CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10382
Tributi – Accertamento analitico induttivo – Obbligo di contraddittorio preventivo endoprocedimentale – Esclusione
Rilevato che
1. In controversia relativa ad avvisi di accertamento emessi con riferimento agli anni d’imposta 2010 e 2011 nei confronti della D.H. s.a.s di I.P. per recupero a tassazione ai fini IVA ed IRAP di un maggior reddito di impresa risultante da accertamento analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 600 del 1973, nonché nei confronti dei soci per maggiori redditi di partecipazione ai fini IRPEF, ex art. 5 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), la CTR con la sentenza impugnata rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sul rilievo che l’amministrazione finanziaria non aveva esperito il contraddittorio endoprocedimentale, ritenuto obbligatorio.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre con due motivi l’Agenzia delle entrate, cui non replicano gli intimati.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. La difesa erariale, deducendo con il primo mezzo di cassazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e 55 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché, con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, lamenta che CTR, erroneamente ritenendo che nel caso in esame l’accertamento fiscale era stato condotto con metodo induttivo e con ricorso all’applicazione degli indici parametrici, aveva ritenuto sussistente l’obbligo del preventivo contraddittorio, nella specie non esperito, e conseguente annullato gli atti impositivi.
2. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono fondati e vanno accolti.
3. Invero, è incontroverso, per stessa ammissione dei giudici di appello (in tal senso la chiara affermazione rinvenibile nella sentenza impugnata, nella parte descrittiva dello svolgimento del processo), che quello condotto nella specie dall’amministrazione finanziaria era un accertamento analitico induttivo, effettuato ai sensi dell’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e non con ricorso all’applicazione del metodo parametrico, in relazione al quale è obbligatorio l’espletamento del contraddittorio nella fase amministrativa (da ultimo, Cass., Sez. 5 Ordinanza n. 27617 del 30/10/2018, Rv. 651218 – 01).
3.1. Ciò posto la statuizione impugnata si pone in contrasto con il principio affermato in materia di contraddittorio endoprcedimentale dal Supremo consesso di questa Corte (Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015), seguito da numerose pronunce delle Sezioni semplici, secondo cui per i tributi “non armonizzati” (nel caso in esame, l’IRPEF ripresa a tassazione nei confronti dei soci della società contribuente) non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un generalizzato obbligo di contraddittorio nella fase amministrativa, sussistente solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito, mentre per i tributi “armonizzati” (nella specie l’IVA, oggetto dell’avviso di accertamento emesso a carico della società) grava sul contribuente, in ipotesi di violazione del contraddittorio, l’onere — che nel caso in esame non risulta essere stato adempiuto — di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere nella fase amministrativa. In tali termini si è espressa anche la Corte di Giustizia UE, sez. V, nella sentenza del 3 luglio 2014, in causa C-129/13 e C-130/13, Kamino, affermando che «Il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».
4. Da quanto detto consegue che la sentenza impugnata va cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, posto che la questione sottoposta ai giudici di appello era solo quella della violazione del contraddittorio endoprocedimentale, non essendosi peraltro i contribuenti costituiti nel giudizio di secondo grado (ove avrebbero dovuto proporre eventuali questioni rimaste assorbite, ex art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992) — va decisa nel merito con raccoglimento dell’appello agenziale e conseguente conferma degli avvisi di accertamento.
5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo mentre vanno compensate quelle di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’appello dell’Agenzia delle entrate. Condanna gli intimati al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando quelle dei gradi di merito.
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