Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 36955 depositata il 3 settembre 2019
Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – Trasferimento effettivo della proprietà del bene – Irrilevanza
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 08 ottobre 2018 il tribunale di Crotone – sezione riesame – adito ai sensi dell’art. 322 c.p.p. ha confermato il sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2 dal g.i.p. del medesimo tribunale, avente ad oggetto taluni immobili siti in Crotone e trasferiti con atto di donazione dalla Associazione Opus alla associazione (omissis), di cui fanno parte, come unici soci, J.E. e J.P.. Il sequestro veniva disposto in relazione al fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, perché i predetti J.P. e E., in qualità di soci di entrambe le suindicate associazioni compivano atto fraudolenti su propri beni, diretti a sottrarre la garanzia patrimoniale alla Amministrazione finanziaria e in particolare, con atto di donazione cedevano a titolo gratuito, quali rappresentanti della Associazione Opus, in favore della Associazione S. Giuseppe Moscati di cui pure erano unici soci, un appartamento e un corpo di fabbrica di quattro piani.
2. Avverso l’ordinanza del tribunale di Crotone ha proposto ricorso per cassazione J.E. in proprio e quale legale rappresentante della Associazione Opus Onlus, mediante i propri difensori, sollevando quattro motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo contesta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p. per violazione del diritto di difesa in relazione alla omessa notifica dell’avviso dell’udienza in camera di consiglio, fissata a seguito della proposizione della richiesta di riesame, in favore del secondo difensore di fiducia nominato dal ricorrente, avv.to N.M.T.. Con conseguente nullità degli atti successivi e della ordinanza impugnata.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per violazione dell’artt. 240, 125 comma 3 c.p. e 321 commi 1 e 2 c.p.p. per l’intervenuta disapplicazione della norma di cui all’art. 240 c.p., laddove fa divieto di procedere al sequestro di beni appartenenti a persona diversa, quale sarebbe in tal caso l’Associazione (omissis) Opus: gli immobili sequestrati sono destinati al perseguimento dei fini statutari della predetta associazione, cosicché il sequestro sacrifica la proprietà del terzo estraneo quale è la predetta società. Con violazione peraltro anche del principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., oltre che dell’art. 7 della Convenzione Edu, dell’art. 1 del Protocollo addizionale della medesima Convenzione e dell’art. 6 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’Uomo in relazione al sancito principio di equità processuale.
5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per insussistenza del fumus del reato ipotizzato, nonché in relazione alla ritenuta non necessità di rinvenire, ai fini del sequestro disposto, anche il requisito del cd. periculum in mora, nonché per violazione degli artt. 2 e 43 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 in relazione alla insussistenza del dolo specifico del reato. In particolare, il ricorrente evidenzia come la donazione effettuata non può qualificarsi quale atto simulato in quanto non vi sarebbero elementi idonei a confortare la tesi della simulazione come del resto ammesso nella stessa ordinanza impugnata. Inoltre, la motivazione in punto di fraudolenza della donazione sarebbe errata non avendo tenuto conto il tribunale del cattivo stato degli immobili, poi incrementatisi di valore dopo la donazione, a seguito di lavori. Peraltro, mancherebbe l’idoneità dell’atto a rendere la procedura di riscossione in tutto o in parte inefficace, considerando che l’amministrazione finanziaria ha la possibilità di affermare la propria pretesa in ogni caso mediante l’azione revocatoria. Cosicché esistono rimedi alternativi al sequestro per rendere efficace la riscossione delle imposte. Dunque la motivazione sarebbe carente sotto il profilo della indicazione dell’idoneità dell’atto a rendere la procedura di esecuzione inefficace o parzialmente inefficace. La stessa sarebbe apodittica o insufficiente anche in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo specifico del reato. Emergerebbe anche la violazione dell’art. 24 c.p. e dell’art. 321 c.p.p., comma 2 in quanto l’ordinanza impugnata sarebbe insufficiente ed adottata in violazione di legge, non specificando la qualificazione del bene sequestrato, in realtà da qualificare né come prezzo né come profitto del reato, trattandosi piuttosto di cosa pertinente al reato, così da richiedere l’individuazione dell’ulteriore requisito, ai fini del sequestro, del periculum in mora, adeguatamente motivato, mancante nel provvedimento impugnato.
6. Con il quarto motivo deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis in relazione alla congruità del valore del bene sequestrato, atteso che tale valore non corrisponde, dopo gli intervenuti lavori successivi alla donazione, alla somma di Euro 375.000 come indicato nella donazione stessa. In particolare, tale nuovo valore pari a circa Euro 762.000 sarebbe sproporzionato rispetto al valore di circa Euro 585.000 delle imposte che si assumono dovute. Tanto risulterebbe da apposita perizia tecnica allegata al ricorso e prodotta per la prima volta. Si aggiunge che il tribunale non avrebbe svolto l’accertamento sulla congruità del valore del bene sequestrato rispetto all’imposta eventualmente dovuta, in violazione dell’art. 12 bis citato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Quanto al primo motivo, rileva il principio per cui l’omessa notificazione dell’avviso di udienza nel procedimento in camera di consiglio ad uno dei due difensori di fiducia dell’imputato dà luogo a nullità a regime intermedio, sanata con la presenza in udienza dell’altro difensore, il quale svolga le sue argomentazioni senza nulla eccepire in proposito (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 12059 del 04/03/2015 Rv. 263183-01 Schiavone; Sez. 6, n. 21736 del 12/02/2008 Rv. 240354-01 Possanzini;). In proposito la Suprema Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d’ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche l’altro difensore di fiducia ed il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice (cfr. SS.UU. n. 39060 del 16/07/2009 Rv. 244187-01 Aprea). Tale essendo il caso di specie, in cui nessuna eccezione è stata sollevata dall’altro difensore presente, non emerge alcuna nullità, per cui il motivo è manifestamente infondato.
2. Quanto al secondo motivo è anche esso inammissibile, atteso che la rivendicata titolarità del bene in capo a terzo estraneo non è situazione giuridica anteriore al reato in esame bensì conseguirebbe proprio a quell’atto fraudolento integrante il reato ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, il cui fumus è stato rilevato dal giudice della cautela. Va anche aggiunto che la Suprema Corte ha precisato che la misura di sicurezza della confisca può essere disposta anche nei confronti di beni appartenenti a persone giuridiche, dovendo ad esse, in forza del principio di rappresentanza, essere riferiti gli stati soggettivi dei rappresentanti (Cass. 8/6/2000, n. 2643; in motivazione, Sez. 3, n. 3095 del 23/11/2016 (dep. 23/01/2017) Rv. 268986-01 Pugliese). Peraltro non può sfuggire come di converso la stessa difesa in sede di riesame abbia invece sostenuto che emergendo nel caso in esame delle associazioni “non profit” “prive pertanto di patrimonio i beni materiali dei quali si servono sono nella disponibilità dei legittimi rappresentanti cui essi appartengono in proprietà” (cfr. ordinanza impugnata, pag. 3). Cosicché, alla luce della sintesi dei motivi di gravame operata nella ordinanza impugnata e non contestata dal ricorrente (cfr. pag. 3) la censura attualmente in esame appare anche connotata delle caratteristiche della “novità”, che ne impongono anche sotto tale aspetto l’inammissibilità.
3. In ordine al terzo motivo di impugnazione, la censura sulla inconfigurabilità di un atto di simulazione è superata nella stessa ordinanza impugnata, con cui si evidenzia come, piuttosto, la donazione intercorsa in favore della Associazione (omissis) debba qualificarsi come atto fraudolento nell’ambito di una vicenda in cui lo stesso sarebbe intervenuto pochi mesi dopo la notifica del verbale di contestazione di violazioni fiscali, in assenza di qualsivoglia documentata ragione giustificativa del trasferimento, diversa dall’intento di ridurre la capacità patrimoniale dell’Associazione Opus ed assicurando comunque – attraverso un correlato contratto di comodato d’uso che i beni rimanessero nella materiale disponibilità di quest’ultimo Ente. In tal modo il tribunale, oltre a rimarcare adeguatamente anche la sussistenza del dolo del reato, ha fatto corretta applicazione dell’indirizzo di legittimità secondo cui, in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018 Rv. 273493-01 Auci). Peraltro, posto che il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11, ove integrato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, richiede l’idoneità dei medesimi, con giudizio ex ante, a rendere in tutto o in parte inefficace l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria, non osta a tale ricostruzione – come invece sostenuto dal ricorrente – l’esperibilità di ulteriori strumenti di tutela, quali l’esercizio dell’azione revocatoria, la cui ipotizzata necessaria ricorribilità a fronte degli ostacoli frapposti alla ordinaria procedura di riscossione conferma, piuttosto, il predetto requisito costitutivo del delitto.
Occorre infine evidenziare che il profitto, confiscabile anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato (Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013 – dep. 31/07/2013, Abrusci, Rv. 256850); dunque, come è stato specificato, non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, bensì nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere (Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015 – dep. 09/10/2015, Trust e altro, Rv. 265036); lo stesso consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma (Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015 – dep. 11/03/2015, Chiarolanza e altri, Rv. 262754). In tale contesto giuridico dunque, i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca – obbligatoria – ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis. Cosicché non ricorre l’obbligo di motivare in ordine al periculum della libera disponibilità del bene. Il tribunale quindi, lungi dal formulare una motivazione viziata nei termini dedotti, ha correttamente rilevato la configurazione – nel caso in esame – del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 2 ben richiamando l’indirizzo giurisprudenziale per cui, nel reato in esame, il profitto è rappresentato dal valore dei beni sottratti alla esecuzione fiscale. In ogni caso, a fronte della correttezza giuridica della decisione, rileva il principio per cui le questioni giuridiche sollevate dalle parti o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al motivo di censura costituito dalla violazione di legge (insussistente per quanto sopra rilevato) o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 c.p.p., comma 1, che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451-01 Emmanuele).
4. Quanto al quarto motivo di impugnazione, relativo al tema della congruità del valore del bene oggetto di sequestro, alla luce del riepilogo dei motivi di gravame riportato nell’ordinanza impugnata e rimasto incontestato dal ricorrente, oltre che della stessa deduzione difensiva per cui la censura predetta troverebbe fondamento in un atto, la perizia tecnica dell’ing. C., presentato per la prima volta solo in questa sede, è sufficiente rilevarne l’inammissibilità per l’assoluta novità rispetto alle questioni dibattute in sede di riesame. Mentre, quanto alla censura relativa alla effettuazione del sequestro nei confronti di un bene appartenente a persona giuridica estranea al reato, riportata peraltro solo nel titolo del motivo, è sufficiente rimandare a quanto già rilevato sul medesimo tema al paragrafo due, in rapporto al secondo motivo di impugnazione.
5. Per completezza, occorre rilevare anche il difetto di legittimazione del ricorrente. Come emerge dagli atti, a partire dallo stesso ricorso presentato, J.E. risulta un mero associato nell’ambito della Associazione (omissis), il cui rappresentante è invece il figlio. Per cui in assenza anche di procura speciale in rappresentanza della predetta associazione, lo stesso non può ritenersi legittimato a proporre ricorso siccome diretto ad ottenere la restituzione di beni riconducibili formalmente alla Associazione (omissis).
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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