CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10483
Illegittima sospensione in CIGS – Mancata comunicazione dei criteri di selezione dei dipendenti ovvero delle modalità della rotazione – Violazione della specificità dei criteri
Rilevato che
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza resa pubblica in data 11/5/2017, in riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva la domanda proposta da F. C. nei confronti di New H. C. M. s.p.a. volta a conseguire il risarcimento del danno conseguente alla illegittima sospensione in CIGS nel periodo 12/10/2009-3/9/2010 in assenza di preventiva comunicazione alle 00.SS. ed alla R.S.U. dei criteri di selezione dei dipendenti ovvero delle modalità della rotazione o dei motivi della sua mancata adozione. Condannava la società al pagamento della somma di € 11.906,89 (con accantonamento di € 1.569,42 per T.f.r.) oltre accessori, per differenza tra retribuzione ottenuta per illegittima sospensione in CIGS e quella che avrebbe dovuto ottenere.
Nel proprio iter argomentativo la Corte distrettuale condivideva la tesi atto rea secondo cui la parte datoriale era rimasta inadempiente agli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 1 comma 7 della legge n. 223 del 1991 con specifico riferimento, in sede di avvio della procedura, all’indicazione delle ragioni della sospensione, dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di quelli adottabili per la rotazione.
I criteri enunciati nella comunicazione del 17.9.2009 erano infatti talmente generici da rendere impossibile qualunque valutazione di coerenza tra quelli indicati e la selezione del lavoratore da collocare in cassa integrazione straordinaria.
Con riferimento poi ai verbali di esame congiunto ed agli accordi, compresi quelli per il distacco, la Corte territoriale ne ha escluso l’efficacia sanante degli originari vizi consistenti nella mancata indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere o delle modalità di rotazione, all’uopo richiamando principi espressi da questa Corte di legittimità.
Da ultimo, ha affermato che la circostanza che la comunicazione debba essere sufficientemente precisa indicando criteri di scelta basati su elementi oggettivi e verificabile, è finalizzata al riscontro dell’effettività in concreto delle condizioni che richiedono la rotazione e della scelta dei lavoratori coinvolti e che detta circostanza, nella specie, non era in alcun modo riscontrabile.
Per la Cassazione di tale decisione New H. C. M. s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con contro ricorso l’intimato.
La società ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento agli artt. 329 c.p.c.e 2937, ult. co. c.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c.
Ci si duole che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sulle eccezioni preliminari formulate in grado di appello, aventi ad oggetto la vincolatività dell’accordo conclusivo della procedura CIGS e l’acquiescenza del lavoratore alla sospensione. Sarebbe stata, infatti, del tutto pretermessa in sede motivazionale, la circostanza pur chiaramente evidenziata dalla società, secondo cui un membro della RSU espressione del sindacato del lavoratore, aveva partecipato in tale veste alle informative collettive sfociate in accordo sindacale, sia per l’ammissione in CIGO che per l’ammissione in CIGS.
2. Il motivo non è fondato.
Ed invero deve rimarcarsi che la Corte distrettuale ha accolto la tesi di parte appellante in ordine alla illegittimità della collocazione in cigs, sull’essenziale rilievo della violazione del carattere di specificità dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere riscontrabile nella comunicazione iniziale alle organizzazioni sindacali, e sul principio della insanabilità della carenza per effetto di alcun accordo sindacale.
Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito sono conformi a diritto perché si collocano sulla scia dell’insegnamento di questa Corte secondo cui (v. Cass. Sez. Un. 11/5/2000 n. 302 e da ultimo Cass. 15/10/2018 n. 25737) in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale implicante una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5. (per tutte: Cass. 23/4/2004, n.7720; Cass. 4/5/2009, n. 10236; Cass. 1/7/ 2009, n. 15393; Cass. 2/9/2011, n.19235).
Sul presupposto che la comunicazione ex art. 1 comma 7, Legge n. 223 /1991 cit. è stata prevista per assolvere ad una duplice funzione, essendo diretta, per un verso, a porre le organizzazioni sindacali in grado di concordare la scelta dei lavoratori da sospendere e per un altro verso, ad assicurare la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa (così Cass.Sez. Un. n. 302/2000 cit. in motivazione) è stato puntualizzato che, in tema di procedimento per la concessione della CIGS, la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati dalla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. 9.6.2009 n. 13240 e 1.7.2009; conf. Cass. 26.9.2011 n. 19618, Cass. 14.5.2012 n. 7459).
La violazione in oggetto non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. n. 13240 e n. 15393 del 2009). Rispetto alla suindicata giurisprudenza non si pongono in contraddizione – come chiarito da Cass. 28.11.2008, n. 28464 cit. – le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all’inizio della procedura di messa in cassa integrazione. In tali sentenze, infatti, l’indicata affermazione è sempre stata formulata sull’esplicito presupposto secondo cui – diversamente da quanto si è verificato nella fattispecie in esame – detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere raggiunti i fini sottesi alle iniziali comunicazioni sia per quanto, attiene la specificazione dei criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal senso: Cass. 5.5.2004 n. 8353, Cass. 2.8.2004 n. 14721; Cass. 29.5.2006, n. 12719; Cass. 28.10.2008, n.25892). Tale ultima ipotesi non ricorre nel caso di specie, avendo il giudice di merito espressamente accertato la genericità dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere con riferimento al contenuto dei verbali di esame congiunto e dei verbali di accordo successivi, compresi quelli di distacco.
In tal senso deve ritenersi che vada esclusa ogni possibilità di configurare il denunciato vizio di omessa pronuncia, per il rigetto quanto meno implicito (Cass. 8.3.07, n. 5351; Cass. 6.12.17, n. 29191; Cass. 13.8.18, n. 20718) delle eccezioni datoriali che riposa, per quanto sinora detto, sul chiaro assunto della violazione della specificità dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nella comunicazione iniziale (dal 3° cpv di p. 8 al penult. cpv di p. 11 sentenza), non sanabile da alcun accordo sindacale scrutinato (Cass. 14.5.12, n. 7459; Cass. 11.1.16, n. 193), come ritenuto dalla Corte territoriale (dal 1° cpv di p. 12 all’ult. cpv di p. 15 sentenza).
3. La seconda critica prospetta nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art.360 comma primo n. 4 c.p.c.
Si denuncia l’inosservanza del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, sotto il profilo di ultrapetizione, per avere la Corte territoriale applicato un rimedio risarcitorio, così modificando la domanda retributiva del lavoratore di condanna della società datrice al pagamento, in proprio favore, delle differenze retributive rivendicate in relazione al periodo 12.10.09 – 3.9.10.
4. Anche tale motivo è privo di fondamento.
Al di là di ogni considerazione sul difetto di specificità della censura che non reca una riproduzione del tenore dell’atto introduttivo del giudizio, in violazione dei canoni di specificità che governano il ricorso per cassazione e vanno riscontrati anche in relazione alla denuncia di errores in procedendo (vedi Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077), occorre premettere che il vizio di ultrapetizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto Gpetitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11.1.11, n. 455; Cass. 24.9.15, n.18868; Cass. 6.9.18, n. 21720); inoltre non può tralasciarsi di considerare che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente statuito sulla domanda avanzata, ancorché in ipotesi erroneamente, il suddetto difetto non è logicamente verificabile prima di avere accertato l’erroneità della relativa motivazione, sicché l’errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 18.4.06, n. 8953; Cass. 5.2.14, n. 2630; Cass. 27.10.15, n. 21874).
Nello specifico, dunque, il motivo di censura si palesa destituito di fondamento, giacché per giurisprudenza costante di questa Corte, la domanda di pagamento della differenza fra il trattamento corrisposto dalla cassa integrazione guadagni straordinaria nel periodo d’ingiustificata sospensione e la retribuzione piena ha natura risarcitoria essendo tale differenza la misura corrispondente al danno risarcibile (Cass. 18.3.93, n. 3228; Cass. 4.12.15, n. 24738).
5. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1, co. 7 I. 223/91, 1362, 1363 c.c.
Si lamenta che la Corte distrettuale abbia interpretato la comunicazione aziendale di avvio della procedura del 17.9.09, in contrasto con i canoni ermeneutici denunciati, da intendere nel senso dell’indicazione della totalità dei lavoratori in predicato a 0 ore, adottando un’interpretazione formalistica, non aderente alla gravità della crisi, determinata dagli effetti di quella mondiale, comportante un crollo della produzione, gestita in cogestione con le oo.ss., tali da non rendere necessarie specificazioni particolari nella comunicazione di avvio della CIGS, peraltro congrue e con sanatoria di eventuali vizi della comunicazione per effetto dell’accordo sindacale 7.10.09.
6. Il motivo va disatteso.
La verifica della adeguatezza della comunicazione ex art. 1 comma 7 Legge n. 223 /1991 sotto il profilo della specificità dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e delle modalità della rotazione costituisce valutazione riservata al giudice di merito non censurabile in sede di legittimità, ove sia assistita, come nel caso di specie, da motivazione sufficiente e priva di vizi logici (ex plurimis Cass. 9.6.2015 n.11957, in motivazione; Cass. 10.5.2010 n.11254, in motivazione nonché da ultimo, Cass. cit. n. 25737/2018).
Nello specifico il giudice di appello con motivazione senz’altro congrua, ha ritenuto la genericità ed inadeguatezza del richiamo contenuto nella comunicazione alle “esigenze tecniche, organizzative e produttive tenendo conto delle esigenze professionali e funzionali che si manifesteranno nel periodo considerato”, in assenza di parametri concreti ai quali ancorare la relativa verifica, non consentendo la preventiva conoscibilità dei fattori che in concreto avrebbero determinato la scelta di un lavoratore piuttosto che di un altro, in una situazione in cui è genericamente indicato il numero di coloro che avrebbero subito la sospensione.
Detto risultato interpretativo si palesa dunque, insindacabile in questa sede, per la sostanziale contrapposizione dell’interpretazione della comunicazione 17.9.09 di parte ricorrente rispetto a quella diversa giudiziale (Cass. 27.1.06, n. 1754; Cass. 22.2.07, n. 4178; Cass. 3.9.10, n. 19044, Cass. 27.6.2018 n.16987) che neppure, secondo i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, ha da essere l’unica possibile (Cass. 20.11.09, n. 24539; Cass. 17.3.14, n. 6125; Cass. 28.11.17, n. 28319); onde, sotto tale profilo, la pronuncia resiste alla censura all’esame.
7. Con il quarto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 2948 c.c., in relazione all’art.360 comma primo n. 3 c.p.c.
Ci si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto applicabile alla fattispecie la prescrizione decennale sull’errato presupposto della natura risarcitoria dell’obbligazione in questione, come di inadempimento contrattuale. In realtà si deduce che il risarcimento del danno viene considerato dal legislatore come eventualità ulteriore rispetto al richiesto adempimento della prestazione, e non identificato con il tardivo adempimento. La continuità del rapporto e l’interesse a ricevere la prestazione non adempiuta dal datore di lavoro a norma dell’art. 1453 c.c. fanno sì che il richiesto pagamento della quota di retribuzione non corrisposta non possa qualificarsi come risarcimento del danno.
8. Il motivo è privo di fondamento.
Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito sono conformi a diritto perché coerenti con l’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di cassa integrazione guadagni, la richiesta del lavoratore di risarcimento danni per l’illegittima sospensione a seguito di collocamento in C.i.g.s. ha ad oggetto un credito da inadempimento contrattuale, soggetto all’ordinaria prescrizione decennale (ex plurimis, vedi Cass. 13.12.10, n. 25139).
In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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