosciuto, a loro richiesta, per ogni anno di servizio presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell’anzianità contributiva, il beneficio è riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa”.
9. Come osservato da questa Corte nei precedenti sopra citati alla stregua della richiamata disciplina deve ritenersi necessario che l’interessato richieda, ossia presenti domanda amministrativa all’INPS (“…è riconosciuto, a loro richiesta…”), mentre l’accertamento dell’esistenza di un grado di invalidità superiore al 74% costituisce soltanto uno dei presupposti (di fatto) del diritto alla maggiorazione.
Il beneficio è, infatti, strettamente collegato al diritto ed alla misura di un trattamento pensionistico di anzianità o di vecchiaia, per cui può essere richiesto e riconosciuto solo a questi fini, e solo in sede di domanda di pensione, mentre il mero riconoscimento della invalidità superiore al 74%, da solo considerato non comporta il riconoscimento di alcun diritto.
10. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, relativo alla condanna alle spese inflitta all’Istituto sulla base della soccombenza non più sussistente.
11. La sentenza impugnata va, quindi, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito, con il rigetto dell’originaria domanda.
12. Le spese dell’intero processo, alla luce del dubbio interpretativo sollevato dall’ordinanza interlocutoria, vanno interamente compensate tra le parti e le spese di c.t.u. vanno poste a carico di entrambe le parti nella misura del 50% per ciascuna parte.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da M.G.; compensa le spese dell’intero processo e pone a carico di entrambe le parti, nella misura del 50%, le spese di c.t.u.
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