CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 ottobre 2019, n. 24772
Licenziamento individuale – Illegittimità – Frode alla legge – Prova dell’effettività della soppressione della funzione alla data del recesso
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 2186 del 12 dicembre 2017, respingeva il reclamo di A.B. e così confermava la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato l’opposizione proposta dalla predetta ricorrente avverso l’ordinanza ex art. 1, co. 48, della legge n. 92 del 2012, con cui era stata respinta l’impugnativa del licenziamento individuale intimato il 10 dicembre 2015 dalla società datrice di lavoro, N.S.N.I. s.p.a., motivato dalla soppressione della posizione R.E.
2. La lavoratrice aveva dedotto:
– che il licenziamento era stato intimato sulla base della stessa ragione di quello collettivo, già ritenuto illegittimo dal Tribunale di Milano per violazione dei criteri di scelta ex art. 5 legge n. 223 del 1991;
– che, essendo tale pronuncia stata emessa per ragioni di ordine sostanziale e non meramente procedurale, era inammissibile la rinnovazione del licenziamento sulla base dello stesso motivo, in quanto ammettere tale possibilità significherebbe vanificare la tutela reintegratoria riconosciuta dalla sentenza di accoglimento dell’impugnativa del licenziamento collettivo;
– che la società aveva violato l’obbligo di dare esecuzione all’ordine giudiziale e che dunque il licenziamento era stato disposto in frode alla legge ed era da dichiarare nullo in quanto sorretto da motivo illecito determinante;
– in subordine, che il licenziamento era illegittimo in quanto la cessazione dell’attività produttiva che avrebbe dovuto giustificarlo risaliva al 2013, ossia a più di due anni prima del licenziamento individuale.
3. La Corte territoriale, rigettando le censure svolte dalla ricorrente, riteneva che non fosse ravvisabile una frode alla legge, poiché si era in presenza della avvenuta soppressione delle attività di ricerca e sviluppo ed assistenza tecnica inerenti ai prodotti dello standard tecnologico microwave, precedentemente gestiti dalla funzione aziendale O.M.P., interna alla BU MBB, cui era addetta la ricorrente. Al riguardo, evidenziava che, pur essendo stata la cessazione della predetta funzione posta a base della precedente procedura di licenziamento collettivo, tuttavia a fondamento del licenziamento individuale non era stato posto lo stesso fatto, poiché la soppressione della posizione lavorativa era una conseguenza delle modifiche organizzative descritte nella procedura di licenziamento collettivo, attuate nelle more. Quanto alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo di recesso, riteneva, sulla base dell’istruttoria svolta, che la società avesse dimostrato l’effettività della soppressione della funzione alla data del licenziamento individuale.
4. Per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la società intimata.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1344 cod. civ. e 1324 cod. civ. in relazione all’art. 5 I. 223/1991 e degli artt. 1345 e 1324 cod. civ.(art. 360 n, 3 cod. proc. civ.). Deduce che aveva errato la sentenza nel non ravvisare nel comportamento datoriale un’ipotesi di frode alla legge ex artt. 1344 e 1324 cod. civ., considerato che era stata aggirata la disciplina di cui all’art. 5 legge 223 del 1991 e al contempo era stato violato l’obbligo giuridico di dare esecuzione ai provvedimenti giudiziali di condanna. Evidenzia come il secondo licenziamento sia basato sugli stessi motivi sostanziali del primo e, secondo giurisprudenza consolidata, non è possibile reiterare un licenziamento formalmente corretto ma intimato per la stessa ragione sostanziale del precedente. Rileva come al primo licenziamento (collettivo) intimato per riduzione di personale e dichiarato illegittimo (non per vizi procedurali,, ma) per violazione dei criteri di scelta, avesse fatto seguito l’ordine di reintegra nel posto di lavoro, per cui, a seguire la tesi della società, il datore di lavoro avrebbe la garanzia di poter espellere dall’azienda i dipendenti meno graditi dovendo soltanto intimare in via prudenziale un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo decorsi centoventi giorni dal licenziamento collettivo, facendo riferimento alla stessa nozione di organico per la quale è stato promosso il licenziamento collettivo.
2. Con il secondo motivo denuncia omesso esame (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) del fatto che la ragione giustificatrice del licenziamento si sarebbe verificata – secondo le allegazioni della stessa società – nel settembre 2013, ossia più di un anno prima del primo licenziamento intimato alla ricorrente il 3 ottobre 2014.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), ossia che le mansioni svolte non erano legate alla tecnologia microwave, per cui vi è assenza di nesso di causalità tra licenziamento e il motivo oggettivo posto a suo fondamento.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omesso esame (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) della fungibilità delle mansioni svolte rispetto a quelle degli altri dipendenti con job text di C. S. M. che al momento del suo licenziamento erano in forza presso N., da cui la necessità di una valutazione comparativa tra tutti i lavoratori addetti a mansioni fungibili.
5. E’ fondato il primo motivo, il cui accoglimento assorbe l’esame dei restanti.
6. Innanzitutto, va rilevato che, per effetto della sentenza di questa Corte n. 23347 del 2018, con cui è stato rigettato il ricorso per cassazione proposto da N., è passata in giudicato la sentenza di appello confermativa della illegittimità del licenziamento collettivo del 3 ottobre 2014 che interessò la posizione della odierna ricorrente nell’ambito della procedura ex legge n. 223/1991. I giudici di merito, in quella sede, ritenuta sussistente la violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 di tale legge, riconobbero la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, co. 4, St. lav..
6.1. In tale sede era stato ritenuto che la società, dopo aver identificato le esigenze produttive e organizzative dell’intero complesso aziendale in vista delle determinazioni relative alla successiva fase di selezione del personale e dopo aver indicato che i lavoratori da licenziare sarebbero stati individuati considerando i profili professionali identificati da quello che nel linguaggio aziendale è definito job text (e cioè profilo o categoria professionale) nell’ambito delle Unità Business (BU), tenendo conto che la presenza di più profili in esubero avrebbe dovuto essere convogliata in graduatorie tali da trascendere l’ambito delle singole Unità Business, non aveva poi proceduto ad un raffronto coerente delle posizioni riconducibili ai job text corrispondenti ai suddetti profili.
6.2. La sentenza n. 23347 del 2018 di questa Corte ha evidenziato come i giudici di merito avessero ritenute paragonabili i profili di R.E. e di C. S. M., per cui il datore di lavoro non avrebbe potuto limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti ad un reparto o settore se essi fossero idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda ovvero per una specifica professionalità – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non poteva essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.
7. Tutto ciò premesso, va osservato che, per costante giurisprudenza di questa Corte (v Cass. n. 106 del 2.013, nn. 2.3042 e 19089 del 2018 nonché Cass. n. 22357 del 2015 e n. 19104 del 2013), in ipotesi di licenziamento in regime di tutela reale, il lavoratore che sia stato reintegrato nel posto di lavoro può essere nuovamente licenziato da parte del datore di lavoro solo sulla base di una diversa ragione giustificatrice. E’ ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso e sopravvenuto.
7.1. Di recente, si è affermato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo dichiarato illegittimo (nella specie, soppressione della posizione lavorativa) realizza uno schema fraudolento ex art. 1344 cod. civ., il cui accertamento deve essere condotto dal giudice di merito in base ad una valutazione unitaria e non atomistica di ulteriori indici sintomatici dell’intento elusivo, quali la mancata ottemperanza del datore all’ordine giudiziale di reintegra e la contiguità temporale del secondo recesso (Cass. n. 23042 del 2018).
8. Il licenziamento collettivo che aveva interessato la posizione della B. è stato dichiarato illegittimo per ragioni non procedurali, ma per ragioni inerenti alla violazione dei criteri di scelta ex art. 5 legge n. 223/91, ossia per ragioni di ordine sostanziale. Pertanto, non trova applicazione il principio secondo cui, ove si tratti di un licenziamento collettivo dichiarato inefficace per un vizio procedurale, si può procedere ad un nuovo licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, basato sugli stessi motivi sostanziali del precedente recesso, purché ne sussistano i requisiti, risolvendosi tale rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente, che esula dallo schema dell’art. 1423 cod. civ., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti ex tunc. e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale (Cass. n. 22357 del 2015 cit.).
9. Va poi osservato che, nel caso esaminato da Cass. n. 23042 del 2018, vertente in ipotesi analoga, la sentenza impugnata aveva ritenuto diverse le motivazioni poste a base dei rispettivi licenziamenti perché nel secondo licenziamento il motivo era stato individuato (come nel caso della sentenza qui impugnata) nella impossibilità, a seguito del riassetto organizzativo attuato nelle more, di adibire proficuamente il lavoratore ad altre funzioni. E’ stato tuttavia osservato, e l’argomento è utilmente richiamabile in questa sede, che l’errore commesso è stato quello di non considerare che tale impossibilità di adibizione ad altre funzioni non fosse derivata da un fatto nuovo ed autonomo rispetto alla soppressione della posizione lavorativa posta a base del primo licenziamento annullato. Ed infatti la posizione soppressa costituiva uno degli esuberi di cui alla procedura di licenziamento collettivo posta, in quell’ambito, in relazione ad un processo di ‘riduzione o trasformazione di attività o lavoro’.
Se il licenziamento collettivo era stato ritenuto illegittimo per violazione dei criteri di scelta, non poteva la società addurre a sostegno del secondo licenziamento la soppressione della stessa posizione. Dunque, l’ordine di reintegra andava adempiuto e solo una ragione diversa da quella posta a base del licenziamento annullato avrebbe potuto incidere, con effetto estintivo, sulla ricostituita posizione lavorativa.
10. Una volta ritenuto – come emerge dalla sentenza n. 23347 del 2008 – che tra i profili professionali di R.E. e di C. S. M. non sussistesse una infungibilità idonea a legittimare il licenziamento di tutti gli R.E. per il solo fatto di essere inseriti in un reparto destinato ad essere soppresso, così da escludere la necessità di una loro comparazione con gli altri dipendenti (in particolare con quelli aventi il job text di C. S. M.), è viziata la sentenza che ritiene fatto diverso la ‘conseguenza oggettiva delle modifiche organizzative descritte nella procedura di licenziamento collettivo e attuate nelle more’, non potendo la sequenza temporale in cui si articola il medesimo fenomeno estintivo del reparto o servizio connotare diversamente il fatto storico, solo diversamente apprezzato nel suo unitario svolgersi nel tempo.
11. In conclusione, pur dovendosi ribadire che l’accertamento della sussistenza degli elementi di fatto idonei a configurare una frode alla legge costituisce attività riservata al giudice di merito, esente dal sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi (v. ex aliis Cass. 11 settembre 2017, n. 21042), nel caso in esame il giudizio che era demandato al giudice di merito, concernente la verifica di non identità del fatto storico sotteso ai due provvedimenti espulsivi, si fonda su un argomento non idoneo a sostenerlo, per le ragioni or ora detta.
12. In sede di memoria ex art 378 cod. proc. civ. la società resistente ha rilevato che, in ordine all’accertamento di fatto., si è in presenza di un’ipotesi di c.d. doppia conforme, preclusiva del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., giusta l’art. 348, ultimo comma, cod. proc. civ.. Tuttavia, l’argomento non è conferente, in quanto il motivo ora accolto verte su error in iudicando, mentre le censure che vertono sulla violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. sono da ritenere assorbite.
13. Conclusivamente, il primo motivo va accolto, assorbiti gli altrui, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello designata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame e provvederà altresì in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.
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