Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione I, sentenza n. 7969 depositata il 19 giugno 2019
Lavoro – Sicurezza sul lavoro – Infortunio sul lavoro – Rapporto di lavoro – Mobbing – P.A. – Rapporto di impiego pubblico – Condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, -OMISSIS-, ha avanzato richiesta di risarcimento del danno in conseguenza del comportamento assunto dalla pa nei suoi confronti.
In particolare riferisce il ricorrente che nel corso dell’anno 1999 lo stesso veniva colpito da due sanzioni disciplinari.
Le stesse, successivamente, venivano annullate, sia in sede di autotutela, che in conseguenza di un ricorso amministrativo.
Quindi il predetto veniva sbarcato dalla -OMISSIS-.
Lo stesso veniva valutato, con le successive note caratteristiche n. 11 e 12, con un giudizio inferiore alle precedenti.
La parte acquisiva copia integrale delle indicate schede il 24 novembre 2000.
Avverso tale valutazioni il ricorrente avanzava ricorso gerarchico.
La p.a., rilevata la palese contraffazione della scheda n. 11, la annullava, trasmettendo gli atti all’A.G., quindi, rinnovava la scheda n. 12 confermandone il contenuto originario, tanto che l’attuale ricorrente avanzava un nuovo ricorso amministrativo che si definiva con il parziale annullamento della scheda n. 12.
La p.a., in sede della successiva valutazione, confermava il precedente giudizio.
Alla luce di tali riferiti presupposti il ricorrente avanzava, nei confronti degli ufficiali compilatori, richiesta di risarcimento del danno asseritamente patito.
Successivamente ( settembre 2003) lo stesso estendeva la richiesta risarcitoria all’amministrazione.
Quindi, dopo due anni dalla indicata richiesta, lo stesso inoltrava formale istanza di accesso agli atti.
La p.a. respingeva la richiesta.
Il ricorrente reagiva con ricorso al TAR.
Nel frattempo, la originaria denuncia nei suoi confronti, trasmessa per competenza alla Procura della Repubblica di Taranto, veniva archiviata.
Quindi, con il presente ricorso giurisdizionale, il ricorrente ha avanzato richiesta di risarcimento del-OMISSIS-
In particolare il predetto lamenta la sussistenza, da parte della p.a. di atti intenzionalmente ostili e vessatori per cui ha chiesto il risarcimento del danno, patrimoniale e non.
Ritiene il ricorrente che la p.a. abbia posto in essere nei suoi confronti un comportamento vessatorio che lo stesso individua : nelle mansioni non consone al grado assegnate al predetto nel settembre 1998 sino al suo sbarco nel maggio 1999 da parte del -OMISSIS-nella violazione, da parete della p.a., dell’obbligo di custodia dei documenti caratteristici perché, della scheda n. 11, annullata per palesi contraffazioni, a dire del ricorrente, sono in circolazione più esemplari; infine per il disposto trasferimento.
In buona sostanza la parte lamenta di aver subito mobbing da parte dell’amministrazione.
La cassazione ha riassunto in modo chiaro i termini, in presenza dei quali può ritenersi configurato il c.d. mobbing :” a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o da parte anche di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. …” ( Cass., 20 dicembre 2017, n. 30606).
La giurisprudenza amministrativa ha condiviso, con riferimento al pubblico impiego non contrattualizzato, tale orientamento, precisando che :” Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, il mobbing, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica” (Cons. Stato, Sez. VI, 12 marzo 2015 n. 1282).
Ora, il ricorrente sostiene che i comportamenti adottati dalla p.a. e sopra riportati, hanno provocato un danno, morale e non nei suoi confronti.
Ebbene, tali evenienze, nei termini descritti, non dimostrano la volontà vessatoria della p.a. alla luce dei criteri indicati dalla cassazione e dal Consiglio di Stato, nonché della pacifica giurisprudenza amministrativa.
Infatti, con riferimenti ai trasferimenti di sede del personale militare la giurisprudenza ha rilevato che essi “appaiono in realtà una normale prassi organizzativa in ragione delle mutevoli esigenze della forza armata” (T.A.R. Genova sez. II, 23 febbraio 2016 n. 193).
Per cui non è sufficiente segnalare la presenza dei trasferimenti di sede del militare per affermare che tale pratica sia di evidenza vessatoria.
E’ onere della parte dimostrare la pretestuosità e la inutilità funzionale del trasferimento, in uno con la sua palese connotazione vessatoria.
Quanto agli altri rilievi essi risultano, all’evidenza, inconferenti.
Infatti, la condotta che dà luogo a mobbing, deve essere dimostrata nei suoi elementi essenziali dallo stesso ricorrente, e tale prova non può consistere consistere, come nel caso di specie, nella mera asserzione del ricorrente di esser vittima di un illecito, ovvero segnalando l’esistenza di specifici atti illegittimi.
La parte deve allegare ed evidenziare elementi oggettivi e concreti in base ai quali il giudicante, anche attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi, verifica la sussistenza di un più ampio ed articolato disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione.
Nel caso di specie la parte non ha offerta una tale dimostrazione.
Le sanzioni disciplinari sono state annullate, così come -OMISSIS-in quanto oggetto di contraffazione.
Quanto alla mancata custodia delle indicate schede, la parte ricorrente non ha fornito alcuna prova della negligenza della p.a.
In altri termini il ricorrente non ha dimostrato che il comportamento della p.a. costituisca “mobbing”, atteso che tali contestati comportamenti non risultano mai sanzionati dal giudice penale o amministrativo, né la p.a. ha mai assunto provvedimenti amministrativi al riguardo, ciò esclude anche la richiesta di risarcimento del danno.
Conseguentemente il ricorso deve essere respinto.
Spese compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 d.lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
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