CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 settembre 2019, n. 22294
Licenziamento – Responsabilità della gestione di cassa – Obbligo di ripianare economicamente gli eventuali ammanchi o errori di cassa
Rilevato che
1. con sentenza del 11.4.2017, la Corte d’appello di Roma respingeva il gravame proposto dalla s.r.l. R.U. avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a C.S., con le conseguenze risarcitorie nell’ambito della tutela obbligatoria, ed aveva condannato la società alla corresponsione, in favore della predetta, dell’importo complessivo di euro 3.037,29 a titolo di indennità di cassa, oltre accessori di legge;
2. la Corte, per quanto rileva nella presente sede, osservava: che dall’istruttoria era emerso che la C., addetta alla reception, aveva accesso alla cassaforte ove riponeva gli incassi, gestiva un piccolo fondo cassa per le spese di ordinaria amministrazione ed era addetta alla effettuazione della “quadratura giornaliera, settimanale e mensile” degli importi presenti in cassa; che l’art. 148 c.c.n.l. applicato prevedeva che, ove al dipendente addetto con continuità ad operazioni di cassa facesse capo la piena e completa responsabilità della gestione di cassa, con obbligo di accertarsi delle eventuali differenze, competesse un’indennità di cassa e di maneggio denaro nella misura del 5% della paga base nazionale conglobata di cui all’art. 138 parte II del c.c.n.l.; che nella fattispecie doveva, pertanto, riconoscersi come spettante alla C. la prevista indennità contrattuale;
3. di tale decisione domanda la cassazione la società, che affida l’impugnazione a due motivi; la C. è rimasta intimata.
Considerato che
1. con il primo motivo, sono dedotte violazione e/o falsa applicazione dell’art. 148 c.c.n.l. commercio, sostenendosi che i requisiti in esso indicati non trovino riscontro nella fattispecie, posto che la C. non aveva responsabilità della cassa – essendo presente il responsabile della clinica al quale la stessa doveva rendicontare – e nemmeno alcun obbligo di ripianare economicamente gli eventuali ammanchi o errori di cassa; si assume che, nonostante ciò, la sentenza aveva ritenuto che l’indennità competesse perché la dipendente era responsabile delle operazioni di cassa, e che ciò era indice del fatto che il convincimento era stato basato su una responsabilità del tutto generica, che non trova alcun fondamento normativo nella previsione della norma contrattuale;
1.1. in particolare, si evidenzia che non ricorreva l’obbligo per la lavoratrice di accollarsi le eventuali differenze economiche in caso di ammanchi ed errori di cassa e che, trattandosi di indennità di derivazione contrattuale, le condizioni per l’insorgenza del relativo diritto debbano essere individuate esclusivamente sulla base dell’interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto, interpretazione da compiersi in coerenza anche con gli istituti legali sui quali il predetto diritto venga ad incidere; si sostiene che l’opzione interpretativa della Corte d’appello condurrebbe al risultato, non accettabile, di riconoscere ad ogni dipendente che nell’esercizio delle sue mansioni maneggi danaro e debba rendicontare ai superiori sul proprio operato il diritto a percepire l’indennità de qua;
2. con il secondo motivo si censura la decisione per I’assunto omesso esame di fatto decisivo della controversia (responsabilità economica in caso di ammanco), rimarcandosi come il Responsabile del Centro fosse il responsabile dell’operazione di quadratura della cassa, in quanto tale tenuto ad occuparsi dei versamenti in banca, a ciò aggiungendosi l’ulteriore dato che la s.r.l. R.U. non aveva mai operato trattenute di somme per ammanchi di cassa e la considerazione che la lavoratrice non aveva fornito, pure essendone onerata, la prova della sussistenza dei suddetti richiesti requisiti;
3. quanto al primo motivo, è vero che l’art. 148 c.c.n.l. applicato contempla tra i requisiti necessari per il riconoscimento della indennità de qua la normale adibizione ad operazioni di cassa con carattere di continuità e la piena e completa responsabilità della gestione di cassa, con l’obbligo di accollarsi le eventuali differenze, e che tale ultimo obbligo è idoneo a caratterizzare la funzione della specifica indennità, evidentemente prevista ed erogata in relazione al rischio di una tale possibilità (che la perdita riscontrata gravi finanziariamente sull’addetto alla cassa), che è connaturato a tale attività;
3.1. pure essendo l’indennità di cassa e di maneggio di denaro un istituto di derivazione esclusivamente contrattuale, per il quale le condizioni per l’insorgenza del relativo diritto in capo al lavoratore vanno individuate esclusivamente sulla base dell’interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto, senza riferimento a pretese nozioni di carattere generale, ciò che rileva è che l’attività svolta a contatto col denaro abbia carattere se non di esclusività quanto meno di continuatività e non occasionalità, e che comporti l’esposizione del lavoratore ad una possibile responsabilità, anche di carattere finanziario (cfr. in tali termini Cass. 7353/2004, riferita al trasporto di valori e contanti in un tempo circoscritto ed a mansioni di natura meramente esecutiva);
3.2. il principio espresso nella pronunzia da ultimo richiamata è stato, tuttavia, meglio specificato da Cass. 25742 del 14.12.2016 e Cass. 4.2.2016 n. 2212, decisioni che hanno rilevato come, ai fini del diritto all’indennità di maneggio denaro, la responsabilità per errore, anche finanziaria, è implicita nelle attività di cui l’incasso costituisce la prestazione normale o prevalente, derivando la stessa dall’art. 2104 c.c. che obbliga il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto la suddetta indennità, a prescindere da ogni ulteriore accertamento, a dipendenti che svolgevano in via ordinaria mansioni di cassiere);
3.3. in sostanza, l’orientamento espresso valorizza le mansioni specifiche del cassiere rispetto alle quali il maneggio del denaro, quale aspetto prevalente dell’attività svolta, di cui l’incasso costituisce il profilo principale, induce a ritenere immanente alla attività stessa una responsabilità che deriva direttamente dalle norme codicistiche che obbligano il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 c.c.), aspetto neppure specificamente contestato nel motivo di ricorso; quest’ultimo, al di là del generico richiamo ad un obbligo di ripianare le perdite verificatesi, non considera che, seppure eventuale, un tale obbligo è nella sostanza congruente con I’ impegno assunto, il quale sottintende l’accettazione di ogni conseguenza economica di un comportamento non conforme allo stesso;
4. in conclusione, il ricorso deve essere respinto, dovendo ribadirsi il principio alla cui stregua, ai fini del riconoscimento dell’indennità in questione, in relazione anche alla previsione contenuta nella norma contrattuale, ciò che rileva è I’ autonomia nell’espletamento delle mansioni di cassiere e la continuatività e non occasionalità di queste ultime;
5. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, essendo la C. rimasta intimata;
6. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma Ibis, del citato D.P.R.
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